Non è un paese per donne

Asili chiusi, le rette si pagano col bonus Inps. Si può, ma non tutti sono d’accordo. Nidi e famiglie, le due facce del disagio

Gli asili nido a Termoli sono chiusi dal 1 febbraio ed emergono chiaramente le difficoltà e delle famiglie (e specie delle donne su cui convergono alla fine dei fatti le responsabilità di cura dei figli) e delle strutture educative. Le due realtà a volte provano a venirsi reciprocamente incontro (anche col pagamento della retta attraverso il Bonus Nido stanziato dall'Inps) ma non sempre ci riescono

Tra gli effetti della pandemia e dei relativi lockdown ce n’è uno le cui dirette conseguenze pesano in particolar modo sulle donne, o meglio sulle mamme. È la chiusura delle scuole e in questo articolo ci riferiremo in modo particolare agli asili nido, quelli che accolgono i più piccoli (da 0 a 3 anni). Il problema annoso di questo Paese è la scarsità di offerta di asili (o quanto meno la sua disomogenea presenza sul territorio nazionale), servizi indispensabili e per la crescita del minore e per la conciliazione tra vita professionale e vita familiare delle donne. Perché è inutile negarlo: in Italia l’educazione dei figli è ancora ‘affar di donne’, con le dovute eccezioni. Ma se l’asilo nido è chiuso, non si può uscire di casa, e la madre deve lavorare (in smartworking o meno) il cortocircuito è presto servito.

Questo articolo nasce dalla ‘denuncia’ di una mamma termolese che si è trovata nonostante la chiusura imposta (oltre a quella del famigerato primo lockdown del 2020, a Termoli tutte le scuole di ogni ordine e grado – asili compresi – sono state chiuse dal 1 febbraio con ordinanza sindacale, già prima che il comune e poi la regione fossero dichiarati zona rossa) a dover pagare il servizio. Ricordiamo che, anche se Termoli è zona arancione da lunedì 29 marzo, una nuova ordinanza sindacale ha precluso (anche) ai nidi la possibilità di riaprire. Se ne parlerà, come ha anticipato il premier Draghi, dopo le vacanze Pasquali. Così la mamma: “Non ritengo affatto giusto pagare perché i nidi, a differenza della scuola dell’infanzia (e naturalmente di tutte le altre), non erogano una prestazione compensativa quale può essere la didattica a distanza”.

Già, difficile prevedere la Dad con bambine e bambini così piccoli. Se anche fosse possibile avrebbe bisogno del necessario supporto di un genitore, che gira e rigira sarebbe guarda caso la mamma. È la giovane mamma in questione che ci racconta come sono andate le cose in questo periodo, e in particolare come sono avvenuti i pagamenti. Il regolamento del nido infatti comporta il pagamento annuale del servizio, che può essere rateizzato per venire incontro alle famiglie ma in ogni caso i mesi da pagare sono 11, l’intero anno educativo. È così un po’ dappertutto, come abbiamo avuto modo di verificare, e non è una scelta del solo asilo in questione.

In realtà il Codacons dà ragione alla signora. In una nota del marzo 2021 l’associazione che tutela i consumatori afferma che “Per l’emergenza epidemiologica cagionata dal coronavirus il decreto legge emanato dall’Esecutivo ha sospeso tutte le attività scolastiche per le scuole di ogni ordine, compresi asili nido e scuole dell’infanzia. Sono tantissimi i genitori che si stanno domandando come richiedere il rimborso della retta dell’asilo per chiusura emergenza Coronavirus, perché nonostante l’impossibilità di usufruire del servizio, molti asili nido stanno, comunque, continuando a richiedere il pagamento delle rette, molte volte facendo leva su clausole contrattuali vessatorie”. Così il Presidente del Codacons, Marco Donzelli: “Ci giungono segnalazioni su segnalazioni in merito. Se il servizio non è erogato, nessun corrispettivo economico è dovuto da parte dei genitori. Si tratta di contratti a prestazioni corrispettive, quindi se la prestazione non è erogata, anche se non è colpa della scuola, la retta non va pagata”.

Ovviamente la pandemia e la chiusura imposta, per Decreto o per Ordinanza che sia, non è certo colpa della scuola. Quella che il Codacons e la signora molisana chiamano ‘clausola vessatoria’ è appunto la specifica che le mensilità per qualunque motivo non godute non vengano in ogni caso rimborsate e dunque devono essere pagate per l’intero importo. Probabilmente l’ipotesi ‘epidemia’ non era nella mente di chi ha redatto il contratto ma il 2020 e il 2021 hanno scombussolato i piani.

Ora, dal 2016 c’è un contributo per le famiglie che si chiama ‘bonus nido’ e che è erogato dall’Inps dietro presentazione della ricevuta di pagamento per il servizio educativo. Un intervento di sostegno al reddito delle famiglie predisposto dallo Stato Italiano per il pagamento di rette per la frequenza di asili nido pubblici e privati autorizzati, ma anche di forme di assistenza domiciliare in favore di bambini con meno di tre anni affetti da gravi patologie croniche. Dal 2019 il contributo è stato innalzato e può arrivare ad un massimo di 3mila euro annui. L’importo è però erogato mensilmente e non è uguale per tutti, ma va in base all’Isee del richiedente. Per semplificare, chi ha un Isee più basso avrà diritto a circa 272 euro mensili, chi lo ha più alto (ma non superiore a 40mila euro) avrà diritto a un importo mensile di circa 136 euro.

Bene, fatta questa precisazione andiamo avanti. In questi mesi di chiusura forzata degli asili alle famiglie che avevano un figlio iscritto si è convenuto di chiedere comunque quel bonus, e in molti casi solo quello proprio per non gravare sulle famiglie già ‘orfane’ del servizio. La mamma di cui sopra e anche la titolare stessa di uno dei tre asili privati presenti a Termoli ci spiegano che si è deciso di prendere l’importo del bonus (prima anticipato dalla famiglia, poi dopo qualche mese rimborsato dall’Inps) come corresponsione del pagamento della retta. Rette che, come sanno bene i genitori che usufruiscono di un tale servizio, in genere vanno dai 300 (se l’opzione scelta è quella del part-time) fino ai 500 euro circa (in caso di full-time). Evidente dunque che l’importo del bonus nido non copre interamente il costo del servizio.

I nidi di Termoli (ma probabilmente è avvenuto anche altrove) hanno così deciso di andare incontro alle famiglie facendo loro – per quei mesi in cui il nido è stato chiuso – una sorta di sconto, e ogni struttura ha deciso discrezionalmente il quantum. Alcuni hanno deciso di chiedere alle famiglie una cifra pari a quella del bonus, così che l’utente non dovesse rimetterci alcunchè di propria tasca. È andata pertanto così: io-nido ti faccio una fattura pari all’importo del tuo bonus, tu-genitore presenterai quella fattura all’Inps per richiedere il rimborso.

Sgombriamo subito il campo da polemiche: non si tratta di una truffa a danno dello Stato (i soldi dell’Inps chiaramente sono soldi dei contribuenti) perché è stato lo stesso Istituto nazionale di previdenza sociale a dirimere la questione. Con una circolare del marzo 2020 è stato infatti chiarito che “ciò che rileva ai fini dell’erogazione del bonus asilo nido è l’adempimento dell’onere di pagamento della retta, nascente dal contratto stipulato con la scuola, da cui deriva l’obbligazione del versamento, per la durata dell’anno scolastico, della rata mensile o in un’unica soluzione”. E dunque non l’effettiva frequenza del minore. Una precisazione fatta dall’Inps appunto in riferimento alla fruizione del bonus asilo nido per l’annualità 2020, perché “sono pervenute numerose istanze di chiarimento relative all’erogazione del beneficio da parte dell’Inps anche per le mensilità interessate dalla sospensione dei servizi educativi per l’infanzia a causa dell’emergenza da Covid-19”. Nella stessa nota l’Inps precisa anche che il bonus asilo nido è anche cumulabile con il bonus baby-sitter.

Per l’Inps dunque quanto raccontato sopra si può fare. La mamma termolese, che la circolare in questione la conosceva bene, continua però a nutrire i suoi dubbi. “Un aiuto alle famiglie così di fatto diventa un aiuto di Stato (alle strutture educative per la primissima infanzia in questo caso). Non mi sembra questo lo strumento giusto per aiutare le scuole”. E ancora, la donna rileva possibili questioni di equità: “Il bonus asilo nido deriva da un fondo nazionale. Se io (che per giunta non ho ricevuto il servizio) ne faccio uso magari lo tolgo a qualcuno che invece ne avrebbe bisogno ma che è dopo di me nella graduatoria”. E ancora: “Io devo andare in un patronato o dal commercialista per la pratica del bonus nido. D’accordo, non ci rimetterò denaro ma tempo sì. E poi, se un domani l’Agenzia delle Entrate dovesse contestare la legittimità della fruizione del bonus, visto che gli asilo erano chiusi per legge?”

Sono dubbi, fondati o meno, dietro i quali è possibile leggere l’irritualità di questa situazione e i disagi che inevitabilmente comporta. Anche perché, e qui torniamo alla conciliazione, dover lavorare e stare a casa con dei bambini piccoli non è certo facile.

Non è facile, però, neanche la situazione che stanno vivendo gli asili, imprese private che si reggono solo sulle rette degli utenti. A parlarcene è la titolare di un asilo termolese che conferma che in questi mesi si è andati avanti così, avvalendosi dei bonus Inps per sostenere le spese fisse che comunque, anche se l’asilo non accoglie i bambini, ci sono. Il personale dipendente ha potuto usufruire della cassa integrazione, “ma io che sono una Partita Iva non ho ricevuto alcun aiuto”. Naturalmente c’è l’affitto da pagare, le tasse, e poi un capitolo di spesa tutto nuovo. “Noi per riaprire abbiamo dovuto fare una riorganizzazione del locale, facendo anche interventi strutturali per renderlo adeguato alla normativa anti-Covid”. Ci spiega che non si è trattato, insomma, solo di acquistare igienizzante e mascherine. “Pensate alla sanificazione o ai costi per la consulenza per la sicurezza. O ancora ai tamponi al personale fatti ogni 15-20 giorni. Li abbiamo pagati noi e lo abbiamo fatto per dare una garanzia di sicurezza agli utenti”.

Chi sta dall’altra parte è consapevole delle enormi difficoltà ‘cadute addosso’ alle famiglie. “Per questo ci siamo accordati per diminuire la retta. Ma anche loro (le famiglie, ndr) devono capire noi”. È un periodo duro per chi porta avanti una struttura educativa, che al momento non ha potuto contare su aiuti istituzionali. “Noi ci manteniamo con le rette, è quella la nostra unica entrata economica. Nella scrittura privata che facciamo a inizio anno con le famiglie è scritto chiaro e tondo che la retta è annuale. E molti pagano per intero a settembre. Che poi è la stessa cosa che succede per molte attività, pensiamo a quelle sportive”.

C’è poi un aspetto importante: “Minori entrate, e minori iscrizioni, può voler dire che l’anno successivo i bambini non troveranno più le stesse educatrici”. Perché oltre a una quota parte di personale fisso c’è anche una parte di personale assunto a tempo determinato in base all’esigenza (e dunque agli iscritti) di quell’anno. E un calo, seppur lieve, di iscritti già c’è stato nell’anno a cavallo tra il 2020 e il 2021, complice la ‘comprensibile’ paura del contagio che sta turbando il sonno di molti genitori.

La Dad, per questa fascia d’età, non è possibile. Ma molti asili, con le loro educatrici, si sono ingegnati per garantire un minimo (che però ha un grande valore) servizio. È anche qui che la discrezionalità delle varie strutture educative è venuta fuori. “Ogni giorno organizziamo delle attività per intrattenere i bambini. Canzoncine mandate su whatsapp, messaggi di buongiorno, video-tutorial per fare a casa dei semplici laboratori. Naturalmente abbiamo bisogno del contributo delle mamme. È chiaro che è un lavoro più blando rispetto a quello che facevamo qui, ma devo dire che è molto apprezzato dalle famiglie che ci mandano a loro volta video e foto”. Un servizio alternativo che evidentemente non tutti hanno previsto.

Spaziando con lo sguardo ad altri territori, apprendiamo che il Comune di Bologna nel periodo di chiusura dei nidi pubblici ha inviato una mail a tutte le famiglie. L’Amministrazione ha dato un nome ben preciso, ed emblematico, alle attività da fare nel periodo di sospensione del servizio.

“I Gruppi di Lavoro di nidi e scuole dell’infanzia lavoreranno per mantenere e allacciare rapporti a distanza con i bambini che vengono definiti ‘Legami Educativi a Distanza’ (LEAD)”. E ancora: “Quando il nido o la scuola vanno a casa, si apre una grande opportunità per rinforzare il senso di appartenenza ad una comunità educante in quanto tutti i protagonisti condividono in modo attivo l’esperienza educativa. Queste attività non sono sostitutive dell’attività educativa e scolastica in presenza, ma hanno l’obiettivo di destare interesse, curiosità, promuovere lo scambio tra i componenti della famiglia, emozionare e salvaguardare in questo modo il legame con il nido o con la scuola anche a distanza”.

Tanto per non smettere di guardare a chi le buone pratiche le ha nel Dna.