Senso/59

Mai più nascite a Termoli? Anche il nostro benessere psicologico è a rischio

Oggi, a causa della significativa riduzione del numero di parti rispetto agli standard ministeriali, siamo posti di fronte alla inquietante questione del rischio chiusura del Punto Nascite, ma anche di fronte alla impossibilità che venga garantito dal nostro Sistema Sanitario Regionale il sacrosanto diritto della donna di vivere serenamente l’esperienza della propria gravidanza, dell’evento nascita e della genitorialità in stretto legame con il territorio di residenza e con la sua cultura

Le note vicende che stanno interessando il Punto Nascite di Termoli hanno sollecitato anche la mia attenzione di psicologo e psicoterapeuta. L’acceso dibattito politico sul rischio di una possibile chiusura del reparto di Ginecologia e Ostetricia ha toccato argomenti che spaziano dall’appropriatezza dei ricoveri alla necessità di garantire procedure e protocolli assistenziali conformi agli standard ministeriali e alle linee guida, fino alla definizione di modalità e timing accurati del parto in rapporto alle condizioni di patologia e di rischio perinatale.

 

Oggi, invece, voglio porre l’attenzione su un altro aspetto che reputo di primaria importanza, ossia il significato psicologico della paventata ipotesi di chiusura del Punto Nascite per il singolo cittadino e per le comunità locali. In molti siamo consapevoli di quanta attenzione è stata posta negli anni dal personale medico e paramedico alla promozione di interventi necessari alla protezione della gravidanza, garantendo un’assistenza di base qualificata che è stata complessivamente capace di mantenere uno stato di attenzione e vigilanza utile a prevenire il rischio o a individuarlo precocemente. Ciò si è tradotto, nella maggioranza dei casi – possiamo dirlo senza preconcetti – in un rapporto assistenziale medico-paziente o operatore-utente individualizzato, sicuro e conforme alle evidenze scientifiche esistenti in materia. Questo però non è stato sufficiente ad evitare, in casi specifici, alcune condizioni problematiche che, amplificate emozionalmente, hanno influito sull’esodo di molte coppie verso altri reparti.

 

Oggi, a causa della significativa riduzione del numero di parti rispetto agli standard ministeriali, siamo posti di fronte alla inquietante questione del rischio chiusura, ma anche di fronte alla impossibilità che venga garantito dal nostro Sistema Sanitario Regionale il sacrosanto diritto della donna di vivere serenamente l’esperienza della propria gravidanza, dell’evento nascita e della genitorialità in stretto legame con il territorio di residenza e con la sua cultura, trovandosi in un contesto ambientale  in cui la sanità pubblica di riferimento sta per essere mutilata di presidi e servizi necessari.

Ciò può avere ripercussioni significative sulla capacità di resilienza delle neomamme e dei nascituri, non potendo essere garantita a tutte le donne la continuità dell’assistenza con l’integrazione tra ospedale e territorio, depotenziandosi la collaborazione di un reparto di Ostetricia e Ginecologia con la cura territoriale. Come potrà, infatti, essere garantita una attiva collaborazione di un reparto extraregionale o comunque distante con il Consultorio familiare pubblico e/o con le associazioni di volontariato locali a supporto della persona singola e della famiglia?

 

Non bisogna, infatti, trascurare che la gravidanza e la nascita rappresentano due momenti fondativi per lo sviluppo psico-affettivo di un bambino e richiedono pertanto un approccio integrato, in cui possano essere assicurate consulenze professionali di tipo sanitario, psicologico, sociale, legale, etico, consulenza alla coppia, mediazione familiare, consulenza finanziaria. Senza trascurare l’importanza di un processo nel post-parto che si esplica attraverso un’azione educativa sistemica che dovrebbe essere svolta sul territorio mediante iniziative di prevenzione, informazione e formazione, in ordine alla salute globale del neonato e della sua famiglia. Si tratta di livelli di assistenza integrata e multidisciplinare, accessibili universalmente in Italia, che verrebbero meno nel nostro territorio a causa della perdita di un servizio “ponte” fondamentale.

Un Punto Nascite efficiente dovrebbe infatti essere posto nella condizione di collaborare, nella gestione della singola donna e del singolo neonato, anche con i servizi di psicologia e della Salute Mentale per la diagnosi, la cura e l’assistenza al disagio psichico del post-partum.

E a questo si aggiungano anche le dimissioni protette necessarie alle neomamme straniere che versano in particolari condizioni di povertà ed abbandono. Cosa ne sarà di tutta questa umanità?

 

La problematica evidenziata non riguarda dunque esclusivamente numeri e questioni di organizzazione limitatamente aziendale. Qui si tratta di assicurare un diritto alla salute che non contempla esclusivamente la possibilità di partorire in sicurezza in un reparto ma implica anche livelli ulteriori di assistenza integrata territoriale alla gestazione e alla relazione primaria genitori/neonato, interessando quindi prospetticamente la dimensione psicoaffettiva della coppia genitoriale, del nascituro, del neonato prima, e del bambino, dell’adolescente, e in ultima analisi dell’Individuo futuro adulto poi nel proprio territorio di riferimento.

Il bambino, infatti, alla nascita non è una tabula rasa. Nasce come organismo altamente complesso, con una sua individualità e soggettività neurobiologica di base, anche in condizioni morbose o di disabilità, tale da richiedere una adeguata attenzione dell’ambiente sociale a tutte le dimensioni dell’essere umano; una condizione iniziale ricca di potenzialità ancora inespresse che va tutelata con tutti gli strumenti e gli approcci a disposizione utili a garantire serenità, appropriatezza dell’assistenza medico-psicologica e sociale sin dal concepimento e per tutto il processo di maturazione ulteriore.

La chiusura paventata del Punto Nascite mutilerebbe il sistema integrato socio-sanitario di un anello di congiunzione importantissimo per lo sviluppo dell’individuo, in considerazione della complessità della rete assistenziale che dovrebbe essere garantita intorno al bambino e intorno al Punto Nascite.

 

Nel corso di questi ultimi 20 anni gli studi scientifici e le ricerche neuroscientifiche condotte sullo sviluppo precoce dei bambini hanno dimostrato che le esperienze individuali e sociali dell’essere umano iniziano a strutturarsi a partire dal concepimento e si sviluppano durante tutta la gestazione formando la struttura di base della sua personalità di adulto. Non solo. Siegel, nel 2012, è giunto ad affermare che «La mente è il prodotto delle interazioni tra esperienze interpersonali e strutture e funzioni del cervello», così come è ormai noto agli psicologi che la comunicazione gestante/feto e le interazioni della coppia madre/bambino sono la matrice degli apprendimenti già presenti nel feto e del costruirsi delle prime elementarissime funzioni mentali del neonato. Ne consegue che lo stato di benessere o malessere psichico della madre, le sue tensioni e preoccupazioni, il suo stato di stress negativo possono influire sullo sviluppo neurobiologico del feto e del bambino sin dalle primissime fasi di sviluppo intrauterino.

Noi siamo esseri profondamente relazionali: l’interazione tra il bambino/a e l’ambiente precede l’attività riflessiva della mente, anzi, questa è strutturata anche dalle interazioni con l’ambiente sin dalle primissime fasi dello sviluppo. Un sistema socio-sanitario incapace di garantire l’individuazione e la presa in carico integrata e tempestiva della sofferenza psicologica (come anche del benessere relazionale) che investe anche la perinatalità, impedisce un sereno vissuto interiore della gravidanza e della genitorialità. Al di là della gestazione e del parto, i cittadini necessitano di un sistema integrato che contrasti la solitudine nelle difficoltà relative alla gestione della relazione con il neonato. Il Punto Nascite, in ultima analisi, dovrebbe essere riconosciuto come uno snodo importantissimo di sviluppo di un sistema integrato di cure che nel territorio di riferimento può svolgere tutto il suo potenziale di cura e prevenzione.

 

Ad un livello più profondo la chiusura del reparto può essere equiparato ad un lutto precoce e potenzialmente traumatico o a una condizione ambientale multiproblematica che investe pesantemente la perinatalità: tutto si traduce in un’esperienza psicologica di assenza di un luogo riconoscibile come il “proprio nido”, di perdita di un punto di convergenza delle origini di biografie di diverse generazioni (nonni, genitori, figli, nipoti), di precarietà di un contenitore psichico collettivo fragile che non tiene, non protegge, non accoglie. È come nascere orfani o sottoposti precocemente a forme di grave trascuratezza da parte di un Sistema sanitario responsabile di maltrattamenti istituzionali verso i cittadini.

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