Campobasso

Droga: il fortino in pieno centro, la leadership delle mogli, figli iniziati allo spaccio e pure nonne pusher

La sede operativa di operazione "Lungomare" a Campobasso era in una palazzina di via XXIV Maggio dove un giovane pusher del capoluogo aveva regolarmente firmato un contratto di affitto. In quell'appartamento "vedette" e "turnisti" garantivano il taglio dell'eroina e della cocaina e il successivo confezionamento delle dosi. Determinante nell'organizzazione criminale il ruolo delle donne. Sono loro che decidono, gestiscono, individuano le case e controllano la "rete". Beccata anche la nonna pusher: è la madre del boss

L’appartamento di “Ciro” a Campobasso era in via XXIV Maggio. Praticamente pieno centro urbano.

Un alloggio preso con un regolare contratto d’affitto da un giovane campobassano che nell’inchiesta “Lungomare” è stato raggiunto dal divieto di dimora in Molise, e che in quella casa aveva aperto con “turnisti” e “vedette” la succursale pugliese del laboratorio adibito al taglio di eroina e cocaina e al confezionamento delle dosi.

A questa palazzina, i carabinieri, sono arrivati dopo giorni e giorni di appostamenti, pedinamenti, sospetti e conferme. Perché, furbescamente, in quelle stanze non avveniva spaccio ma si preparava soltanto l’utile da piazzare in seguito sul mercato. Quello campobassano  (come accadeva a Termoli, Campomarino e Larino) ma anche a Gambatesa, Montagano, Campodipietra, Portocannone. Comuni che compaiono frequentemente nelle 12mila pagina di documenti che rivelano giorno per giorno, punto per punto, l’attività organizzata delle 22 persone raggiunte dai provvedimenti restrittivi chiesti dalla Dda e concessi dal Gip Teresina Pepe.

I carabinieri del Nor di Campobasso raccontano almeno 1654 dosi sequestrate per altrettanti episodi di vendita. Solo eroina e cocaina. E sempre più spesso nelle mani di giovanissimi: in due casi hanno poco più di 15 anni, iniziati allo spaccio dagli stessi genitori. Spesso le mamme.

Sì, perché dalle pagine dell’ordinanza quello che emerge e colpisce è proprio il ruolo determinante e decisionale delle donne.

Nuclei perlopiù familiari che da San Severo, a fronte della mole di acquirenti molisani, avevano studiato di espandere i propri affari mettendoli al sicuro nei posti dove nasceva la domanda di mercato. E quindi in Molise.

Una ramificazione lenta e progressiva:  prima Campomarino, poi Termoli, Larino fino a Campobasso e, poco prima degli arresti, anche Campodipietra.

L’inchiesta si riconduce sempre ad un nome su tutti gli altri: Ciro D.R. E’ lui il capo. Il boss indiscusso che organizza e coordina la rete di spacciatori. Suoi sono i profitti. E lui paga compensi e case in affitto.

Ma dietro di lui c’è la first lady dello spaccio: sua moglie Maria M.

Genitori che non si fermano neanche davanti ai figli, anzi – come scrive il Gip – li avviano all’attività.

Uno poco più che sedicenne, già adepto. Con un disciplinare quasi militare esegue gli ordini del padre con puntualità. E’stato sorpreso con eroina e cocaina nelle tasche.

Il secondo figlio, ancora troppo piccolo, assiste però a tutte le attività di compravendita.

All’ombra del boss c’è la moglie. E’ lei l’altro capo indiscusso. Cura in prima persona l’attività criminale, trasporta i “turnisti” nelle case, vende la sostanza, la porta da San Severo e controlla che tutti “lavorino”.

Lei suggerisce al marito quando cambiare appartamento perché diventato insicuro, sempre lei pretende che il marito cacci dall’organizzazione una giovane rumena (poi arrestata)  perché “troppo vicina al marito” e perché “troppo coinvolta in attività che non le competono”.

E’ lei la madre che avvia figli ancora minori allo spaccio e che per vendere ella stessa la droga usa finanche la bambina più piccola nascondendo le sostanze nel passeggino quando esce oppure nel fasciatoio quando gli acquirenti bussano alla porta di casa.

Al fianco della first lady, un’altra donna. Moglie del collaboratore più fidato di Ciro. Marianna, assieme a Maria è parte attiva dell’organizzazione.

Lei trasporta la droga da tagliare, si preoccupa di pulire gli appartamenti quando arriva la ‘soffiata’ relativa ad una qualche perquisizione, sorveglia gli appartamenti e nei trova dei nuovi qualora costretti a lasciare i vecchi.

La più stretta collaboratrice del boss, a Campobasso, è una giovanissima di 25 anni. E’ la promoter sul territorio campobassano.

Conosce la città e i campobassani e quindi indica nomi, dinamiche e facce da sfruttare per l’organizzazione. Abita nei dintorni di via Puglia e la sua è una vita apparentemente normale ma è con il suo importante supporto che il boss pugliese individua a Campobasso tutti gli spacciatori cui poter affidare la roba.

Questa ragazza cerca e produce contatti nel capoluogo  ed indica una casa a Campodipietra per svolgere l’attività di smercio.

E’ lei quella che recupera i soldi della vendita, controlla il comportamento degli spacciatori, si propone per  aiutare l’associazione criminale nei momenti di difficoltà e chiede al capo una promozione nella scalata al potere. E’ in carcere.

Sempre in carcere, ancora un’altra donna. Spietata e senza scrupoli. Oggi ha 32 anni ma gli inquirenti sono certi delinqui da quando era minorenne. Luciana, così si chiama, non esita a sfidare il capo in più occasione. Forte e sicura del rango criminale cui appartiene, ancora minorenne fu già arrestata per rapina aggravata.

Altre donne: la fidanzatina del figlio del boss. Anche lei attiva nello smercio dello droga assieme, fra l’altro, alla sua famiglia.

E poi c’è Italia,50 anni, madre di Ciro, nonna di quei figli già avviati allo spaccio: ella stessa cede le sostanze in casa propria. Conosce quello che svolge il figlio, sa dove nascondono la droga. Osserva tutto. Si presta in aiuto in diverse occasioni. E tace.