Una lezione speciale

“Garibaldi fu ferito”: il luminare termolese Minni ‘ricuce’ la ferita più famosa della storia d’Italia

Storia, chirurgia, 'incursioni' nella mitologia e tanto altro è stata la lectio del professore Franco Minni, termolese che per decenni ha lavorato al Sant'Orsola di Bologna e che nella sua carriera ha inanellato successi e riconoscimenti scientifici. Ancora un evento di rilievo, con un ospite d'eccezione, per il quarantennale dell'Avis Termoli

Proiettile sì, proiettile no. Che fare? Il ferimento più noto della storia d’Italia, quello di Giuseppe Garibaldi nel 1862, oggetto di una fine dissertazione con ‘taglio’ chirurgico da parte del professore Francesco Minni, termolese per oltre 3 lustri direttore della Chirurgia Generale al Policlinico Sant’Orsola di Bologna. Il luminare, da poco in pensione, è stato ospite dell’Avis Termoli che ha organizzato questo interessante evento che va ad aggiungersi ai tanti inseriti nel quarantennale della associazione che promuove la donazione del sangue.

Il ferimento di Garibaldi raccontato dal prof. Minni
Il ferimento di Garibaldi raccontato dal prof. Minni
Il ferimento di Garibaldi raccontato dal prof. Minni
Il ferimento di Garibaldi raccontato dal prof. Minni

 

Ieri 29 ottobre in tanti, autorità comprese, hanno affollato la sala dell’ex cinema Sant’Antonio, pressochè gremita. L’occasione d’altra parte era di quelle che suscitano gran curiosità. “Mi hanno chiamato anche amici del Veneto e di altre regioni per chiedermi che si potesse mandare in streaming l’appuntamento”, così il dottor Pasquale Spagnuolo, presidente della sezione Avis termolese, che ha rimarcato l’intento da parte dell’associazione di voler fare – in una sorta di parallelismo meritorio ed originale – cultura oltre che cultura della donazione, quest’ultima da sempre promossa in primis nelle scuole per i più giovani.

Il ferimento di Garibaldi raccontato dal prof. Minni
Il ferimento di Garibaldi raccontato dal prof. Minni

 

La serata ha preso il la con la fisarmonica del maestro Donato Santoianni che ha suonato la struggente Oblivion di Astor Piazzolla. Poi il presidente Avis ha ricordato all’uditorio le tappe, le attività e i progressi compiuti in 40 anni dall’Avis, prima di invitare sul palco il dottor Minni ed enarrare il suo lungo curriculum. Una vita lavorativa costellata da riconoscimenti scientifici, partecipazione a convegni nazionali e internazionali e centinaia di pubblicazioni per quello che è stato il precursore della chirurgia laparoscopica. Il chirurgo termolese si è occupato in particolare di malattie del pancreas e – come vi abbiamo raccontato – è stato il curatore, in anni recenti, di un manuale di chirurgia per gli studenti universitari.

Del 2019 la sua opera ‘Arte e Chirurgia’, composito lavoro che in definitiva è un viaggio tra i capolavori artistici ispirato ai progressi della chirurgia attraverso i secoli. Volume peraltro presentato a Termoli all’inizio del 2020 e poi tradotto in inglese e presentato a Francoforte.

Ma stavolta il ‘viaggio’ è nella storia, più precisamente negli accadimenti che portarono al ferimento di Garibaldi nell’agosto 1862 in Aspromonte, a seguito di una battaglia con l’esercito regio che voleva fermare la ‘marcia’ che avrebbe portato l’eroe dei due mondi e i suoi a Roma. “In realtà i ferimenti furono due, uno al gluteo sinistro e uno al malleolo del piede destro (e non alla gamba come si pensa e ‘si canta’)”, racconta il dottore che ha analizzato la vicenda da un punto di vista medico-chirurgico e che l’ha raccontata agli astanti con una grande capacità affabulatoria.

Il ferimento di Garibaldi raccontato dal prof. Minni

 

“Nessuno scoop, l’argomento lo conoscono tutti ed è sui libri di storia ma pochi sanno quanto fu tormentato l’iter di Garibaldi fino alla guarigione, che invero completa non ci fu mai”. Da quello scontro a fuoco sul massiccio calabrese ebbe inizio un vero e proprio travaglio infatti per l’eroe nazionale dalla camicia rossa che “possiamo dire fu vittima della sua stessa fama”. Già perchè decine e decine, anche dall’estero, furono i medici (accademici e non) che si affastellarono al suo ‘capezzale’ per risolvere innanzitutto il rebus: c’è o non c’è il proiettile nel piede? Tantissimi propendevano per la seconda opzione (che poi si rivelerà sbagliata) mentre i difensori della prima avevano di fronte a sé un altro interrogativo: amputare l’arto, peraltro già infetto, o no? In quell’epoca l’amputazione era – spiega Minni – un’operazione assai frequente e naturalmente non scevra da complicazioni (leggasi infezioni post operatorie, sovente causa di morte, anche perchè gli antibiotici non esistevano ancora). Nel frattempo Garibaldi era stato portato a La Spezia e ristretto in quanto detenuto. Un detenuto ‘ingombrante’ anche per il Governo che cercava di mettere a tacere le notizie che lo riguardavano, ma invano. Medici – in particolare chirurghi – di tutt’Italia e non solo (arrivarono anche luminari da Londra, Parigi e dalla Russia) volevano visitarlo. Ma alla prova dei fatti quasi nessuno volle prendersi la responsabilità di operare. Un insuccesso infatti avrebbe probabilmente avuto grossa eco e pregiudicato le loro carriere.

Nei mesi successivi Garibaldi usufruì dell’amnistia e potè lasciare il carcere, ma il quadro clinico non accennava a migliorare, così come la diatriba tra medici. A novembre Garibaldì si recò a Pisa e finalmente, dopo tante peripezie, arrivò il giorno della soluzione del rebus. Su suggerimento del medico francese Nélaton il medico italiano Ferdinando Zannetti si decise a inserire nel piede ferito un particolare specillo, che nella parte finale aveva una pallina di porcellana. Proprio il tintinnio della porcellana che aveva ‘incontrato’ il metallo della pallottola permise di sciogliere tutte le riserve e portò poi alla estrazione vera e propria della pallina di piombo che tanto dolore aveva causato a Garibaldi. Una guarigione vera e propria – ha concluso il chirurgo Minni – invero non ci fu mai sebbene ad agosto sull’isola di Caprera – dove nel frattempo Garibaldi era ‘scappato’ – la si festeggiò. “Degli oltre 30 medici che si prodigarono per il suo caso in realtà ebbero ragione i ‘medicucci’, quelli senza grandi meriti accademici”. Ma – anche alla fine del caso – i meriti autocelebrativi se li presero in tanti.

Una lectio davvero speciale che forse il dottor Minni porterà in giro per l’Italia ma che ha avuto a Termoli la sua ‘prima’.

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