Saranno processati con l’accusa di caporalato e sfruttamento del lavoro i tre imprenditori agricoli di Campomarino per i quali lavoravano 7 dei 12 braccianti africani morti in un incidente stradale avvenuto all’altezza del bivio di Ripalta sulla statale 16 il 6 agosto 2018. Persero la vita così, in un frontale fra un tir e il loro furgone sul quale viaggiavano stetti su delle panche e in condizioni disumane.
Già poche ore dopo quella tragedia, che fece grande scalpore ma che probabilmente l’Italia ha presto dimenticato, emerse che 7 di quei migranti – di età compresa fra i 21 e i 41 anni e di varie nazionalità come Gambia, Ghana, Guinea, Mali, Nigeria e Marocco – raccoglievano i pomodori nei campi dell’azienda agricola di Vito di Campomarino.
Quando avvenne l’incidente i lavoratori africani stavano tornando dal Molise alla provincia di Foggia, dove vivevano insieme con tanti altri migranti costretti a fare i lavori più umili e faticosi con paghe spesso molto basse.
Ripalta, vittime identificate. Imprenditore molisano: “Erano braccianti regolari”
Il titolare dell’impresa agricola molisana, pochi giorni dopo la tragedia, assicurò che i suoi 7 dipendenti africani erano regolarmente assunti, ciononostante l’indagine portata avanti dalla pm Ilaria Toncini e relativa al presunto caporalato è giunta ieri a uno snodo fondamentale.
Si è svolta infatti al tribunale di Larino l’udienza preliminare fissata dalla giudice Rosaria Vecchi. I tre imputati difesi dagli avvocati Vittorino Facciolla, Andrea Codispoti e Angelo Prozzo non hanno chiesto alcun rito alternativo. La giudice Vecchi ha quindi fissato la prima udienza dibattimentale al 14 ottobre prossimo.
I tre imprenditori agricoli dovranno rispondere del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, conosciuto comunemente come caporalato.
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