Sono giovani ma hanno già visto cose terribili del mondo. Arrivano da una terra lontana, ricca ma impoverita da quella che molti definiscono una narco dittatura. Loro sono i medici venezuelani arrivati da pochi giorni in supporto al personale sanitario del Molise, stremato da anni di tagli e da tredici mesi di emergenza covid.
Grazie all’accordo fra la struttura commissariale della Sanità molisana e l’associazione Venezuela – La Piccola Venezia guidata dalla giornalista italo-venezuelana Marinellys Tremamunno, al momento 18 medici venezuelani sono stati dislocati da questa settimana nei tre ospedali pubblici molisani e un altro è in arrivo tra pochi giorni.
Quattro quelli giunti a Termoli e fra loro la dottoressa Clemencia Ortiz, specializzata in chirurgia, e Kevin Rincon, medico generale, che hanno accettato di raccontare a primonumero.it le loro prime esperienze molisane.
“Abbiamo avuto una grande accoglienza da parte di Termoli, grazie al sindaco e ai suoi assessori che ci hanno dato il benvenuto. In ospedale il capo reparto, medici e infermieri sono tutti molto gentili e disponibili”.
Insieme ad altri due medici venezuelani alloggiano in appartamenti a poca distanza dall’ospedale San Timoteo di Termoli. Si muovono a piedi e fanno anche centinaia di metri di saliscendi per raggiungere il supermercato più vicino. Non deve essere facile per chi arriva dall’altro capo del mondo ambientarsi in un posto dove i locali pubblici sono chiusi, i mezzi di trasporto pubblico viaggiano a mezzo servizio ed è praticamente impossibile socializzare dovendo mantenere il distanziamento fisico e mascherine che rendono persino difficile farsi comprendere.
Termoli in zona rossa all’epoca del covid-19 è anche questo e loro non si lamentano. “Ho visto il lungomare quando sono andata a prendere il treno, è fantastico” racconta la dottoressa Ortiz che da 3 anni vive in Italia e ha lasciato momentaneamente marito e due figli a Giulianova, in provincia di Teramo.
“Termoli per me è una sorpresa, è molto bella anche se l’ho vista poco – aggiunge il dottor Rincon -. Ma non vedo l’ora di girarla meglio”. Le differenze con il Venezuela certamente non mancano. “La prima cosa che notiamo è il clima perché da noi è sempre bel tempo e puoi andare in spiaggia tutto l’anno. Qui in Italia invece d’inverno fa molto freddo” dice la dottoressa Ortiz.
Il dottor Rincon ha lavorato anche a Udine e a Roma prima di arrivare in Molise, una terra che ha appena conosciuto ma dove spera in futuro di poter rimanere. “Abbiamo un contratto di un solo mese e speriamo venga rinnovato – dicono entrambi -. Sarebbe un onore per noi far parte della sanità italiana e molisana”.
Quando parlano della loro terra lasciata con molto dolore il pensiero non può non andare ai familiari. “La famiglia è quella che ci manca di più, poco tempo fa ho perso una zia a causa del covid – rivela il dottor Rincon – e delle pessime condizioni del sistema sanitario venezuelano”.
Per loro infatti lavorare in Italia è un passo avanti enorme in termini di sicurezza, equipaggiamento, tecnologie. “Da noi mancano attrezzature e macchinari. Al pronto soccorso capita tutti i giorni di curare gente che è stata aggredita o ferita con colpi di pistola. Per noi medici, soprattutto per i chirurghi, è molto pericoloso anche uscire di casa perché i criminali credendoci ricchi ci potrebbero aggredire e rapinare”. Nel loro passato c’è un Paese che definiscono “sfruttato e corrotto”.
La loro presenza in Molise è un grande messaggio di solidarietà e di speranza in un momento difficile che anche grazie al loro impegno potrà essere superato. In un futuro più lontano il pensiero torna sempre al Venezuela sperando che prima o poi questo Paese trovi pace e giustizia sociale.
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