Automotive

Stellantis apre le porte alla Cina (e abbandona Termoli?)

La partnership da 1,5 miliardi tra Stellantis e Leapmotor segna un colpo decisivo per l’industria italiana delle auto elettriche, con ripercussioni non solo economiche e occupazionali, ma anche geopolitiche.

Dalle informazioni rilasciate da Stellantis questa mattina, 24 settembre, emerge chiaramente che il colosso automobilistico ha deciso di abbandonare il progetto della Gigafactory di batterie a Termoli, consegnando di fatto il mercato italiano delle auto elettriche alla Cina. L’accordo con Leapmotor, che prevede l’investimento di 1,5 miliardi di euro  (a ottobre 2023) e il lancio di modelli cinesi a basso costo sul mercato europeo, segna la conferma della svolta nelle strategie aziendali della casa automobilistica italo-francese-americana, a discapito delle infrastrutture produttive nazionali.

Questo spostamento delle priorità non avrà solo conseguenze economiche e occupazionali, ma potrebbe compromettere l’indipendenza geopolitica italiana nel settore automotive. Con il mercato europeo delle auto elettriche in una fase critica, l’Italia rischia di diventare sempre più dipendente dalle importazioni cinesi. La partnership con Leapmotor vedrà un’espansione rapida della presenza cinese sul nostro mercato: già nel 2024 sono previsti 350 concessionari in Europa, destinati a diventare 500 entro il 2026. Modelli come la piccola cittadina T03 e il SUV C10 saranno protagonisti di una rivoluzione commerciale che potrebbe soffocare la capacità produttiva nazionale.

 

Carlos Tavares, CEO di Stellantis, ha dichiarato che la Cina conquisterà fino al 10% del mercato europeo delle auto elettriche, un chiaro segnale di quanto l’Europa sia vulnerabile alla concorrenza asiatica. Di fronte a questa prospettiva, il progetto Gigafactory di Termoli, che avrebbe creato migliaia di posti di lavoro e stimolato l’innovazione nel settore delle batterie, appare ormai un’occasione mancata. Definitivamente mancata.

Con questa mossa, Stellantis sembra aver scelto una strada che privilegia l’efficienza economica a breve termine, ma che lascia l’Italia esposta alle ripercussioni economiche, occupazionali e geopolitiche di una crescente dipendenza dalla Cina, minacciando sia la competitività industriale che l’indipendenza del mercato nazionale.

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