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La rivoluzione dell’auto elettrica: Termoli al centro della trasformazione globale/ DALLE ORIGINI ALLA SFIDA MODERNA

La storia dell'auto elettrica ha radici più antiche di quanto si possa immaginare, precedendo l'invenzione dei motori a combustione interna. Dall'innovativa tecnologia del motore elettrico nell'Ottocento alla supremazia della Ford Model T, fino alle più recenti ricerche sui veicoli ibridi, questo articolo ripercorre le tappe cruciali dell'evoluzione dell'auto elettrica e le sue attuali prospettive, con un occhio verso il futuro della mobilità sostenibile.

Breve storia della modalità elettrica e dei suoi sviluppi

La conoscenza dei principi di funzionamento del motore elettrico è ben anteriore alla nascita del motore a scoppio e nasce con la scoperta delle leggi fisiche sull’elettricità e delle sue applicazioni avvenute nel corso del XIX secolo (con il contributo di illustri scienziati italiani come Alessandro Volta, inventore della pila, Antonio  Pacinotti, inventore della dinamo e  del motore elettrico a corrente continua, e Galileo Ferraris, inventore del motore asincrono a corrente alternata).

Il motore elettrico ha precorso dunque i tempi di Nikolaus August Otto e Karl Benz, i quali solo successivamente crearono e svilupparono il motore a benzina.

Ed in effetti fu proprio la tecnologia elettrica  ad essere maggiormente utilizzata non solo negli Stati Uniti, ma anche in Italia e in Europa, nelle prime applicazioni nel campo della trazione di veicoli a ruota.

Già a quell’epoca avere un sistema di propulsione pulito (nel vero e proprio senso della parola, essendo privo di olii e carburanti), costruttivamente più semplice, più facilmente fruibile e manutenibile rispetto ad un sistema a combustione interna  rendeva l’uso di questa modalità più conveniente  tanto che  la commercializzazione dell’auto elettrica iniziò ben prima di quella della sua controparte con motore a combustione interna. All’inizio del 1900 ne circolavano infatti diverse migliaia di esemplari e addirittura  negli Stati Uniti esse costituivano un terzo del parco circolante.

A quell’epoca l’auto a benzina si presentava rumorosa , emetteva fumo, vibrava, perdeva olio ed era difficile da avviare (si pensi alla pesante e scomoda manovella da utilizzare per il suo avviamento). L’auto elettrica con le sue batterie ricaricabili al piombo (introdotte per la prima volta  nel 1858) aveva “semplicità” nell’uso immediato ed era silenziosa, inodore e pulita.

E’ del 1884 la prima auto elettrica “completa”, realizzata dal britannico Thomas Parker  e  provvista di batterie da lui stesso progettate.

Nel 1891 il conte Giuseppe Carli di Castelnuovo di Garfagnana mette a punto assieme all’ingegner Francesco Boggio la prima vettura elettrica italiana.

La tecnologia del motore elettrico applicato alle quattro ruote era così conveniente che nell’ultima decade dell’ottocento in Francia si studiava persino l’installazione di colonnine ricarica per auto elettriche.

L’auto elettrica si era quindi avviata alla fine dell’ottocento/primi del novecento ad un promettente sviluppo, ma nel 1908 il lancio della Ford T a benzina, prima automobile prodotta in serie al mondo da Henry Ford, ne sbarrò la strada.

La Ford Model T, prima vettura con motore endotermico, calmierò sensibilmente i prezzi, grazie alla riduzione dei costi di produzione ottenuta attraverso un’applicazione scientifica delle metodologie di produzione (in particolare la catena di montaggio ed economie di scala realizzate con l’impiego di grandi quantità di componenti tutti uguali tra loro),  cosa che rese la Model T in breve tempo l’auto “alla portata di tutti”, anche delle persone più comuni, visto il prezzo di vendita di ben sei volte inferiore a quello di un’auto elettrica.

L’auto elettrica, quindi, pur sembrando la modalità di trazione più promettente per l’epoca, fu immediatamente superata dalla tecnologia  ICE che con i suoi costi di produzione e con le sue caratteristiche di alimentazione pratiche e altrettanto a basso costo  (l’estrazione di combustibili fossili ad opera delle grandi compagnie petrolifere e la capillarità con cui vennero installate le stazioni di rifornimento contribuì al successo dell’operazione) le permisero di svincolarsi da quella dicotomia diventando così la tecnologia predominante che è durata fino ad oggi e relegando l’elettrico a pura ricerca di soluzioni estemporanee  prive di qualsiasi stimolo  per eventuali convenienze di cui potevano giovarsi le varie Case produttrici.

E infatti, dopo vari singoli episodi,  costituiti più da iniziative isolate che da eventi scaturiti da una effettiva volontà di perseguire nuove strade, una ripresa degli studi sui propulsori elettrici e ibridi si verificò negli anni ’70, dopo la prima crisi energetica che, per l’improvviso aumento del prezzo dei carburanti, stimolò l’avvio di ricerche per limitare il consumo di prodotti petroliferi.

La X1/23, prototipo presentato dalla FIAT al Salone dell’Automobile del 1972, costituisce un esempio di questo periodo. Si trattava di una minivettura, tecnicamente simile a un’automobile convenzionale del tempo, che con 166 kg di batterie al piombo raggiungeva un’autonomia di 70 km.

 

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Fiat X1/23

Nel 1978 sempre la FIAT, con il suo CRF (Centro Ricerche Fiat, eccellenza tecnologica italiana nel mondo), allestì la 131 Ibrida. Un motore a combustione interna, il 903 cm3 di cilindrata e 33 CV di potenza derivato da quello della 127, era collegato ad un motore a corrente continua da 24 kW; la potenza totale raggiungeva 65 CV. Lo spazio abitabile non era diminuito, ma metà del bagagliaio era occupato da batterie. Le prestazioni non erano tanto diverse da quelle della “sorella” 131 con motore a benzina 1300 cm3 e si migliorarono i consumi del 25%. I risultati, anche se molto promettenti, non incoraggiarono, tuttavia, lo sviluppo di applicazioni pratiche, a causa dei costi di industrializzazione, allora giudicati eccessivi e dalle dimensioni ridotte del bagagliaio.

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Fiat 131 ibrida

Ricerche in questo settore furono successivamente svolte anche da altre Case, apportando alle auto ibride elettriche miglioramenti tecnologici sostanziali, soprattutto grazie allo sviluppo dell’elettronica (microprocessori) e di  batterie al Nichel e, in seguito, agli ioni di Litio.

Una certa vitalità per il mondo delle auto elettriche si (ri)scopre negli anni ‘90, quando alcuni marchi europei decidono di esplorare la mobilità a batteria.  In particolare sono le Case francesi e la FIAT (per ironia della sorte alcune delle quali faranno poi parte nel 2021 del Gruppo Stellantis)  a presentare alcuni modelli che però non avranno successo sul mercato.

Tra   questi     ricordiamo la Fiat Panda Elettra,     prodotta     a   partire dal  1990 e  riconosciuta come la prima auto elettrica di serie di un grande costruttore in era moderna. La Casa italiana, peraltro,   diventa   il primo     costruttore   a   lanciare  più  di un’auto a batteria nella propria gamma, poiché dal 1992  alla Panda si affianca anche la Cinquecento Elettra.

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Fiat Panda “Elettra”

La giapponese Toyota, con la Prius nel 1997, iniziò invece a commercializzare un’auto con lo schema propulsivo ibrido (motore elettrico accoppiato a motore ICE).

Arriviamo così ai giorni nostri nei quali i  vincoli di sostenibilità ambientale e di disponibilità delle fonti energetiche hanno indotto l’Unione Europea a decretare l’anno 2035 come termine per la vendita di vetture con motori ICE.

Il prossimo articolo tratterà le prospettive future alla luce degli attuali scenari di mercato.

 

 

 

 

 

Siti consultati

https://elettronauti.it/storia-auto-elettrica-indice/

https://ruoteclassiche.quattroruote.it/fiat-131-ibrida-unoccasione-mancata/

https://www.fcaheritage.com/it-it/heritage/storie/fiat-panda-elettra

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