Centenario liceo mamiani

Grandi molisani/ Raffaele Tullio, quel preside simbolo della bufera sessantottina 

Il prestigioso Liceo Mamiani di Roma festeggia il centenario dell’inaugurazione dell’edificio neo-barocco che lo ospita. Dai suoi banchi sono usciti studenti illustri come il Premio Nobel Emilio Segre, Altiero Spinelli, Lucio Lombardo Radice, Eugenio Scalfari, Nicola Piovani, Silvia D’Amico e centinaia di talenti. Per l’occasione Giuseppe Tabasso ci ricorda un indimenticabile molisano che del Mamiani fu un pezzo di storia.

Ci dev’essere un destino anche nelle date di morte. Quella di Raffaele Tullio è avvenuta giusto all’alba del 30º anniversario del tanto amato-odiato movimento studentesco del ‘68 e alla fine di un anno che ha visto una poco esaltante fotocopia della bufera esplosa nel suo storico “occhio del ciclone”: il Liceo “Mamiani” di Roma di cui Tullio fu appunto l’amato-odiato preside.

Nel celebre istituto del quartiere Prati la protesta esplose il 15 marzo 1968 ed ebbe tra i suoi protagonisti ragazzi di sicuro avvenire, come Giuliano Ferrara, Paolo Liguori, Nanni Moretti, Antonella Amendola (figlia di Giorgio) e ancora Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, che raccontarono poi quell’esperienza nel best seller Porci con le ali scritto con Giaime Pintor (omonimo di suo zio, giornalista ucciso nel ‘43 da una mina tedesca nel Molise).
Sulla “epopea” sessantottina del “Mamiani” si è scritto molto, ma all’indomani della scomparsa di Raffaele Tullio, mi pare doverosa una riflessione su quel ruolo di “padre, padrone, padreterno” che gli fu attribuito da quei ragazzi alla ricerca di padri simbolici da uccidere ad ogni costo.
Il preside Tullio, filo socialista e Presidente dell’Associazione Nazionale dei Presidi, fu il bersaglio iniziale e capro espiatorio di una protesta che si sarebbe incattivita fino all’illegalità, ne rimase profondamente colpito al punto da giungere alle dimissioni.
Molti anni dopo a quei ragazzi idealisti e rivoluzionari in erba, “figli del privilegio” che avevano “il culo nel burro”, come si disse di loro, l’ex preside contrappose (in un pamphlet dal titolo Quasi un diario) l’autoritratto di un emblematico ragazzo: “Nato in un piccolo paese molisano di mille abitanti, a casa non avevo acqua, né luce elettrica, né gas, né riscaldamento… per frequentare la prima ginnasiale percorrevo con esili gambette 8 km di strada a piedi, alzandomi d’inverno e d’estate alle sei del mattino… e una volta fui raccolto svenuto per strada e portato da pietosi contadini davanti ad un grande camino acceso per ridarmi i sensi”.
Da primo e più esposto e contestato preside d’Italia, Raffaele Tullio si sentiva prima di tutto un educatore, comprese le ragioni della contestazione ma non seppe reggerne i risvolti iconoclastici. Da “uomo all’antica”, come lo definì un cronista, egli non capì ad esempio perché gli si schierassero contro perfino due suoi professori (Lami e Manacorda) autori di libri che lo stesso Tullio, ben conoscendo le loro idee di sinistra, incluse in una collana da lui diretta. Tuttavia, un altro suo apprezzato allievo, il prof. Vitiello, comunista dichiarato e autore di un altro testo, si rifiutò di firmare un documento contro il preside riconoscendogli l’assenza di preclusioni ideologiche.
Tullio visse così un vero e proprio dramma esistenziale: quello di un intellettuale senza paraocchi ideologici e quello dell’integerrimo educatore paradossalmente trasformato nel simbolo di un Sistema oppressivo da abbattere. Così, con un gesto libertario e liberatorio dai significati uguali e contrari a quelli dei suoi contestatori, Raffaele Tullio diede fine alla sua carriera. Lui così tollerante non sopportò d’essere la vittima sacrificale di una intolleranza ideologica. Ecco perché l’ultima attualissima lezione che egli ci lasciò fu quella di una tolleranza non disgiunta dall’intransigenza.
Ai suoi funerali romani parteciparono centinaia di persone. Mi piace pensare che a rendergli l’estremo saluto ci fossero anche allievi che lo avevano contestato.
Ricercatore di storia greca e medioevale, Tullio scrisse un documentato saggio sull’origine del nome “Molise” da lui attribuito al cavaliere Raul de Moulins che scese nel sud Italia dal villaggio normanno Moulins-la-Marche dove mi recai per conto del mensile “Molise”. Al ritorno andai a Macchia d’Isernia, residenza estiva di Tullio, per consegnargli da parte del sindaco di Moulins, Jean-Pierre Chevalier, il vessillo municipale. Felice come un bambino lo appese religiosamente ad una parete del suo studio-museo e mi abbracciò commosso.
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