Il contributo

Quale autonomia per il Molise? Natale (Confindustria) contrario alla riforma che penalizza imprese ed economia

Il vice presidente nazionale di Piccola Industria, nonché vice presidente di Confindustria Molise, Mauro Natale, interviene nel dibattito sull’autonomia differenziata.

“Si discute in queste settimane del referendum che dovrebbe abolire la legge sull’autonomia differenziata, approvata nei mesi scorsi dal Parlamento e fortemente voluta dalla componente ‘nordist’ del Governo.
L’opposizione a questa legge non è solo questione di legittimità costituzionale, che pure viene segnalata da numerosi studiosi, ma soprattutto di carattere politico, intendendo con questo l’idea di sviluppo sociale, economico e civile che hanno i partiti presenti in Italia.
Mentre a destra non si fa altro che sbandierare questa riforma come un’opportunità che si apre per tutte le regioni, quindi anche quelle del Sud, di destinare le risorse finanziarie al proprio territorio senza alcuna direttiva o imposizione da parte del Governo centrale, andando quindi ad intervenire su ciò che si ritiene più meritevole di essere sviluppato, la sinistra, e quasi tutte le regioni meridionali, vedono invece soltanto, e molto chiaramente, una drastica riduzione delle risorse disponibili nei propri territori e quindi la sostanziale impossibilità di finanziare alcunchè, anche ciò che è necessario per la sopravvivenza delle regioni stesse.
Possiamo entrare nei dettagli della legge, evidenziando che, rispetto alla prima versione, sono stati recepiti ulteriori principi, almeno a livello teorico, quali il rispetto dell’unità nazionale, la rimozione delle discriminazioni e delle disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, il rispetto della coesione economica, sociale e territoriale, il rispetto dei principi solidaristici costituzionali, la garanzia dei diritti civili e sociali.
Si chiarisce, poi, nella versione approvata, che i LEP debbano essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale (art. 1 co. 2), nonché nel rispetto dell’art. 119 della Costituzione (cioè, dei principi di perequazione tra territori). Si tratta di un’aggiunta di non poco conto tra le finalità da perseguire con l’autonomia differenziata, poiché comporta conseguenze finanziarie per lo Stato.
L’inserimento del principio di equità, che richiama non solo un concetto di uguaglianza delle prestazioni, ma anche di ripartizione delle relative risorse in base alle differenti caratteristiche territoriali, implica infatti che lo Stato debba farsi carico di intervenire ogniqualvolta una determinata prestazione (afferente a diritti civili e sociali) non rispetti tale principio, chiaramente nei limiti delle risorse disponibili.

Ma tutto ciò evidentemente non basta a convincere i cittadini del Sud che non ci saranno lesioni ai propri diritti civili e sociali, che devono essere garantiti uguali sull’intero territorio nazionale.
La legge Calderoli cerca di realizzare un compromesso e uno scambio con le altre regioni, con la promessa dell’attuazione e finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep): a fronte della devoluzione di competenze alle regioni, ci sarà il finanziamento dei Lep.
Ma in questo modo non si scioglie, comunque, il nodo originario delle intere materie oggetto di negoziato. Oltre a sanità, istruzione e a qualche altra, ci sono le materie non Lep: infrastrutture, energia, ambiente, per citarne alcune. Politiche strategiche come queste sono necessariamente multilivello ed è ancor più evidente la irragionevolezza di uno spostamento integrale di competenze sulle regioni, del superamento di qualsiasi ruolo dello Stato e della disordinata moltiplicazione di diversi assetti su vaste porzioni del territorio, con le gravi conseguenze negative che denunciano gli economisti.
Il trasferimento pressoché totale di competenze alle regioni genera, poi, un’altra serie di criticità. Tra queste un aumento consistente delle tasse locali e un deterioramento della qualità istituzionale.
Le regioni più deboli economicamente dovranno necessariamente aumentare le imposte locali, ma non lo faranno più di tanto, un po’ per limiti oggettivi, un po’ per scongiurare il giudizio negativo degli elettori.
Inoltre la frammentazione legislativa si scontrerà anche con la mancanza di competenze delle amministrazioni regionali, impreparate a gestire la nuova mole di norme da applicare sul territorio, norme per giunta diverse da regione a regione e quindi con l’impossibilità di seguire interpretazioni univoche. Da qui anche un aumento inevitabile del contenzioso.
Queste criticità incideranno in maniera considerevole sugli investimenti privati, soprattutto quelli nuovi, che si concentreranno lì dove le imposte sono più basse e i servizi, anche pubblici, più efficienti.

Senza addentrarsi, quindi, in questioni giuridiche complesse, che pure esistono, i cittadini meridionali ben comprendono quanto sia dannosa questa riforma: non solo peggiorerà i servizi pubblici regionali, già abbastanza provati dalla carenza di risorse e di personale, ma in generale porterà ad un impoverimento diffuso, dovuto all’arretramento della competitività del sistema imprenditoriale.

Confindustria è stata abbastanza critica sul provvedimento: già da tempo ha espresso le proprie perplessità su quello che era ancora un disegno di legge, nella convinzione che avrebbe significato un ulteriore carico di complessità per la gestione delle imprese, con il moltiplicarsi delle normative e il peggioramento dei servizi pubblici in molte aree del Paese. Oggi, confermando quanto temuto, manifesta le proprie preoccupazioni soprattutto sulle modalità di attuazione della riforma, e ne sta monitorando l’evoluzione già dalle prime fasi, quando cioè dovranno essere raggiunte le intese tra lo Stato e le Regioni richiedenti l’autonomia.
Alle imprese, così come alle persone, serve un Paese unito e coeso, dove la burocrazia sia ridotta al minimo e gli investimenti, pubblici e privati, possano essere programmati non su scala locale ma nell’ambito di strategie territoriali di ampio respiro, senza scontare inciampi normativi e visioni di sviluppo differenti nell’ambito di pochi chilometri quadrati.
Questo vale ancora di più per una regione piccola e fragile come il Molise, dove nessuna crescita è possibile se non è inserita in un conteso più ampio, in una rete di investimenti e in partenariato con altri territori ed altre istituzioni, facenti capo ad un’unica strategia di sviluppo nazionale.
Abbiamo bisogno quindi di semplificazione normativa, sia a livello nazionale che a livello locale, e di un alleggerimento delle tasse regionali, per ripristinare la competitività del nostro territorio, privo di risorse proprie da investire per lo sviluppo.
Non crediamo che la nostra Regione possa farcela da sola e per questo saremo particolarmente attenti affinché l’attuazione di questa riforma non penalizzi ancor di più il nostro sistema imprenditoriale ed economico”.

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