L'Ospite

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Dire grazie!

Ricordo da bambino mi dicevano sempre di ringraziare. Se uno ti donava qualcosa anche di piccolo come una caramella, una noce sempre dire grazie. Sono cresciuto con questa “disponibilità” di dire grazie anche per le piccole cose.
Saper dire grazie vuol dire riconoscere il dono che un altro fa nei tuoi confronti.

Ci sono studi a livello scientifico affermano che dire grazie produce bene. Una università americana ha confermato che dire grazie sul posto di lavoro anche per cose minime produce il bene, con i grazie vale la regola del “more is more” vale a dire che più se ne dicono, più ne torneranno indietro.

In un mondo fortemente individualista e narcisista il dire grazie è fortemente sottovalutato, la gratitudine tende a essere una dote dimenticata. E invece ha un forte impatto positivo.
Non solo aiuta a mantenere buoni legami sociali, che siano rispettosi del tempo e dell’impegno dell’altro e che siano improntati sulla reciprocità, ma serve anche a sottolineare l’importanza imprescindibile dell’altro.

Se io ringrazio qualcuno, sto riconoscendo a quella persona un ruolo importante per me e sto anche capendo e accettando a livello inconscio di aver bisogno dell’altro.
Il mistico tedesco Angelus Silesius (1624-1677) diceva che ringraziare Dio è sintomo di libertà e di sicurezza.
Sulla scia del filosofo Martin Heidegger (1889-1976) possiamo affermare che la capacità di ringraziare nasce dal ri-conoscimento di sé: chi sa dire grazie è in grado di andare incontro all’altro con semplicità perché non ha bisogno di imporsi, sa già di essere una persona di valore. Spesso il filosofo diceva: danken ist denken (pensare è ringraziare).

Ora possiamo fare un passo in avanti ed affermare che essere è ringraziare. Cristo ci ha insegnato il dono, il saper dare, il ringraziare. La vita di Cristo non è altro che un sapersi dare e donare all’altro. Egli muore per gli altri, in riscatto per.
È interessante che il verbo e la parola per dire ringraziare in greco è eucaristia. Ogni volta che ci riuniamo in Chiesa per pregare e spezzare il pane della parola e bere il calice della salvezza noi facciamo eucarestia.
Alla base del verbo eucaristia c’è il termine karis che ricorda la gioia, il rallegrarsi, da cui in italiano caro, grazia etc.
Quindi eucarestia vuol dire rendimento come atteggiamento di gratitudine a Dio. Nel tempo eucarestia passa a significare quello che Gesù ha fato nell’ultima cena: prese il pane e il vino e lo diede ai discepoli dicendo… fate questo in memoria di me.

Il passo del vangelo di Giovanni è una chiara allusione all’eucarestia, il vero miracolo non è tanto quello di moltiplicare il pane e sfamare tanta gente il vero miracolo è far diventare la vita dono, ringraziamento buono.
Gesù, quel giorno, non ha risolto il problema della fame con il denaro, non ne aveva; è stato aiutato da un ragazzo che teneva per sé cinque pani e due pesci, questi capisce e dona, rinuncia al suo perché l’amore potesse moltiplicare.

In una società profondamente commerciale dove tutto viene venduto e comprato i credenti hanno un segreto grande: il dono di sé che diventa eucarestia di salvezza.
Dire grazie e saperlo dire sempre è la strada per confermare il dono del pane di vita.
Signore Gesù, non permettere che l’egoismo ci impedisca di dare il poco con cui realizzi la gioia di tutti.

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