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Perchè avete paura?

XII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B
Perché avete paura? (Mc 4,35-41)

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Nella tradizione cristiana, forse proprio partendo da racconti come questo, si è usata spesso la metafora della barca per indicare la chiesa. Gli stessi discepoli sono stati chiamati da Gesù per diventare “pescatori di uomini”. È quindi molto probabile che l’evangelista pensasse alla sua comunità, che aveva appena vissuto una sofferenza immane, che forse si può identificare con l’uccisione dei cristiani a Roma per ordine di Nerone. A quei cristiani l’evangelista vuole semplicemente ricordare che, nonostante le persecuzioni, Gesù è presente e operante in mezzo a loro, anche se non lo è più materialmente: il sonno di Gesù è probabilmente la metafora della sua morte in croce, che lo ha reso invisibile ma, ci ricorda la fede nella risurrezione, non assente ma vivo ed operante in mezzo alla comunità, dando forza per resistere ad ogni tipo di male (di cui il mare in tempesta è l’immagine). Il messaggio è semplice, anche se ci vuole fede per comprenderlo (non avete ancora fede? Chiede Gesù): se Gesù ha vinto la morte e vive ormai alla destra del Padre, non dobbiamo arrenderci e scoraggiarci nelle difficoltà e soprattutto dobbiamo ricordare che è Lui che vince il male, non i nostri strepiti, né le battaglie fatte spesso con un linguaggio violento e sprezzante per chi non la pensa come noi, in direzione opposta a quanto Pietro raccomandava nella sua lettera: “Rendere ragione della speranza che è in noi ma facendolo con dolcezza e rispetto”. L’acidità nell’affermare i propri principi, ci dice Pietro, è direttamente proporzionale alla mancanza di fede in quel Gesù che non ha chiamato schiere di angeli per sbaragliare Caifa e Pilato, ma “maltrattato non rispondeva con oltraggi e soffrendo non minacciava vendetta”. Le prime comunità avevano difficoltà a resistere perché erano piccole e deboli come barchette nel grande mare dell’impero che le perseguitava. Ciononostante, vivevano la memoria grata e coraggiosa della vittoria di Gesù già avvenuta. Oggi che, come chiesa, veniamo dopo secoli di dominio delle società e delle coscienze, abbiamo difficoltà a rivivere quella stessa esperienza che era la fede semplice e disarmata dei primi cristiani. La vera domanda oggi, forse, non è su chi sia colui a cui anche il vento e il mare obbediscono, ma se abbiamo a bordo Gesù, non sulla piccola barca che era la prima comunità cristiana, ma su quella nave grande e lussuosa che assomiglia sempre di più ad un Titanic.

Michele Tartaglia

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