Dopo il voto

Dimissioni di massa, ultimo atto di una strategia elettorale sbagliata che ha messo il centrodestra in un vicolo cieco

L'ipotesi dimissioni di massa nel centrodestra che ha la maggioranza in Consiglio comunale naufraga prima ancora di salpare: una sequela di errori ha portato la coalizione di Aldo De Benedittis a perdere nonostante il vento in poppa. E ora che la filiera istituzionale si è frantumata si ragiona su come evitare il commissariamento

Quella delle dimissioni di massa dei 17 consiglieri comunali del centrodestra, proclamati appena ieri pomeriggio in Municipio, poteva essere una mossa ‘da manuale’ per chi ha la maggioranza degli eletti. Non diventare la stampella di nessuna anatra zoppa e ridare la parola ai cittadini, però, comporta dei rischi: Campobasso andrebbe incontro a un lungo periodo di commissariamento che cancellerebbe in un colpo solo ogni idea di rilancio, pianificazione e progettazione immaginabile.

Ecco perché l’idea di andare tutti assieme da un notaio per ratificare questa decisione ha perso quota prima ancora di decollare. Ad eccezione dell’ordinarietà, il capoluogo dovrebbe ‘tirare a campare’ per una decina di mesi. Un periodo lungo per tutti, compresi gli eletti che dovrebbero affrontare un’altra campagna elettorale (e le campagne elettorali costano soldi e fatica) senza avere certezza dell’esito. Per di più affrontandola con la responsabilità di aver fatto arrivare un commissario prefettizio in Comune al posto di Marialuisa Forte con la quale la coalizione dello sconfitto Aldo De Benedittis potrebbe aprire un dialogo indirizzando l’azione di governo grazie al numero maggiore dei suoi eletti. Influenzandola  e prendendosi, perché no, incarichi importanti come quello del presidente del Consiglio comunale (l’arbitro dell’assise civica pagato 8 mila euro al mese) o la presidenza delle commissioni consiliari.

Ma per fare tutto questo occorre una compattezza granitica che gli sviluppi della recente campagna elettorale mettono in discussione.

Ricordiamo, oggi, che la sintesi sul nome di Aldo De Benedittis non è stata frutto di una normale dialettica interna ai partiti. E neppure di una condivisione sull’uomo di stampo civico. Il suo nome è stato voluto dal governatore Francesco Roberti e ha messo d’accordo la coalizione quando i volti di Pino Ruta (soprattutto) e Marialuisa Forte (da pochi giorni) erano già sui manifesti elettorali. Il presidente del Consiglio regionale Quintino Pallante (FdI) doveva essere il candidato. Salvatore Colagiovanni aveva parecchie chance. Poi è intervenuto il presidente della Regione al tavolo dei coordinatori dei partiti e dunque oggi non è da escludere che proprio a Palazzo Vitale ci saranno ripercussioni per come sono andate le cose a Campobasso.

Più recentemente ha fatto la sua parte anche De Benedittis. Come giudicare un candidato sindaco che, appresa la sconfitta, annuncia ricorso, punta il dito contro i campobassani dicendo, con un tono pieno di acredine: “Si tenessero Pd e M5S per altri 5 anni” e aggiungendo di non avere nulla da rimproverarsi. Come se quei 400 voti mancati all’appello al ballottaggio non fossero pure una sua responsabilità. Chi, se non l’avvocato De Benedittis, ha preteso che i consiglieri più votati gli giurassero pubblicamente fedeltà con quel patto di lealtà che finanche negli ambienti del centrodestra gli avevano sconsigliato di rendere pubblico? E cosa dire di un presidente di Regione che – ignorando le più elementari regole di garbo istituzionale – non ha ancora fatto gli auguri di buon lavoro alla prima sindaca donna del capoluogo di regione? Quello stesso Francesco Roberti che dal palco di piazza Pepe ha offeso la comunità Lgbt salvo poi raddrizzare il tiro dicendo che le sue parole erano state decontestualizzate.

Insomma, una sequela di errori che non ha tenuto conto dell’unica cosa davvero importante: Campobasso ha fatto solo quello che fa sempre Campobasso. Ha votato più liberamente al ballottaggio perché ormai l’amico o il cugino erano ‘sistemati’ al primo turno. E ha votato ‘fregandosene’ dei partiti che infatti con la Forte si sono messi da parte nelle ultime settimane della campagna elettorale per farla emergere dopo il rodaggio iniziale. Nel centrodestra, invece, i partiti hanno monopolizzato l’attenzione fino alla fine. E quel palco, nel comizio di chiusura, è stata forse l’immagine più plastica di un centrodestra che ha sacrificato i più bravi (quelli veramente presenti sul territorio) ed è stato incapace di fare proposte nuove e convincenti. I campobassani l’hanno capito e hanno scelto di essere, ancora una volta, solidali, aperti alle novità e inclusivi. Di sinistra. Moderatamente.

Proclamazione Forte
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