E’ il 14 settembre scorso quando la Corte d’Assise di Campobasso, dopo un processo lungo circa un anno e tre ore di camera di consiglio in occasione dell’ultima udienza, decide di condannare Giovanni De Vivo, 39 anni, a 15 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio volontario.
Secondo la sentenza di primo grado, ha ucciso con un colpo di coltello, inferto all’altezza del collo, il giovane geometra di Campobasso (38 anni) Cristiano Micatrotta.
Il Pm, Viviana Di Palma, l’8 settembre scorso, aveva chiesto 21 anni e 3 mesi. La difesa, sostenuta dagli avvocati Mariano Prencipe e Giuseppe Stellato, sin da subito, aveva invece sostenuto l’eccesso di difesa.
A circa cinque mesi dal giorno del verdetto, dopo aver letto attentamente le motivazioni scritte in settantadue pagine, dopo aver ripercorso l’intero processo, esaminato testimonianze e fatti emersi, gli avvocati Prencipe e Stellato hanno impugnato la sentenza di primo grado. Dunque, si va in Appello. Si accenderanno di nuovo i riflettori su un caso che ha lasciato sotto shock un’intera comunità ma che – stando a quanto hanno sempre sostenuto i due difensori – ha bisogno di verità. Troppe, sottaciute.
I criteri utilizzati per arrivare alla sentenza hanno lasciato più di qualche perplessità nell’analisi dei difensori di De Vivo: “I giudici hanno semplicemente consolidati un copione già espresso in sede processuale, adducendo interamente le dichiarazioni dell’accusa e dei testimoni dell’accusa, ma non facendo alcun riferimento, ai dubbi sollevati dalla difesa”.
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