Sanità territoriale

Il paradosso del Molise, paesi alle prese con denatalità non riescono ad avere pediatri

Tra gli effetti della denatalità anche quello di non avere abbastanza assistiti per giustificare l'istituzione di una zona carente. C'è poi una disomogenea distribuzione dei pediatri disponibili all'interno degli ambiti territoriali. E così, ogni volta che un medico va in pensione, si apre una emergenza che spinge i genitori a dirottare i propri bambini dal medico di famiglia.

Telefoni che squillano di continuo, studi affollatissimi, impossibilità per i genitori di ottenere assistenza nei weekend e nei festivi. E poi i picchi influenzali come quello di queste settimane che porta i pediatri a visitare molti più bambini di quanti ne vedono in altri periodi, a fare consulenze telefoniche, a rinviare di giorni il controllo perché il medico lavora contemporaneamente in più paesi.

Chiunque ha figli piccoli sa quante difficoltà ci sono nell’ambito pediatrico. Eppure il Molise è tra le regioni col più alto tasso di denatalità. Si fanno talmente pochi figli (e talmente tardi) che tra il 2013 e il 2023 – secondo l’ufficio studi della Cgia di Mestre – abbiamo perso oltre 12mila ragazzi tra i 15 e 34 anni. Dopo Sardegna e Calabria siamo noi quelli con una riduzione così abbondante di popolazione giovanile. E le conseguenze di questa tendenza si riverberano su tutto il tessuto produttivo, sociale, sulle scuole, sui servizi e, naturalmente, anche sull’assistenza sanitaria ai bambini.

I pediatri non bastano: quelli che ci sono hanno anche fino a 880 assistiti da seguire (i cosiddetti massimalisti) quando il rapporto ottimale sarebbe di uno a seicento. In alcuni comuni la figura del pediatra non c’è: pensionamenti o trasferimenti costringono i genitori a dover scegliere il nuovo pediatra di famiglia. Sta succedendo a Riccia, per esempio, dove la storica dottoressa dei bambini è tornata a lavorare nella sua regione di origine. Ma anche a Montenero di Bisaccia c’è stata una emergenza fino a quando la Regione non ha trovato una soluzione istituendo la cosiddetta zona carente straordinaria. Si tratta di una sorta di deroga che interviene quando in un ambito territoriale si verifica una situazione di carenza assistenziale anche in assenza del rapporto numerico ottimale paziente-medico. Istituirle non è un fatto scontato, tanto che per Bojano, dove pure la zona carente è invocata, sarà complicato averla perché un pediatra di famiglia disponibile c’è e ce ne sono anche altri in comuni vicini al centro matesino (a Sepino e Vinchiaturo). Al di là di possibili soluzioni, la carenza di pediatri sembra essere evidente solo quando i comuni ne restano sprovvisti. Il rischio c’è anche per Agnone, Venafro e Trivento. Solo che un conto è desiderare, in linea puramente teorica, che ogni paese abbia il suo pediatra di riferimento. Un altro è organizzare quelli disponibili a spostarsi in più studi per ragioni di lavoro.

Sembra un paradosso, in fondo lo è: non si fanno più figli eppure i pediatri mancano. Il nodo della faccenda è che proprio la denatalità è la causa dell’impossibilità di istituire le cosiddette zone carenti. Adottare questa misura straordinaria per tamponare una emergenza dovrebbe essere una eccezione non la regola. Ma il problema si amplifica se non ci si accorge per tempo di medici che verranno a mancare e non si riorganizza correttamente il personale sanitario a disposizione. Compito affidato in primis a Regione e Asrem.

Se questo non si fa il risultato sarà che anziché rivolgersi a un professionista che ha studiato per curare i bambini, molti piccolini passeranno sotto l’assistenza del medico di medicina generale (il medico di famiglia) già dopo il compimento del sesto anno di vita. Molti genitori lo hanno già fatto proprio perché nei piccoli comuni far valere un diritto essenziale con una natalità inesistente è molto più complicato che altrove.   (AD)

 

 

 

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