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Battesimo di Gesù

Battesimo di Gesù
Tu sei il mio Figlio, l’amato (Mc 1,7-11)

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Idealmente, con la festa del Battesimo di Gesù, si chiude il cerchio del cammino iniziato in Avvento, dove la figura di Giovanni preannuncia Gesù. Mentre la nascita di Gesù è narrata da due soli vangeli, tutti e quattro evidenziano invece l’inizio della sua missione, preceduta, sia nella predicazione che nella morte, da quella di Giovanni il Battista che, storicamente, ha avuto una grande influenza su Gesù, che è stato anche suo discepolo. Il racconto del battesimo, però, ci dice che non tanto Giovanni ha spinto Gesù a predicare, ma la scoperta della paternità di Dio attraverso l’ascolto della sua Parola. Ciò che la voce proclama (e che, secondo Marco, solo Gesù ha sentito) è una sintesi di tutte le Scritture d’Israele, divise già, secondo la tradizione, in tre parti: Legge, Profeti e Scritti. “Tu sei mio figlio” riecheggia gli Scritti, perché rimanda al Salmo 2. “L’amato” riecheggia la Legge, perché rimanda al sacrificio (mancato) di Isacco in Genesi 22; “In te ho posto il mio compiacimento”, infine, riecheggia i Profeti, perché rimanda a Isaia 42, uno dei canti del Servo di Yahweh. La vita nascosta di Gesù, ci vuol dire il vangelo, è trascorsa nell’ascolto della Parola che ha portato alla sua decisione di non vivere per sé stesso, ma per la missione che il Padre gli affidava: testimoniare con la sua vicinanza, soprattutto agli ultimi, i poveri e i peccatori con cui ha condiviso l’esperienza del battesimo, che Dio non è quel tiranno incarnato dal potere imperiale che si arrogava la pretesa di rappresentare la divinità, ma è un Padre che si prende cura delle sofferenze dei figli. Gesù ci dice, con la sua vita, spesa fino alla fine per l’umanità sofferente, che non basta avere la parola di Dio e sentirsi detentori della verità, ma bisogna anche saperla leggere, per trovare in essa non dei proiettili da scagliare contro chi non la pensa come noi, ma il fondamento per farsi carico dei nostri simili, a imitazione di Dio, che riconosce come figlio ogni persona.

Michele Tartaglia

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