Il delitto di natale a campobasso

Omicidio Micatrotta, dopo la condanna a 15 anni e 4 mesi la difesa di De Vivo valuta il ricorso: “Sentenza strabica e univoca”

A due anni dal delitto di via Vico, nei giorni scorsi sono state rese note le motivazioni che condannano Giovanni De Vivo a 15 anni e 4 mesi di carcere per l'omicidio del giovane Cristiano Micatrotta. L'avvocato Mariano Prencipe perplesso sui criteri utilizzati per spiegare il verdetto, ha detto: "Valuteremo se ricorrere in Appello"

E’ stato il delitto del 2021. Quello che asconvolto la città di Campobasso. Che ha visto la morte di un geometra 35enne, Cristiano Micatrotta, e l’arresto del coetaneo “Giovanni De Vivo, condannato per omicidio aggravato ad un anno dai fatti.

E’ l’omicidio di Natale, accaduto la notte del 24 dicembre 2021 in via Giambattista Vico. Cristiano Micatrotta è insieme a due amici, Alessio Madonna e Giuseppe Di Mario. Trascorrono il pomeriggio in un bar della città, incontrano Giovanni De Vivo e Cristiano a lui cede cocaina per cinquanta euro. Ma una volta rientrato a casa, De Vivo si infuria. Nell’involucro non c’era cocaina e partono decine di telefonate e messaggi all’indirizzo di Alessio Madonna. E’ lui che gli aveva presentato Cristiano. Gli animi si scaldano, De Vivo è fuori di sé. Madonna fa presente a Di Mario e Micatrotta quanto sta accadendo e decidono di incontrarsi sotto casa di De Vivo per quello che i giudici nella sentenza di condanna definiscono “un nchiarimento”.

Ma quel chiarimento, finisce nel sangue. Cristiano Micatrotta muore raggiunto dal fendente di una lama al collo. De Vivo viene arrestato la stessa sera. E finisce in carcere, sotto processo per omicidio. Chi di loro, quella sera abbia portato il coltello, le udienze del processo che durerà poco più di un anno, non lo chiariranno. Nè sarà possibile attribuire alla dinamica dell’accaduto una valenza scientifica tramite gli esami del dna e delle tracce ematiche. Il processo si baserà sulla ricostruzione degli inquirenti e sugli elementi testimoniali.

Il 14 settembre 2023, la Corte d’Assise di Campobasso condanna Giovanni De Vivo a 15 anni e 4 mesi di reclusione. E’ colpevole di omicidio: ha ucciso Cristiano Micatrotta. Deve pagare le spese processuali e il mantenimento durante la custodia in carcere. E’ interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e risarcire i danni causati alle parti civili.

Il 13 dicembre scorso, a sessanta giorni dal verdetto, gli stessi giudici spiegano i motivi della condanna in settantadue pagine dattiloscritte. Ripercorrono il processo, lungo poco più di un anno. Esaminano le testimonianze, i fatti raccontati e illustrano (escludendo la premeditazione).

I motivi del verdetto non godono di alcun elemento su base scientifica e i giudici lo scrivono chiaramente in premessa: dagli accertamenti tecnici previsti sulla presenza di Dna e tracce ematiche “non è stato possibile trarre alcun elemento utile ai fini della decisione”. Da questo punto in poi ripercorrono, udienza dopo udienza, i fatti resi in aula dai alcuni dei testimoni “chiave” del processo e che quindi hanno contribuito alla decisione finale.

Criteri che tuttavia hanno lasciato più di qualche perplessità nell’analisi dell’avvocato Mariano Prencipe, difensore di Giovanni De Vivo insieme al collega Giuseppe Stellato (del foro di Santa Maria Capua Vetere).

“Quelle che leggo, a sostegno del verdetto di condanna – spiega il legale campobassano  – sono motivazioni strabiche”. Lapidario nel suo giudizio sulle pagine di motivazione, Mariano Prencipe ribadisce che “i giudici hanno semplicemente consolidati un copione già espresso in sede processuale, adducendo interamente le dichiarazioni dell’accusa e dei testimoni dell’accusa, ma non facendo alcun riferimento, ai dubbi sollevati dalla difesa”.

E porta ad esempio: “Si riferisce che Di Mario è un testimone credibile perché al pm ha risposto in un certo modo. Bene, e la difesa? Oppure: in merito ai coltelli i giudici dicono che ne esistono tanti ma non dicono che l’amministratore delegato della casa produttrice ha riconosciuto con certezza quel tipo di coltello”.

Ancora: “Mi dici che De Vivo sarebbe uno violento perché parlando al telefono con la fidanzata dice ‘ti tiro uno schiaffo’, poi però, altre persone coinvolte nella tragedia del 24 dicembre, parlano di ‘mazziatone’ e leggo che si tratta di chiarimento”.

L’avvocato Prencipe di esempi ne elenca diversi ma per ribadire che “Sì, se ritieni che sia colpevole lo puoi anche condannare ma queste motivazioni, francamente, lasciano davvero perplessi”. “Perché – spiega – sono a senso unico. Trascurano del tutto gli argomenti difensivi e gli elementi di prova portati dalla difesa. In alcuni passaggi, i giudici, omettono proprio di affrontare le prove favorevoli all’imputato. E quando le affrontano, le interpetrano univocamente a discapito”.

Non sa se impugnerà la sentenza per ricorrere in Appello: “Valuteremo se farlo – chiude  – Al momento ci atteniamo a queste motivazioni per analizzare e capire”.

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