L'intervista/1

Ansia da cambiamento climatico, la psicologa dell’emergenza: “La resilienza non vale più, con l’irreversibile dobbiamo cambiare”

Il contributo della dottoressa termolese Federica Buri, psicoterapeuta psicanalitica e psicologa dell'emergenza, rispetto all'impatto sulla salute mentale del cambiamento climatico (che al contrario dell'emergenza pandemica ha in sè l'aspetto dell'irreversibilità)

Dottoressa Buri, dopo essere usciti fuori dalla lunga fase di emergenza pandemica, sembra prospettarsi una nuova, ancor più lunga e probabilmente infinita, emergenza legata ai cambiamenti climatici. È un tema di frontiera anche per voi professionisti della salute mentale, in particolare per voi psicologi della emergenza…

“Intanto vi ringrazio per aver deciso di dare spazio ad una questione così importante e sentita come l’impatto dei cambiamenti climatici estremi sulla salute mentale, soprattutto in ragione di quanto è recentemente accaduto in Toscana ed in Emilia Romagna.
È certamente un tema di frontiera per noi psicologi, ed anche la letteratura in merito è ancora poca. Ci sono interessanti pubblicazioni scientifiche sull’argomento ad opera di équipe di psichiatri, antropologi e psicologi, che descrivono l’impatto sulla salute mentale del cambiamento climatico globale, in cui emerge chiaramente come eventi sempre più intensi e frequenti possano innescare disturbi da stress post traumatico, ansia, depressione, abuso di sostanze, ideazioni suicidarie, senso di colpa del sopravvissuto.

Influenzando la morfologia dei paesaggi e depauperando la disponibilità di risorse alimentari ed idriche, questi eventi climatici hanno anche un effetto collaterale sul benessere psicologico perchè creano contesti instabili ed imprevedibili. La psicologia della emergenza può intervenire in acuto, cioè nell’immediato impatto della crisi, non nel lungo termine. Di fatto gli studi sono in fieri nella valutazione degli effetti psicologici a lungo temine, adattivi o disadattavi, nella popolazione.

Nel recente “Quadro europeo d’azione sulla salute mentale” 2021-2025 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), viene riconosciuta l’importanza della salute mentale per il conseguimento di obiettivi di sviluppo sostenibile, ma le misure concrete sono ancora nulle”.

federica buri psicologa

 

Nell’aprile del 2021, nel pieno della pandemia, lei ci ha edotto relativamente agli aspetti psicologici e ai vissuti innescati dalla prolungata esposizione ad eventi stressanti e, in alcuni casi, traumatici portati dal Covid-19. Ed ha concluso la sua intervista con noi affermando che ‘la pandemia frammenta’ e che avremmo ritrovato, certo, una normalità ma che questa non sarebbe stata quella di prima. Nessuno forse si aspettava di dover fronteggiare, e subito dopo, questa nuova emergenza.
La ‘normalità’ e la resilienza così sembrano essere davvero a rischio…

“Credo che la normalità sia un concetto in divenire. Un’accezione semantica che racchiude una molteplicità di significati, che in qualche modo non possa esaurirsi in una definizione assoluta. Se vogliamo considerarla come “assenza di eventi eccezionali”, sinonimo di consuetudine e regolarità, allora sì, dobbiamo affrancarci da questa idea di normalità, e considerare una più ampia categoria mentale che sia pronta ad accogliere la complessità del reale, in continuo mutamento. A livello climatico ci siamo allontanati da uno stato di omeostasi e siamo all’interno di un processo in evoluzione, a cui dobbiamo adattarci cercando inedite strategie per fronteggiare i cambiamenti ambientali, sociali ed economici.

Tutti i cambiamenti climatici influenzano il costo energetico per la sopravvivenza. Come individui e come specie, abbiamo risposte adattive a breve e lungo termine: possiamo variare l’assetto genetico (se abbiamo qualche milione di anni); variare il fenotipo come cambiamento epigenetico, da una generazione all’altra. Oppure modificare il comportamento, compensare con la tecnologia, migrare.
Una strategia millenaria è la migrazione. Se un luogo diventa inospitale, si abbandona. Attualmente Giacarta sta sprofondando a causa delle alluvioni, dell’innalzamento del livello del mare e della eccessiva cementificazione, per cui una strategia di sopravvivenza è stata programmare lo sfollamento dell’intera popolazione.

Risposte disadattive sono date da una eccessiva attivazione emotiva come l’ormai nota “ecoansia”, o l’ “eco paralisi”: “la sensazione di non essere in grado di intraprendere azioni efficaci per mitigare i rischi del cambiamento climatico”.
Anche la mancata percezione del pericolo non è funzionale, perchè un eccessivo adattamento può generare quello che Noam Chomsky, in psicologia, definì il principio della “rana bollita” (formulato in riferimento ai comportamenti che portano la società e i popoli ad assumere come un dato di fatto il degrado, le vessazioni e la scomparsa dei valori e dell’etica. A tutti gli effetti, accettando la deriva e alimentandola con la loro inazione, ndr).

La resilienza è un concetto abusato, diventata ormai la panacea di tutti i mali. Personalmente credo crei un paradosso: l’individuo resiste, “attutisce il colpo”, laddove dovrebbe cambiare. Nel contesto degli eventi climatici estremi è illusorio, oltre che poco utile, pensare di adattarsi ritornando alla forma originaria”.

La pandemia, pur nella sua traumaticità, non conteneva l’aspetto dell’irreversibilità, concetto così difficile da digerire, perchè si sapeva che l’emergenza avrebbe comunque avuto una fine.
Ora invece dobbiamo imparare a fare i conti con l’irreversibile?

“La pandemia si configura come un evento che sancisce un “prima” e un “dopo” rispetto ad una condizione di partenza, con un parziale ripristino delle condizioni precedenti alla stessa. Il cambiamento climatico, invece, si caratterizza per un andamento progressivo e inarrestabile, le cui conseguenze non sono reversibili.
Per cui lei parla giustamente di irreversibilità del cambiamento e dei suoi esiti, che devono essere inquadrati all’interno di un contesto globale. Non possiamo considerare gli eventi climatici estremi come disastri naturali occasionali o locali, ma come il risultato di un cambiamento climatico di origine antropica, visibile nei suoi effetti: innalzamento delle temperature, siccità, inondazioni, alluvioni, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento dei mari, riscaldamento degli oceani, perdita della biodiversità.
Fattori sintomatici del cambiamento in atto riguardano l’atipica geolocalizzazione di eventi estremi e l’incremento nella frequenza e nella intensità degli stessi.

Va considerato che le tempistiche degli effetti sulla psiche e sulla salute mentale hanno un ampio margine di manovra, in tempi non sempre brevi, per cui diventa difficile coglierne i nessi causali.
La psicologia della emergenza si occupa della salute mentale in caso di disastro, concentrandosi principalmente sulla prima fase di crisi acuta. Alla luce di quanto detto occorre adottare una nuova ottica che guardi alle conseguenze a lungo termine sulla salute mentale e all’emergere di strategie di adattamento. Laddove nelle persone prevale, in emergenza, un pensiero emotivo teso ad interpretare gli eventi sulla scorta di risposte emotive agli stimoli, stati ansiosi e scarsa considerazione di fattori oggettivi contingenti; nel medio-lungo termine, l’esposizione ad eventi climatici estremi genera aumento di sentimenti di rovina, smarrimento, disperazione e impotenza, depressione.

Per fare i conti con l’irreversibile occorre prima comprendere che non è più una emergenza ma un sistema che si sta strutturando, con cui bisogna imparare a convivere“.   (segue)

 

leggi anche
alluvione archivio
L'intervista/2
Giovani e anziani alle prese con l’ecoansia. La psicologa dell’emergenza: “Atteggiamento più diffuso è però negazione della realtà”
commenta