L'intervista

Roberta Bruzzone: “Donne uccise? Colpa di una cultura medievale che riguarda maschi e femmine”

La nota criminologa oggi a Campobasso, docente d’eccezione al corso organizzato dall’Opi di Campobasso-Isernia "I Sanitari sulla Scena del Crimine in Emergenza – Urgenza Intra ed Extraospedaliera".

Quando si parla di crimini il primo nome che viene in mente è il suo, quello di Roberta Bruzzone. Criminologa di fama, diventata una delle principali esperte nell’analisi di scene del delitto, di vittime ed aguzzini.

Oggi è stata a Campobasso, docente d’eccezione al corso organizzato dall’Opi di Campobasso-Isernia “I Sanitari sulla Scena del Crimine in Emergenza – Urgenza Intra ed Extraospedaliera”. Un momento di formazione destinato agli infermieri della regione per indirizzarli verso le tante sfaccettature del mondo della criminologia e delle soluzioni nell’assistenza in situazioni di emergenza.

L’infermieristica forense, settore in crescita a livello nazionale. L’infermiere forense è un professionista altamente specializzato che opera nell’ambito dell’assistenza sanitaria in situazioni legali o criminali le cui conoscenze rappresentano un punto cruciale nell’applicare le procedure giudiziarie e nell’analisi delle responsabilità professionali. La sua funzione è fondamentale per garantire un’assistenza sanitaria di qualità alle vittime di abusi, violenza, attività delinquenziali o incidenti traumatici, preservando al contempo le prove cruciali per procedimenti giuridici.

Bruzzone 118
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Ma al di là degli aspetti prettamente tecnici destinati agli operatori sanitari su come gestire un’eventuale scena del crimine e le donne vittime di violenza che arrivano al pronto soccorso, le analisi di Roberta Bruzzone abbracciano inevitabilmente fenomeni e casi (in recrudescenza) che riguardano quasi quotidianamante la cronaca italiana: donne uccise per mano dei loro compagni.

Dottoressa, perché questa recrudescenza del fenomeno di cui la cronaca, ormai, racconta quasi ogni giorno?

“Colpa di una cultura ferma al medioevo. Che non riguarda soltanto gli aguzzini ma tutti gli attori di quello che è inevitabilmente destinato a diventare un caso”.

Per esempio?

“Per esempio l’abitudine culturale di considerare l’uomo un essere superiore senza il quale la donna è perduta”.

In tutti i casi da lei studiati ha riscontrato questo decadimento culturale?

“Si somigliano quasi tutti. L’uomo che non accetta la fine di una relazione che vede come un’umiliazione agli occhi della società. Oppure la donna che seppure capace di cogliere i segnali di una relazione malata alla fine perché ostaggio di una famiglia che tende a salvaguardare il buon nome, o di un contesto sociale legato all’etichetta piuttosto che alla sostanza, decide di non separarsi e restare vittima di una spirale di soprusi, abusi e violenza che frequentemente ha l’epilogo che conosciamo”.

Quindi, nonostante l’evoluzione dei tempi, assistiamo ad una involuzione culturale. Siamo fermi all’era patriarcale?

“Sì ma non accade soltanto in Italia. Questo concetto patriarcale riguarda un po’ tutte le culture, forse il Nord Europa potrebbe insegnarci qualcosa di più sui modelli di genere. Per il resto, penso all’India, all’America latina, all’Asia… la donna vive costantemente una condizione ferma al Medioevo. Poi, in Italia, la situazione è preoccupante”.

E allora come si fa?

“Si devono stravolgere i modelli educativi. A cominciare dalle donne, i cui peggiori nemici, spesso, sono loro stesse perché insistono a restare legate a modelli educativi vecchi, rozzi, che trasmettono anche alle nuove generazioni. Molte donne sono convinte che non ha senso se non si realizzano in ambito familiare o nella maternità”.

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