Reperti sanniti

Il più importante documento della lingua osca esposto a Londra “è una patacca”: mistero e nuove interpretazioni della Tavola di Agnone

Incontro di studio a Bojano sulla Tavola Osca: il reperto, di proprietà del British Museum di Londra, secondo Franco Valente (e moltissimi altri studiosi dei Sanniti) è una copia fatta anche male. Se il dibattito sull'originalità della lastra in bronzo è ancora aperto c'è an che chi continua a studiarne il significato come Paola Di Giannantonio che sarà ospite dell'incontro in programma a Palazzo Colagrosso.

“La Tavola Osca fu trovata a Pietrabbondante. Fu venduta ad Agnone dove fu fatta una copia. La patacca fu seppellita a Capracotta. Da Capracotta finì a Roma. Da Roma il paccotto fu rifilato agli inglesi. Oggi si trova al British Museum di Londra mentre l’originale è in Italia”.

E’ annunciata così la giornata di studio in programma giovedì 11 maggio a Bojano (Palazzo Colagrosso ore 17.30) e intitolata: “La tavola osca, il documento più importante della lingua dei sanniti”.

Un appuntamento imperdibile in cui sarà presentato un saggio della studiosa Paola Di Giannantonio per ascoltare dal vivo le interpretazioni dell’autrice di “La tavola osca di Capracotta” che aprono una nuova via alla comprensione di un testo particolarmente complicato.

Dialogherà con lei Franco Valente per raccontare la storia di famose truffe archeologiche consumate nell’Italia post-unitaria.

Paola di Giannantonio

Di Giannantonio, 74 anni, ex insegnante di inglese e tedesco a Termoli e Pescara è una appassionatissima studiosa di riti e antiche tradizioni legate alla cristianità. Originaria di Goriano Sicoli, un paese in provincia de L’Aquila, è cresciuta col culto di santa Gemma. Ha dedicato almeno trent’anni della sua esistenza alle feste popolari di Abruzzo e Molise, specie quelle in cui il pane viene portato in processione (in foto la processione di Sant’Antonio a Gildone).

processione pane Gildone

L’incontro con la tavola osca, considerata uno dei documento più preziosi della sacralità dei sanniti è stato quasi inevitabile: quella lastra in bronzo incisa in osco, la lingua delle tribù sannitiche che abitavano in Abruzzo, Molise ma anche Campania, parte della Basilicata, della Puglia e del Lazio, ha molto a che vedere col mondo agricolo.

La traduzione inedita per metodologia di approccio fatta dalla Di Giannantonio ne ha messo in luce “il senso del sacro arcaico che coincide con le radici della cultura occidentale, risalenti ai primi periodi del Neolitico agricolo con la diffusione dell’agricoltura”. Il testo parla di semi, germogli, radici, acque sorgive e piovane. E sono numerose le feste popolari in Molise in cui i cereali vengono celebrati con rituali di propiziazione e ringraziamento. Basti pensare agli Altari di San Giuseppe in Basso Molise, alla processione di Sant’Antonio a Gildone o al Sant’Isidoro, il Mistero di Corpus Domini che apre la sfilata e che ha tra i suoi simboli la ciambella di pane e il grano.

Se per Paola Di Giannantonio dunque la tavola osca è e resta un documento strettamente connesso alle usanze, ai cibi rituali, ai modi di dire, ai proverbi e ai dialetti (quante parole, del resto, ci suonano familiari nelle popolazione del centro sud) c’è anche chi, come Franco Valente, della tavola osca ne parla come della “più grande truffa archeologica del Sannio”.

“Dopo l’annessione militare del Mezzogiorno italiano con la cosiddetta Unità d’Italia, lo stesso Garibaldi fu tradito dai suoi ex compagni. Molti ex garibaldini – questo scrive Valente – divenuti potenti uomini di affare, si dedicarono al traffico internazionale di reperti archeologici che venivano depredati nel Meridione di Italia. Sindaci, magistrati e uomini di cultura, per il vile denaro, non disdegnarono di partecipare a questi traffici internazionali che a volte erano clamorose truffe perpetrate ai danni di grandi musei stranieri. La più clamorosa fu la vendita della patacca di Capracotta, replica di un prezioso bronzo trovato nei pressi del Teatro di Pietrabbondante”.

Già due anni fa l’architetto Valente aveva pubblicato un post – rispolverato in occasione dell’incontro nella capitale normanna del Molise (Bojano) – intitolato: La patacca di Agnone.

arch. Franco Valente

“Ma è mai possibile che il Molise non sia in grado di porre fine alla ridicola sceneggiata londinese? Ci sono molisani che vanno a Londra per vederla. Qualcuno ha pure scritto di essersi emozionato! Il più importante documento della lingua osca è una clamorisa patacca. L’originale è in mano agli eredi dell’orafo che fece una copia dell’originale e la rifilò al British Museum. Da quando l’ingegner Pietro Mastronardi, esperto metallologo, ha scoperto i retroscena della falsificazione, sulla questione è calato un imbarazzante silenzio”.

Questi i fatti riferiti da Valente: “Nella versione ufficiale del ritrovamento della cosiddetta Tavola di Agnone si riferisce che un certo Pietro Tesone, che teneva in affitto un terreno di Giangregorio Falconi in località Fonte del Romito (in agro di Capracotta, ai confini con Agnone) nel 1848 avrebbe trovato la lamina di bronzo arando il terreno. La fece vedere ai fratelli Francesco Saverio e Domenico Cremonese di Agnone che vantavano una accreditata relazione con Teodoro Mommsen (parliamo del più grande classicista del XIX secolo, ndr) che qualche anno prima era venuto in Agnone loro ospite.

I fratelli Cremonese dettero notizia del ritrovamento nel “Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica” di Roma. Della scoperta fu data notizia anche a Mommsen.

Non si capisce bene che fine abbia fatto la Tavola durante i successivi 25 anni. Nel 1873 la Tavola si trovava presso un commerciante di antiquariato di Roma, Alessandro Castellani, che la vendette al British Museum di Londra. Il Castellani è famoso per aver rifilato altre patacche in giro per l’Europa. Da quel momento tutti si sono convinti che la Tavola di Agnone sia finita al British Museum. Addirittura della patacca che si trova in Inghilterra è stato fatto un calco dal quale sono state ricavate numerose copie. Tramite internet riuscite a trovare esemplari in vendita a 120 euro. Oppure vi potete rivolgere direttamente alla fonderia Marinelli.

Nel 1996 fu edito, con scritti di ben 19 autori, un poderoso (682 pp.) e costoso (£ 145.000) volume riguardante la scoperta archeologica.  Tutti gli scritti si riferivano al pataccone agnonese e la sua immagine  dominava la sovraccoperta del volume e alcune pagine interne. Vi si ringraziava pure il museo londinese che aveva consentito la pubblicazione.

Un paio di anni fa gli eredi dell’orafo Amicarelli (che aveva acquistato l’originale dal contadino e nel suo laboratorio aveva fatto la patacca venduta al British) hanno deciso di rivelare che l’originale della Tavola era ancora presso la loro famiglia. Per dimostrare l’autenticità del loro reperto fu fatta eseguire una relazione a un esperto metallologo, l’ingegnere Pietro Mastronardi, che attestò che sulla piastra rimanevano le tracce del calco e che per caratteristiche metalliche il manufatto non era particolarmente antico.

Da allora abbiamo cominciato ad osservare con più attenzione il pezzo mostrato al British. Ci è voluto poco per capire che il manico della piastra esposta in Inghilterra appartiene a un braciere ottocentesco adattato e modificato a caldo. Inoltre la catena a cui la tavola è appesa è una volgare catena che nei camini viene utilizzata per appendere i caldai per la cottura dei cibi. D’altra parte una catena di ferro non avrebbe potuto resistere a oltre 20 secoli di corrosione. Infine i chiodi ribattuti che collegano il manico alla piastra sono chiaramente moderni.

La tavola è stata esposta oltre un anno in Agnone con l’irritazione di quanti hanno scritto fiumi di inchiostro partendo dalla patacca inglese. La lastra originale è identica alla patacca di Londra, ma, ovviamente senza il manico contraffatto e la catena di ferro. La cosa ha creato il panico tra tutti coloro che hanno studiato il presunto originale di Londra. A parte ogni valutazione – conclude Valente -, è imbarazzante l’indifferenza dei politici molisani”.

Chissà che questo incontro non sia propiziatorio per  sciogliere finalmente il dubbio sull’autenticità di un reperto che, fasullo o originale, conserva ancora fascino e mistero.

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