Termoli

Patto educativo e persone fragili, si parte dall’ascolto delle famiglie

Nell’ambito della Settimana di iniziative dedicate al quarantesimo anniversario della Visita di Papa Giovanni Paolo II a Termoli, sabato 25 marzo, si è svolto il convegno “I fragili al centro del patto educativo”. L’evento ha concluso un percorso di ascolto, confronto e proposta che si è snodato nel corso della settimana con il coinvolgimento delle varie agenzie educative per poi arrivare, domenica mattina, alla posa della prima pietra del villaggio ‘Laudato Si’ e alla sottoscrizione del patto educativo in municipio a Termoli. All’incontro con le famiglie delle persone con disabilità hanno preso parte suor Veronica Donatello (responsabile Cei per la Pastorale delle persone con disabilità e il dott. Ercole D’Annunzio. L’evento è stato patrocinato dall’Ordine dei giornalisti del Molise, presente con il consigliere, Pino Cavuoti, e dall’Unione Cattolica Stampa Italiana del Molise.

Nel suo intervento il vescovo, monsignor Gianfranco De Luca, ha evidenziato il senso delle iniziative del quarantennale. “Questa settimana è nata sull’onda della memoria del viaggio di Giovanni Paolo II di 40 anni fa a Termoli, quando nei due interventi il Papa parlò della necessità del cambiamento per il nostro sud, e poi, durante l’omelia, parlò invece di una società in cui cominciava a venir meno il riferimento alla figura del padre (ed eravamo nel 1983). Sono passati 40 anni ma il tema educativo si è aggravato. Papa Ratzinger ha parlato di emergenza educativa e Papa Francesco, in positivo, ha lanciato il patto educativo, richiamando l’immagine del villaggio come luogo di educazione dei giovani”.

patto educativo convegno

Lo scorso 10 marzo monsignor De Luca ha incontrato Papa Francesco, che era venuto a sapere di questa iniziativa, e l’udienza con il sindaco, Francesco Roberti e don Benito Giorgetta, è stata occasione per presentare il progetto del villaggio Laudato Si’, chiedendo al papa la benedizione della prima pietra: un cristallo di gesso avvolto dalle radici di un albero, come le mani della società chiamate a custodire la fragilità dei più deboli. Il giorno dopo il Santo Padre ha scritto una lettera esortando tutti a portare avanti “con zelo” e “con gioia” questo progetto.

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Significativa la testimonianza di Suor Veronica Donatello, figlia e sorella di persone con disabilità. “Nel patto educativo – ha spiegato – tutta la comunità è coinvolta e interpellata. L’idea del villaggio Laudato Si’, è quello di una casa in cui le persone disabili non sono guardate come un problema da risolvere, ma siano protagoniste. Il rischio, infatti, è quello di fermarsi alla diagnosi. Occorre cambiare lo sguardo perché nessun uomo è solo il suo limite. L’altra sfida – ha osservato la religiosa – è cominciare il processo di accompagnamento prima che il disabile perda il supporto dei genitori, ma preparare insieme a lui il suo progetto di vita, non sotto l’emergenza dettata dalla necessità. La sfida del villaggio è quindi quella di realizzare un luogo realmente educativo, che sia bello e che educhi ad una familiarità dove i figli sono guardati con gli occhi di Dio, non secondo una logica di problem solving. Perciò nel villaggio ci sia non solo la casa, ma anche la chiesa, una vita. Da qui “occorre dare vita agli anni (non anni alla vita). Occorre una visione teologica del modello medico: gli ospiti non sono solo malati o pazienti, ma fratelli. La sfida del villaggio è perciò fare cultura, una cultura nuova. L’altra sfida e superare la logica della settimana impostata sulle terapie. Ovvero guardare si il bisogno del disabile, ma considerare anche quali sono i loro desideri: cosa vuoi? Cosa desideri? Cosa ti piace? Occorre passare dalla logica dell’inclusione alla logica dell’appartenenza”.
Fondamentale il ruolo delle famiglie: Ercole D’Annunzio, genitore di una figlia disabile, e medico dirigente della ASL di Teramo ha portato la sua esperienza e quella di un’associazione che oggi è un punto di riferimento: “Per me è accaduto che un sogno diventasse un segno, per me e per chi vive con me. La drammaticità della disabilità è una cosa seria, perché è per tutta la vita, come per mia figlia Giulia che ora ha 35 anni. Dopo la scoperta della disabilità di Giulia, è nata l’idea di radunare tutte le famiglie della zona con figli disabili, la costituzione di una associazione che ci faceva percepire di essere un noi.

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All’inizio l’avvio di alcuni servizi come l’aiuto allo studio, il servizio trasporto e altro. Ad un certo punto la svolta. Quello che fa resistere in questa sfida è restare fedele a quello che diceva Papa Ratzinger: “Abbiamo creduto nell’amore di Dio”. Dobbiamo restare fedeli a questo. Da qui nasce la passione non solo per mia figlia ma anche per i figli degli altri. Ora l’associazione è diventata una vera e propria opera, con circa cento operatori”.

Il centro di Sant’Atto (Teramo) è costituito, in sostanza, da quattro strutture indipendenti: un centro per l’autismo infantile; una struttura semiresidenziale per disabili gravi; la piazzetta, una realtà di disabili non gravi dove si fanno attività culturali come teatro, musica, e altro; e poi un centro di trattamento medico.
Dunque, non assistenzialismo ma valorizzare la persona nella sua unicità uno sguardo di amore che vada oltre ogni limite e si rivolga a ogni uomo e a ogni donna per quello che sono, chiamandoli per nome e non per un problema o per una disabilità.

 

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