La battaglia comune

13mila firme a difesa della radioterapia: “Si revochino i decreti per evitare viaggi della speranza”

Il comitato promotore parla di una “sensibilità unica da parte dei cittadini. Siamo pazienti ed ex pazienti oncologici che non vogliono curarsi fuori”.

Una “battaglia” che a detta dei pazienti e degli ex pazienti oncologici del Gemelli Molise andava condotta tutti insieme, e invece “non si è anteposta la salute dei cittadini molisani firmando decreti commissariali che anticipano la chiusura di un reparto d’eccellenza”. Sono più carichi che mai i promotori del comitato a difesa della radioterapia molisana di contrada Tappino.

Settimane intense, che hanno coinvolto anche e soprattutto emotivamente migliaia di corregionali. “Abbiamo raccolto 13mila firme” annunciano dal comitato. Una cifra importante, che fa da termometro alla sensibilità verso temi di vitale importanza, è proprio il caso di dirlo. “Abbiamo notato un’empatia senza precedenti da parte di chi ha deciso di firmare” racconta Filippo Massari.

Raccolta firme Gemelli Molise

Ma cosa si chiede alle istituzioni? “L’obiettivo è il ripristino completo della radioterapia del Gemelli – spiega Antonella Lancellotta, ex paziente –. Chiediamo al ministro alla Salute Schillaci di revocare i decreti commissariali affinché i professionisti possano prescrivere direttamente al Gemelli i trattamenti e che venga confermato il tetto di spesa sufficiente per proseguire con le terapie”.

Bisogna ricordare che uno dei decreti emessi dal commissario ad acta Donato Toma affida la prescrizione della radioterapia all’ospedale Cardarelli. Lo stesso presidente del Gemelli Molise, Stefano Petracca, chiede la revoca di quel provvedimento anticipando che se le cose non dovessero mutare da fine mese il centro smetterà di accettare pazienti radioterapici. E ci si avvierebbe alla chiusura del reparto.

radioterapia Raccolta firme Gemelli Molise

Una ipotesi che chi ha a cuore il reparto di radioterapia non vuole neanche ascoltare: “Non si riesce a capire perché si sia riservato questo trattamento – aggiunge Francesca Carnevale –. Noi sappiamo sulla nostra pelle cosa significhi affrontare certi tipi di cure e non vogliamo fare i cosiddetti viaggi della speranza, le istituzioni devono venirci incontro”.

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