L'intervista

Donne che guadagnano meno degli uomini. La prof Unimol per le pari opportunità: “La parità salariale va estesa anche alle piccole aziende”

La legge per l'eliminazione del gender gap, le proteste in Iran "che non possiamo ignorare" e i divieti talebani al diritto all'istruzione in Afghanistan. E poi ancora la violenza sulle donne in Italia e le difficoltà a conciliare maternità e carriera in Molise e al Sud Italia. Ne parliamo con la docente Unimol Loredana Tullio che è la delegata del rettore per le pari opportunità e le questioni di genere

Il lavoro che non c’è soprattutto al sud e che viene pagato meno alle donne. I femminicidi che non si arrestano, il diritto di poter studiare in Afghanistan e la marcia sanguinosa verso la libertà in Iran: il 2022 appena chiuso è stato un anno denso di novità che ha messo al centro le donne e spinto molti uomini a interrogarsi su ciò che significa ‘essere donne’.

Ne abbiamo parlato in questa intervista con Loredana Tullio, una docente di diritto privato dell’Università del Molise, campobassana di 48 anni e Delegata del Rettore per le pari opportunità e le questioni di genere.

Loredana Tullio

 

Ecco, partiamo proprio da lei: cosa significa avere questo ruolo all’interno di una istituzione universitaria?

“Si tratta di un incarico particolarmente delicato nel quale si è chiamati a svolgere, non soltanto all’interno della comunità universitaria, ma su tutto il territorio regionale, un’attività rivolta alla sensibilizzazione ed alla promozione dei valori della parità e della giustizia, garantendo una eguaglianza dal basso e la valorizzazione delle differenze. Molte sono ancora oggi le persone discriminate, stigmatizzate e persino vittime di violenze a causa della loro identità di genere, reale o percepita, dell’orientamento sessuale, di una eventuale condizione di disabilità o, ancora, per ragioni di lingua o etnia o fede. Credo sia importante partire proprio da queste diversità, da rivalutare quali ricchezze per una concreta crescita culturale; diversità che non vanno soppresse, ma alimentate assieme al rispetto, all’inclusione e alla piena attuazione delle pari opportunità”.

A proposito di università, anche l’Unimol ha recentemente aderito all’appello di Di.Re (Donne in rete contro la violenza) per dire no al divieto talebano dell’istruzione universitaria alle donne. Un ordine di sospensione di cui non si conosce la fine e che arriva dopo una serie sempre più stringente di limitazioni alla vita delle donne afghane. Il mondo occidentale è naturalmente sbigottito di fronte a imposizioni di questo tipo, ma non spetta anche a noi uno sforzo di comprensione superiore verso una cultura che in fondo conosciamo poco e a volte anche in maniera distorta per una narrazione mediatica orientata esclusivamente ai nostri valori?

“In realtà, il fenomeno della immigrazione, portatore di culture, di religioni, di costumi assai diversi da quelli che tradizionalmente hanno per lungo tempo caratterizzato il nostro Paese, ha già inciso profondamente su un diverso modo di comprendere o, meglio, interpretare. Ad esempio, ha portato a una lettura più adeguata dello stesso concetto di ordine pubblico, nazionale e internazionale, costringendo il sistema ordinamentale a divenire pluriculturale e ad aprirsi ad esperienze diverse. Tuttavia, occorre ricordare che ciò può avvenire sulla base di un unico ed irrinunziabile limite da preservare ad ogni costo: il rispetto della dignità umana. Ogni persona, in qualsiasi parte del pianeta si trovi, deve godere dell’intangibilità di quella sfera minima di libertà che compone la sua dignità. Faccio presente, inoltre, che ogni tradizione culturale si identifica nell’opera con la quale ciascuna comunità perpetua propri modi di vivere, di pensare e agire tramandati alle generazioni future; tuttavia, questo processo, prezioso per la conservazione della struttura peculiare di una collettività, di certo diviene nefasto qualora la consegna si tramuti in ‘imposizione’, assurga ad una condanna per chi la riceva senza facoltà di rifiuto, senza libertà di scelta. Libertà che non è né occidentale, né orientale, ma universale”.

Continuando a guardare al mondo femminile non possiamo ignorare quanto accade dalla metà di settembre in Iran con la protesta dei capelli tagliati che anche tantissime donne occidentali hanno sposato. Un gesto simbolico denso di significato che ha dato corpo a un dissenso ormai diffuso in tutto il Paese e che minaccia la Repubblica islamica. Migliaia di arresti, centinaia le vittime della repressione, bisogna andare avanti?

“Non è possibile restare inerti dinanzi a tale richiesta gridata di giustizia, non solo da parte delle donne, ma anche di uomini, giovani, anziani, ricchi e poveri, tutti scesi in piazza nella lotta per il riconoscimento di diritti e libertà negate. Un’istanza che il popolo iraniano sta chiedendo a gran voce da anni e che, con la drammatica vicenda di Masha Amini e di altri giovani condannati a morte per aver manifestato pubblicamente il proprio pensiero, ha scosso il mondo intero, unitosi, anche mediante gesti simbolici e di vicinanza, nel manifestare il deciso dissenso nei confronti di ogni violenza”.

E veniamo a noi, all’Italia, che anche senza repressioni e divieti conta nei primi 11 mesi di quest’anno ben 104 vittime di femminicidio. Le cause sono tante, una di queste è certamente la paura di molte donne di non riuscire economicamente a farcela da sola. Specie se hanno figli piccoli da mantenere. Un timore che si sviluppa in un contesto in cui esiste ancora oggi, in Italia nel 2022, un divario retributivo tra uomini e donne che la legge 162 del 5 novembre 2021 sta cercando di colmare. Ci spiega i punti principali di questa legge sulla parità salariale?

“Lungo può sicuramente considerarsi il cammino verso la parità uomo-donna in ambito lavorativo, nonostante già l’art. 37 della Costituzione italiana discorra, in tale contesto, di eguale retribuzione a parità di mansioni. Al riguardo, la recente legge n. 162/2021, entrata in vigore solo un anno fa (3 dicembre 2021), fa un passo in avanti a favore dell’eliminazione del gender gap, apportando una serie di modifiche al “Codice delle pari opportunità”. Tra i principali aspetti è possibile segnalare: 1) il monitoraggio sull’attuazione di misure per le pari opportunità da parte del/della Consigliere/a di parità nazionale; 2) le modifiche normative attinenti alla nozione di discriminazione, sia diretta sia indiretta; 3) l’obbligo di redigere il “Rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile” per le aziende con più di 50 dipendenti (abbassando la soglia che lo prevedeva sopra i 100 dipendenti); 4) l’introduzione del sistema di “Certificazione della parità di genere” al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dalle aziende per ridurre il divario di genere in relazione all’opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alla politiche di gestione delle differenze di genere, e alla tutela della maternità, prevedendo, conseguentemente, l’applicazione di meccanismi di premialità per le aziende virtuose; 5) il raggiungimento di un equilibrio di genere negli organi delle società pubbliche, anche non quotate. C’è da sperare che tali punti abbiano presto applicazione anche nelle aziende medio-piccole, che rappresentano la maggior parte del tessuto imprenditoriale italiano, e che le nuove generazioni, come sembrano fare, superino gli stereotipi e i rigidi ruoli di genere, per un futuro più equo e un’economia sostenibile e solidale”.

Andando ancora più nel particolare parliamo un po’ di Molise dove tante donne lasciano il lavoro quando arrivano i figli. Si parla spesso della loro incapacità di conciliare i tempi della maternità con la vita lavorativa, dell’assenza di strutture come gli asili nido, ma non si dice quasi nulla del fatto che già prima di diventare madri erano semplicemente donne lavoratrici sfruttate e sottopagate. Che la maternità ha reso consapevoli che non vale la pena sottrarre tempo ai figli piccoli (ammesso che possano permetterselo). Secondo lei esiste una ‘questione meridionale’ della condizione femminile che rende più difficile lavorare in Molise (ma in questo senso forse rappresenta anche una sfida?). E se esiste la colpa è delle donne?

“Non credo esista una ‘questione meridionale’ della condizione femminile che renda più difficile lavorare in Molise; in Molise sussiste, invece, una maggiore difficoltà nel trovare lavoro in genere, per tutti e non soltanto per le donne, ma questo è un altro discorso. Tuttavia, il processo di emancipazione sociale, portato avanti innanzitutto nel campo dell’istruzione e della formazione, ha fatto sì che molte donne – mi riferisco alle giovani generazioni, anche molisane – possiedano oggi un titolo di studio spendibile sul mercato del lavoro e siano desiderose di mettersi in gioco per raggiungere una propria indipendenza economica al pari degli uomini. Quando poi tale lavoro lo si trova, qui o altrove, spesso le donne scelgono (ma di ‘scelta’ è dubbio discorrere) di posticipare la stessa maternità a un ipotetico ‘domani’; e così, se si diventa madri, lo si diviene sempre più tardi. Questo credo sia il vero problema che attanaglia l’Italia tutta. E su questo occorrerebbe interrogarsi, cercando soluzioni dirette a costruire un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie e la stessa crescita professionale dei loro colleghi uomini, superando l’opzione lavoro o maternità. Gli asili nido pubblici e i servizi per l’infanzia in generale rappresentano, di certo, strumenti importantissimi per il contrasto alle disparità di genere; come anche le politiche del congedo parentale, volte a conciliare un corretto equilibrio dei propri impegni, favorendo la giusta partecipazione di uomini e donne al mercato del lavoro, assecondando la ridistribuzione paritaria nelle incombenze familiari”.

Visto che siamo in tema cosa augura per il 2023 alle donne molisane?

“Le donne si sono rivelate grandi protagoniste, responsabili dello sviluppo sociale, grazie anche alla loro adattabilità e flessibilità, nonostante persistano stereotipi di genere e la parità sociale, fatta di diritti e di doveri, in specie in ambito lavorativo, è ancora un traguardo non pienamente raggiunto. Il mio augurio, dunque, a tutte le donne, è di credere nelle proprie capacità, di mettersi sempre in gioco, di sfruttare i propri  talenti, anche se inizialmente può essere faticoso. E soprattutto, di riuscire a svolgere un lavoro che le renda libere di progettare il proprio futuro, rimodulando la percezione di come spesso, anche in una piccola regione qual è il Molise, si è considerate.

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