La vida loca

A 43 anni dona un rene a sua moglie malata: “Non ho mai avuto paura e oggi lo rifarei anche per gli sconosciuti”

Paolo Sapio, campobassano che vive a Madrid, si è fatto asportare il suo rene sano per dare una speranza di vita a sua moglie: "Ci vuole entusiasmo, quando ami qualcuno vuoi che stia bene"

Il 17 gennaio Paolo e Silvia sono entrati all’ospedale universitario La Paz di Madrid per essere ricoverati. Alle 8 e 30 del mattino successivo erano in sala operatoria per un trapianto di rene ‘da vivo’: lui si è fatto asportare un organo perfettamente funzionante per donarlo a lei, sua moglie, affetta dalla sindrome di Alport, una malattia genetica che causa gravi problemi renali compromettendone progressivamente la funzionalità.

L’intervento chirurgico è andato bene oltre ogni aspettativa: Silvia è a poche ore dalle dimissioni e continuerà la convalescenza a casa. Paolo, invece, è già sul suo divano da un paio di giorni, felice e disponibilissimo a raccontare la sua incredibile storia a Primonumero.

Paolo, prima di tutto: come stai?

“Bene! Mi sento davvero bene, oggi in modo particolare. Proprio stamattina ho mandato un messaggio a Silvia per dirle che non ho minimamente la sensazione che qualcosa mi manchi. Tutt’altro! Non avverto l’assenza del mio rene, mi sembra che sia ancora lì dov’era prima, insomma normalità assoluta”.

Caspita, ne parli come se fosse stata una passeggiata. Ma non hai dolore?

“Sì un po’ c’è ancora, ho i punti, debolezza e dopo l’intervento il dolore è stato grande: fa male, non puoi alzarti, non puoi andare in bagno, il letto è sempre scomodo…”

Eppure sembri molto contento.

“Lo sono”.

Partiamo dal principio: intanto raccontaci di te: chi sei?

“Mi chiamo Paolo Sapio, ho 43 anni, sono originario di Ischia ma a 12 anni mi sono trasferito a Campobasso iniziando l’altra mia vita e innamorandomi perdutamente della neve che ho visto allora per la prima volta. Con la città ho avuto parecchi contrasti, non mi sono mai incastrato facilmente con certe dinamiche della provincia ma ho seguito le mie passioni come la pallacanestro, i pattini e queste mi hanno tenuto lontano dai guai, dato un corpo sano e fatto conoscere belle persone”.

E Silvia dove l’hai conosciuta?

“Pattinando sul Corso. Lei era in città come studentessa del programma Erasmus, siamo diventati amici. Poi nel 2008 è tornata perché un’amica comune si sarebbe laureata e io ero lì in veste di fotografo”.

Ed è sbocciato l’amore.

“1 maggio 2008, un giorno indimenticabile: il primo bacio al castello Monforte”.

Un classico insomma. Oggi siete sposati e vivete in Spagna giusto?

“Sono in questo Paese da quattordici anni, da quattro viviamo a Madrid, più o meno da quando il suo rene, l’unico ancora funzionante perché l’altro è fuori uso dalla nascita, ha cominciato a degenerare”.

E’ stato allora che hai deciso di donarle il tuo?

“Non c’è un momento in cui ho deciso, ho sempre saputo dentro di me che l’avrei fatto. Quando ami qualcuno vuoi che quella persona stia bene e non mi piaceva l’idea di saperla per anni in dialisi in attesa di un rene compatibile. Silvia è la donna che ho cercato per tutta la vita, un angelo caduto sulla terra, non potevo permettere che accadesse questo, la qualità della sua vita ne avrebbe risentito, la dialisi, del resto, è una terapia pesante”.

E quindi quando il suo rene non ha fatto più il suo dovere cosa è successo?

“E’ successo che sono dovuto andare a spiegare a un comitato di medici e psicologi le ragioni della mia scelta. In Spagna la cultura della donazione è molto più diffusa che in Italia, si fanno tantissimi trapianti a Madrid, ma prima di ottenere l’ok per l’intervento bisogna esaminare i motivi. La commissione mi faceva molto ridere perché provavano a tendermi dei tranelli, quando capivano che avevano di fronte un impavido pensavano che fossi un po’ matto (ride, ndr). Ma ho dimostrato che non provavo paura non perché fossi incosciente di quello che avrebbe comportato una vita senza un rene – sull’argomento ormai io e Silvia siamo esperti – ma perché ero perfettamente consapevole delle mie azioni e determinato ad andare fino in fondo. Ci vuole molto entusiasmo e poi chissà forse la paura l’avevo già smaltita tutta saltando coi pattini per le strade di Campobasso da ragazzo. Dopo il comitato mi hanno sottoposto a una specie di giudizio davanti al tribunale: il giudice vuole conoscere la storia medica e personale, non deve avere il minimo dubbio che qualcuno ti stia costringendo a fare un passo così importante o, peggio ancora, che lo fai per denaro”.

E’ un percorso non facile quindi quello di donare un proprio organo a qualcuno.

“E’ facile se lo fai col cuore e se c’è la compatibilità. C’è stato un momento in cui abbiamo temuto che il mio rene potesse non essere compatibile con Silvia, del resto abbiamo storie genetiche differenti e proveniamo da Paesi diversi: io italiano, lei spagnola. Ma io sentivo dentro di me che la compatibilità c’era e lo hanno confermato anche i medici dopo aver studiato il caso per mesi. Nel frattempo Silvia continuava a rispettare una dieta vegetariana molto restrittiva. Grazie alla sua volontà e alle sue conoscenze (è biologa e laureata in tecnologie alimentari) ha allungato la vita di quell’unico rene funzionante e da questa esperienza è nato anche una ricettario pubblicato su Instagram che ci ha messo in contatto con centinaia di persone in tutto il mondo e avevano bisogno di consigli sull’alimentazione. Oggi ci ringraziano e ci fa molto piacere poterli aiutare”.

Paolo Sapio

 

Dopo l’operazione che ha dato una speranza di vita molto più lunga per Silvia cosa ti senti di dire a chi in questo momento vive una situazione simile alla tua, magari per aiutare un figlio o un parente?

“Ognuno ha la sua storia e qualcuno avrà anche paura di morire o di vivere male senza un rene. C’è una cosa però che voglio dire a questa persona spaventata: Silvia era due piani sopra il mio reparto, prende degli immunodepressori molto forti perché i medici devono evitare il rigetto ed è estremamente vulnerabile in questo momento. Prima delle dimissioni sono scappato da lei, le ho fatto una sorpresa, le ho preso la mano e in quel momento, in quel preciso istante, ho sentito una gioia che non avevo mai provato. Quando ho raccontato questo a mia madre lei mi ha detto: ‘Paolo, tu hai sentito quello che ho provato io quando sei nato’. E allora ho capito tante cose e oggi, se avessi altri reni, li darei anche agli sconosciuti”.

Paolo Sapio
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