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Cibi sintetici: contrasto a crisi alimentare e climatica

Abbiamo appena appreso che il numero degli abitanti che popolano il nostro mondo ha superato la soglia degli otto miliardi di abitanti; le informazioni provenienti dagli studiosi, che si occupano dell’argomento, nelle sue più diverse sfaccettature, indicano che gli abitanti del nostro pianeta continueranno ad aumentare e sarà in breve raggiunta la quota dei dieci miliardi.

Il numero, oltre ad essere così alto e mai prima storicamente raggiunto, pone problemi importanti e di varia natura, da studiare e gestire su più piani e diverse direzioni, oltre che in merito alla quantità, anche e soprattutto in ragione della qualità della vita, sia del pianeta che dei suoi abitanti, compreso l’insieme degli organismi animali e vegetali, nel loro grado di biodiversità conseguito.

A detta degli esperti, al momento, siamo in grado di produrre cibo per circa dodici miliardi di persone. L’inghippo, però, è che la sua disponibilità e distribuzione è diseguale, non solo in riferimento agli abitanti delle varie aree geografiche della Terra, ma anche per chi vive all’interno degli stessi contesti territoriali, economicamente avanzati. In essi, infatti, è ben noto che si riesce a mandare al macero, senza plausibili giustificazioni, ingenti quantitativi di prodotti alimentari, che potrebbero agevolmente garantire la sopravvivenza e/o quantomeno fornire più accettabili condizioni di vita a numerosi individui presenti nei più periferici angoli del mondo. Per di più, è accertato da accreditati studi che i comportamenti, seguiti dalle comunità più ricche, contribuiscono fortemente a rendere ancor più gravi i già conosciuti precari equilibri naturali, cui le diverse aree geografico-ambientali sono da lungo tempo sottoposte.

L’immissione in atmosfera d’ingenti volumi dei pericolosi gas serra, provenienti, soprattutto, dalle attività agricole, a cominciare dagli allevamenti intensivi è, con ogni evidenza, l’esempio di maggior rilievo, ancorché determinante, di quanto le attività umane possano rivelarsi responsabili delle negative conseguenze che possono ripercuotersi sugli equilibri consolidatisi in natura, nel tempo, sul nostro pianeta.

In proposito, possono essere illuminanti i risultati raggiunti e forniti da due studi, pubblicati di recente, l’uno sulla rivista Plos Climate a cura dell’Università di Stanford (USA) e l’altro realizzato dall’Istituto per la ricerca sul clima di Potsman, con sede in Germania.

Nel primo, i ricercatori americani stimano che se, miracolosamente, fossero azzerati di colpo tutti gli allevamenti attivi nel mondo e anche solo un terzo delle coltivazioni adibite al loro sostentamento fossero trasformate in foreste, si avrebbe un indiscutibile vantaggio nell’azione di contrasto al cambiamento climatico.

Lo studio tedesco, a sua volta, afferma che se, entro il 2050, fossimo in grado di produrre solo il 20% in meno di carne bovina e altresì sostituirla con prodotti alternativi, le emissioni di CO2 e la deforestazione si dimezzerebbero; in più le emissioni di metano, l’altro pericoloso gas serra, avrebbero una contrazione di almeno l’11%.

I prodotti alternativi evidenziati fanno riferimento proprio al cibo sintetico, costituito perlopiù da carne prodotta in laboratorio, già disponibile e del quale è molto probabile se ne farà sempre più uso in futuro.

La nostra dieta mediterranea, patrimonio UNESCO, facendo uso di poca carne, di molti cereali e legumi, uniti a verdura e frutta di stagione, è la perfetta sintesi della sostenibilità alimentare e dunque vantaggiosa, sia per la nostra salute che per quella dell’ambiente.

 

Angelo Sanzò – Presidente del Comitato Scientifico Legambiente Molise