L'intervista

Calcio, passione in crisi. Mister De Libero: “Il Molise ha imboccato una strada senza uscita”

Il tecnico guida i rossoblù del presidente Aurisano nel torneo di Prima categoria: “Considerando lo spessore di società e staff non posso che essere fiducioso”. Ma il pallone regionale resta indietro

Nelle categorie calcistiche definite inferiori, sparse qua e là nei vari campionati di competenza, esistono realtà che devono essere considerate delle oasi nel deserto, delle roccaforti che resistono alle crisi e alle mode andando avanti per la propria strada. È il caso della Ss Campobasso Calcio Asd, società del capoluogo che milita nel torneo di Prima categoria. Il club del presidente Alfredo Aurisano è guidato in panchina da mister Giovanni De Libero, 39 anni e una passione grande così per il calcio, anzi per il pallone, quello fatto bene. Con lui abbiamo realizzato un’intervista a tutto tondo.

Come procede il cammino del Campobasso calcio e quali sono gli obiettivi per questa stagione?

“Il cammino della “nostra famiglia” procede bene. La partenza non è stata delle migliori ma posso assicurare che rientra nella normalità delle cose. Si tratta di una società nuova e con un parco giocatori che ha subito un profondo restyling rispetto agli anni addietro. Gli obiettivi stagionali sono ambiziosi: proveremo a confermare il risultato dello scorso anno (playoff) cercando di aggiungere quel qualcosa in più che ci consenta di alzare l’asticella. E chissà… La vittoria è solo la punta dell’iceberg di un processo molto vasto. Un processo che non può prescindere dalla presenza di “top di gamma” tanto in campo quanto in società. Il calcio non è matematica e per ambire a certi livelli è necessario fare le cose al meglio e farle meglio degli altri. Ne siamo tutti consapevoli così come siamo coscienti del fatto che lavorando duro nulla può esserci precluso. Considerando lo spessore di società e staff non posso che essere fiducioso”.

Lei è da tempo sui campi di calcio della regione: com’è cambiato il calcio nostrano negli ultimi anni?

“Ho avuto la fortuna di allenare nel calcio a 5, nel settore giovanile, nell’Academy della Juventus e nel calcio a 11 campobassano. Le ho viste un po’ tutte e di una cosa sono certo: siamo lontani anni luce dalle altre regioni (in primis quelle del nord) e abbiamo imboccato una strada che potrebbe essere senza via d’uscita, specialmente per il capoluogo. Eccezion fatta per la prima squadra – una realtà professionistica che siamo stati in grado di rovinare nella maniera più becera possibile – il calcio a 11 campobassano sta lentamente scomparendo. I motivi sono i più variegati: si va dalla mancanza di fondi all’esiguità delle strutture e fino alla mancanza di identità che, per lo meno, sopravvive nelle realtà limitrofe. Non meno importante è la mancanza di progettualità, non ultima quella legata ai settori giovanili. Sono anni che sento dire che il “passato era migliore del presente” ma non è così. Nella vita tutto cambia, il calcio è cambiato. E nel calcio tutto quello che era utile ieri potrebbe non esserlo oggi. Ci avvaliamo di un modello che non c’è più per giudicare e sminuire le nuove generazioni ma si tratta di una puerile giustificazione ai nostri demeriti. La verità è che dovremmo evolvere il nostro modo di intendere e fare calcio. Solo così riusciremo a trovare le chiavi giuste per stimolare i ragazzi e renderli dei veri calciatori”.

Cosa la spinge a dare tutto se stesso durante gli allenamenti e nel corso delle partite del weekend?

“Tutto ciò che faccio nella mia vita lo faccio con amore, passione e dedizione assoluta. Il calcio è uno dei miei lavori e lo è da anni. Finché avrò le forze, perciò, cercherò di dare sempre il massimo. E sono certo che tutto quel che accadrà – vittorie, sconfitte, errori – mi consentirà di crescere ulteriormente”.

La passione per il calcio… e poi? In tutti i settori l’aggiornamento è fondamentale. Lei ha un suo modello di allenatore?

“A parer mio in questo ambiente esistono diversi miti da sfatare. Il primo è che l’esser stato un giocatore renda un allenatore più bravo rispetto a chi non lo è stato. Non è così e non lo dico certo io (Velasco, Guardiola). Si tratta di due mestieri completamente diversi e, mi permetta la critica, non aver giocato a certi livelli non dovrebbe impedire agli allenatori di completare il loro percorso di crescita (vedi l’accesso ai corsi Uefa A). In questo la Federazione è ancora molto molto indietro. Altro mito da sfatare è che un patentino e un aggiornamento rendano mister. Imparare i pilastri della disciplina e tenersi aggiornati è fondamentale. Poi, però, è determinante sapersi calare nei vari contesti perché molto spesso ti ritrovi a dover insegnare qualcosa a persone che il calcio lo praticano per hobby. Non esistono libri capaci di insegnarti a trovare le chiavi giuste per persuadere le menti dei giocatori né corsi in grado di farti sviluppare la capacità di adattamento. Si tratta di un talento: a tutti i livelli bisogna saper comunicare e saper creare un vestito col materiale a disposizione (e non viceversa). All’inizio i miei modelli erano Mourinho e Guardiola. Poi, negli anni, ho sviluppato una mia idea di calcio che, di volta in volta, adatto al contesto in cui mi trovo. In ogni caso, non esiste qualcosa come l’allenatore migliore. Esistono allenatori bravi a fare cose: c’è chi è bravo ad allenare campioni (Ancelotti), chi impone cultura di gioco (Guardiola), chi eccelle nelle ricostruzioni (Conte, Spalletti), chi sa valorizzare situazioni già strutturate (Allegri), chi è fenomenale nell’allenare i talentuosi (Gasperini), chi introduce metodi innovativi (Mourinho e Klopp) e chi sa formare i giovani. Quest’ultima, purtroppo, è una delle note dolenti del calcio italiano: nei settori giovanili bramiamo la vittoria anziché puntare alla crescita; esasperiamo la tattica trascurando la tecnica individuale. E dimentichiamo addirittura che disciplina, rispetto, educazione, umiltà e cultura della sconfitta sono quelle cose che permettono a un giocatore di crescere e/o eccellere e che perciò andrebbero coltivate ben prima degli aspetti di campo.

Il suo sogno nel cassetto?

“Il mio sogno nel cassetto è essere una persona migliore e un mister migliore per tutti quelli che avranno a che fare con me. Quel che accadrà in seguito sarà sicuramente qualcosa di positivo: che dir si voglia lavoro e passione pagano sempre”.    fds

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