La sentenza

Dipendente ludopatico fa ‘sparire’ 500mila euro di anziana correntista, banca condannata

E' destinata a fare giurisprudenza la sentenza del Tribunale di Campobasso che ha condannato l'istituto di credito a restituire 450mila euro ad una signora che ora ha 90 anni e tutelata dagli avvocati Sansone e Di Pardo. Aveva investito ingenti somme che un promotore finanziario, dipendente della banca, aveva speso nel gioco on line. 'Vittime' anche altri clienti

Si era fidata del promotore finanziario – dipendente di uno dei più grandi gruppi bancari italiani – e gli aveva affidato somme ingenti nel corso del tempo: poco più di mezzo milione di euro. Soldi che, ad un certo punto, la storica correntista dell’istituto di credito scopre di non avere più nelle sue disponibilità: i soldi erano ‘spariti’ perchè il promotore finanziario aveva il vizio del gioco come si scoprirà poi.

Dovrà essere la banca a risarcire la donna, che oggi ha 90 anni: lo ha stabilito il giudice del Tribunale di Campobasso in una sentenza destinata a fare giurisprudenza, al termine del contezioso durato cinque anni e durante i quali la signora è stata tutelata dal punto di vista legale dagli avvocati Salvatore Di Pardo e Michele Sansone. 

Michele Sansone avvocato

La correntista si era fatta convincere dal promotore finanziario ad investire i suoi soldi in prodotti finanziari con tassi particolarmente vantaggiosi. Quei grossi importi – 540mila euro – non saranno in realtà mai impiegati in tal senso. La signora lo scopre quando chiede al dipendente dell’istituto di credito di disinvestire il capitale: la somma “non era più disponibile”, si sente rispondere. Inizia un incubo. Lei si trova in difficoltà ed è costretta a chiedere un aiuto economico ai figli a causa delle gravi perdite economiche subite.

L’uomo, all’epoca iscritto all’Albo dei promotori finanziari, soffriva di ludopatia. Contro di lui diversi clienti avevano presentato denuncia alla Procura della Repubblica che aveva indagato sul suo conto. E anche in questo caso i clienti avevano raccontato agli inquirenti il medesimo modus operandi, ossia l’acquisto di prodotti finanziari ad un tasso di interesse vantaggioso. L’investimento però non veniva poi concretamente effettuato e il capitale non veniva restituito. Il promotore finanziario, alla consegna del denaro, rilasciava infatti delle ricevute fittizie.

Ad un certo punto è lui stesso a confessare di essere vittima del gioco d’azzardo: lo fa durante la causa di lavoro contro la banca, che aveva deciso di lasciare dando le dimissioni e provando poi ad essere riassunto. Davanti al giudice del lavoro il promotore finanziario ammette di aver accumulato debiti ingenti, di aver utilizzato i soldi dei clienti della banca e di aver anche tentato il suicidio.

E’ un altro ‘pezzo’ della vicenda che il Tribunale di Campobasso ricostruisce nella sentenza con cui accoglie le ragioni della correntista ‘truffata’ riconoscendo al tempo stesso la “responsabilità della banca” anche in caso di un “comportamento illecito del dipendente o di un preposto” e “riconducibile all’attività lavorativa”. Del resto, grazie “al rapporto di fiducia che si era instaurato” col dipendente in quanto “storica correntista dell’istituto di credito”, si legge nella sentenza, la signora “non avrebbe mai potuto dubitare della veridicità delle operazioni prospettate, ossia del fatto che i capitali consegnati fossero effettivamente investiti dal promotore finanziario inserito nella compagine bancaria (mentre venivano utilizzati per giocare d’azzardo)”.

La banca dovrà versare alla donna 450mila euro (ne aveva chiesti 540mila) e pagare le spese legali. La sentenza, che costituisce una ‘svolta’ in contenziosi di questo tipo perchè ribadisce la responsabilità dell’istituto di credito, ridà speranza ad altri clienti vittime dello stesso promotore finanziario. Quest’ultimo, infatti, sarebbe riuscito ad “ingannare numerosi correntisti facendo leva sul rapporto di fiducia, utilizzando lo stesso modus operandi e – si legge sempre nel dispositivo – promettendo interessi particolarmente appetibili, oltre che sul fatto di lavorare alle dipendenze di un affermato istituto bancario”.

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