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Salvini e Conte, Toma e Facciolla e la sindrome di Fonzie

Saper ammettere gli errori, condividere la verità dei fatti per l’interesse di tutti ed evitare di guardare la realtà dalla sola angolatura che premia la propria esigenza personale diventa in questa epoca di fake news e disinformazione una dote indispensabile delle donne e degli uomini che si vogliono rendere pubblici.

Se i diamanti sono i migliori amici delle donne, come diceva Marilyn Monroe, le percentuali elettorali lo sono dei politici in odore di trombatura. Date una qualsiasi percentuale ad un politico che non ha ottenuto la vittoria elettorale che si aspettava ed egli sarà capace di sollevare il mondo. Almeno il suo. Almeno per il tempo necessario prima che la verità si faccia carico di bussare non certo alla sua coscienza, ma all’intelligenza dei suoi compagni di partito. E agli elettori.

 

Perché non sia mai detto che un politico possa ammettere in autonomia e nell’immediatezza del fatto una sconfitta, a meno che non si chiami Enrico Letta, a cui va l’onore delle armi per la repentinità del passo indietro. Tutti gli altri no. A partire da Matteo Salvini che dal 34% delle elezioni europee del 2019 è arrivato all‘8% del 25 settembre. Lui lo ha ribadito: non ha nessuna intenzione di lasciare la poltrona di segretario della Lega. Del resto con la metà dei voti del PD ha il doppio dei loro parlamentari. E questa è l’unica percentuale che per lui conta. Ma pensate allo stesso Giuseppe Conte che nonostante i 6 milioni di voti persi dal Movimento 5 Stelle rispetto alle scorse politiche riesce a cantare vittoria, utilizzando la percentuale a cui era accreditato prima del voto dai sondaggi di luglio come unico dato per valutare della sua prestazione.

Se in campo nazionale i due alleati del governo giallo-verde hanno disperso oltre la metà del consenso che gli consentì di guidare il paese nel 2018 e non sentono il peso della disfatta, anche a livello locale abbiamo esponenti affetti dalla medesima sindrome di Fonzie (uno dei principali protagonisti della serie americana Happy Days che non riusciva mai a chiedere scusa anche quando sbagliava balbettando frasi incomprensibili).

Quell’impedimento psicologico che rende loro impossibile ammettere uno sbaglio, una sconfitta. Impensabile chiedere scusa per gli errori politici commessi ai propri elettori e sostenitori o compagni di partito. E se nessuno gliene chiede conto, loro, sono pronti a proseguire senza esitazioni. Anzi, sono pronti a nuove sfide, a nuove strategie, a nuove candidature.

Ieri abbiamo assistito in Molise a due capolavori di analisi del voto controfattuali. Il Presidente della Regione Molise Donato Toma è riuscito a dire che Forza Italia, a cui evidentemente si è riavvicinato e che si augura gli conferisca una nuova candidatura, in Molise ha fatto uno dei migliori risultati in Italia. Certo l‘11,3% è di ben 3 punti percentuali sopra la media nazionale del partito di Silvio Berlusconi. Ma se paragonato al dato delle scorse politiche Forza Italia in Molise perde qualcosa come circa 14.000 voti, passando dai 28.079 nel 2018 ai 14.701 di domenica. E, cosa più importante, fallisce l’obiettivo di portare l’assessore della giunta Toma, Nicola Cavaliere, in Parlamento. Fratelli d’Italia ha ottenuto oltre il 10% in più di voti e ha eletto il suo senatore. Il Basso Molise per una volta ha guardato ai candidati del territorio e ha saputo fare gioco di squadra, al di là delle appartenenze politiche, visto che il PD non ha trovato nessun candidato della zona da proporre in alternativa sugli uninominali.

L’altra analisi incredibile è quella proprio del segretario regionale del PD, Vittorino Facciolla. Scambiare l’elezione di Caterina Cerroni, frutto esclusivo del meccanismo del riparto dei seggi nazionale, per un successo delle sue scelte di candidature appare incredibile. La candidatura della leader dei Giovani Democratici, lo sanno bene gli addetti ai lavori, gli è stata imposta direttamente da Enrico Letta, facendolo scendere in seconda posizione sul listino proporzionale. Il PD molisano con il 18,3% realizza la migliore prestazione nelle regioni del Sud? Ma questo non toglie che la percentuale è comunque bassa e lascia intatto il vero il dato politico più importante: il PD arriva anche in Molise dietro Fratelli d’Italia e soprattutto dietro il M5S, perdendo così il diritto di avanzare la proposta prioritaria di un proprio candidato presidente per le regionali della primavera del 2023 in caso di intesa con il partito di Conte. Il dato percentuale del PD migliora rispetta al 2018, ma in termini di voti assoluti anche qui la bocciatura del corpo elettorale è incontrovertibile: il PD passa dai 26.499 delle scorse politiche ai 23.444 di domenica. Altri tremila voti persi. L’astensione non entra nelle percentuali, ma i voti andati smarriti esistono e sono un fatto politico dal quale non si può sfuggire.

Sono proprio questi atteggiamenti, alla Fonzie appunto, di chi tenta sempre di piegare la realtà alle proprie convenienze, deformandola, che allontanano gli elettori dall’esercizio della partecipazione democratica. Senza la condivisione della verità fattuale dei numeri che sono incontrovertibili il rapporto fra popolo e politica si corrompe. E rammentare questo filo per riavvicinare politica e cittadini diventa un lavoro duro e faticoso. Eppure è una fatica indispensabile da compiere, per salvaguardare il bene prezioso di una democrazia funzionante che resta la condivisione pubblica della verità. Saper ammettere gli errori, condividere la verità dei fatti per l’interesse di tutti ed evitare di guardare la realtà dalla sola angolatura che premia la propria esigenza personale diventa in questa epoca di fake news e disinformazione una dote indispensabile delle donne e degli uomini che si vogliono rendere pubblici.

I leader che sapranno attuare questo comportamento, loro sì, potranno esser i migliori amici degli elettori. Diamanti che brillano nel fango della menzogna.

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