La riflessione

L’autonomia della Regione Molise è morta

L’autonomia della Regione Molise è morta.
Come la speranza di chi oggi è un malato di tumore e sa che dal prossimo ottobre non potrà più curarsi nella sua regione di residenza. Il Gemelli di Campobasso sospenderà il servizio di radioterapia oncologica. Ma solo per i residenti molisani. Oltre il danno, la beffa. La struttura erogherà ancora quel servizio, ma esclusivamente per i malati provenienti da Foggia o Benevento o da quelle regioni capaci di poter pagare la prestazione sanitaria.
Il sistema sanitario molisano, commissariato da anni, ha finito le proprie risorse. Strutture ospedaliere pubbliche private di medici e di servizi e quelle private di poter erogare prestazioni.

Da semplice cittadino ho sollecitato la segreteria tecnica del Ministero della Salute a verificare se davvero la prospettiva che ci attende è quella di non poter ricevere più cure oncologiche in Regione.

Se così fosse, oltre la speranza è morta anche la Costituzione in Molise. Il diritto alla salute e il diritto all’uguaglianza sono vuoti principi che non hanno cittadinanza per chi sulla carta di identità ha come provincia di residenza quella di Campobasso o di Isernia.

Non è mai il momento di ricercare le colpe. Del resto siamo in campagna elettorale e ciascuna delle parti in campo, che ci chiede il voto per andare in Parlamento e nella prossima primavera per governare la Regione, racconterà solo il pezzo di responsabilità dell’avversario, in carica in quel frangente di tempo nel quale esso aveva la responsabilità del governo regionale o nazionale.

Ma se dunque le colpe sono di tutti e dunque di nessuno, non delle classe dirigenti e non dell’elettorato che quelle classi dirigenti hanno scelto, è però giunto il tempo di porsi davanti allo specchio della Storia come cittadini italiani e molisani e chiedersi quale reale speranza, volontà o bisogno abbiamo di continuare ad essere davvero la ventesima regione d’Italia.

Quale senso possa avere l’autonomia se non corrisponde alla certezza di vedersi garantiti quei servizi minimi di cui gli altri italiani ogni giorno possono godere: salute, scuola, trasporti, lavoro.

Scontiamo l’impotenza di fronte alla verità dei numeri: demografia e ricchezza prodotta ci condannano dinnanzi al futuro. Ogni anno 5.000 residenti lasciano la Regione. Abbiamo varcato il confine psicologico delle 300.000 unità e proseguendo con questo ritmo in meno di dieci anni avremo una popolazione inadeguata a poter corrispondere allo status di Regione.

Le strade davanti ai noi sono due. Una è una iperbole, l’altra è una sfida. La prima: dichiarare il Molise Regione in “stato di pericolo oggettivo” a causa dell’impossibilità di erogare i servizi minimi in campo sanitario e di viabilità a garanzia della sopravvivenza dei propri residenti, invitando tutti a andare a vivere altrove e avvisando chi persevererà a restare qui che lo fa a proprio rischio e pericolo.
La seconda: governare il processo istituzionale che presto o tardi, ma più presto che tardi, si dovrà avviare sullo status costituzionale del Molise. Governare e non subire la sua nuova collocazione geopolitica, scegliendo come ripartire i propri territori dentro gli altri contesti delle regioni limitrofe (Macro regione Adriatica, smembramento tra Sannio, Campania, Abruzzo e Daunia) o lottare per la creazione di un progetto di autonomia speciale, divenendo la sesta regione a statuto autonomo, con l’obiettivo di invertire la curva demografica dei residenti e la correlata ricchezza prodotta entro un determinato periodo di tempo.

Governare il Molise, senza questa prospettiva, è ormai un lavoro da commissari liquidatori.

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