L'Ospite

L'ospite

Origine e storia della festa di San Pardo, patrono di Larino e della Diocesi

Nota storica di approfondimento a cura di Giuseppe Mammarella, direttore dell'Archivio storico diocesano

Torna quest’anno, dopo il lungo periodo funestato dalla pandemia, la caratteristica festa di San Pardo, Patrono principale di Larino e diocesi, considerata, da noti esperti, una delle più belle che si celebrano in Italia.

Oltre centoventi carri, dalla foggia trionfale o dal formato a capanna, buona parte di cui trainati da buoi, artisticamente addobbati e ricoperti di fiori, offrono dal 25 al 27 maggio nella città frentana spettacoli indimenticabili.

Ernesto De Rosa, noto scrittore della prima metà del Novecento, in una sua composizione apparsa, il 26 maggio 1934, su un altrettanto noto quotidiano, nel trattare di Larino e di questa particolare manifestazione, giustamente definita “Una gemma del folklore molisano”, così si esprime: Larino, tutta unita nella sua fede, celebra il suo poema di ricordi e di bellezze nel maggio canoro, a testimoniare la saldezza spirituale di questo popolo. Natura e storia sono il patrimonio di questa città: natura non avara e storia non indifferente si fondono creando il genio del buono e del bello per cui in questa Sagra del maggio tutto è trionfo di pace, di amore e di lavoro.

La festa di San Pardo ha origine antichissima. Mons. Giovanni Andrea Tria, nelle sue note Memorie Storiche, pubblicate a Roma nel 1744, afferma che in memoria della traslazione di San Pardo, i cittadini di Larino il 25 maggio, fanno la corsa di buoi con carri in figura del suo trasporto in essa Città, proprio come avviene ancora oggi in quattro centri dell’antica e gloriosa diocesi larinese: a San Martino in Pensilis, in ricordo della traslazione dei resti mortali di San Leo dal monastero benedettino di San Felice alla parrocchiale di Santa Maria in Pensili, ad Ururi, in occasione della festa del Legno della Croce, a Portocannone, per rievocare l’arrivo in quel centro di un quadro della Madonna di Costantinopoli, ed infine a Chieuti, in onore di San Giorgio. Di queste ultime quattro ‘Carresi’, mons. Tria fa cenno solo di quella praticata a San Martino in Pensilis. L’inizio delle altre tre avvenne per Chieuti, sul finire del Settecento, tempo in cui la ‘corsa di Larino non destava più l’antico interesse, tanto da provocarne, alcuni decenni dopo, il definitivo abbandono, e per Portocannone ed Ururi dopo l’anno 1879.

Per lo storico Alberto Magliano, l’attuale svolgimento della festa larinese è da datare al 1872. Egli, infatti, afferma che la processione della sera del 25 e quella del mattino del 27 maggio rimontano a quell’anno. Il corteo del 26, come già accennato, risale a tempi immemorabili. Anche il celebre drammaturgo francese Alexandre Dumas (padre) nel suo famoso romanzo ‘La Sanfelice, scritto negli anni Sessanta del XIX secolo, si interessa della particolare manifestazione informandoci che al 26 maggio si festeggia a Larino San Pardo, patrono della città, aggiungendo, poi, che in quel giorno (ha) luogo una grande processione; i contadini ornano i loro carri di ghirlande e di fiori, di drappi e banderuole di tutti i colori; essi vi attaccano dei buoi dalle corna dorate e li bardano con nastri variopinti. Questi carri seguono la processione.

L’attuale celebrazione della festa consiste in tre grandi cortei.
Dopo il tramonto del primo giorno i carri si avviano lentamente dal centro storico medioevale verso la parte alta dell’antico capoluogo frentano, sito dove, sotto Diocleziano, furono martirizzati i tre Larinesi: Primiano, Firmiano e Casto. In questa località, accanto ai resti di una basilica paleocristiana, sorge un piccolo tempio dedicato al primo dei tre Martiri, San Primiano, il cui simulacro viene prelevato e deposto sull’ultimo dei carri, quello più antico. E ormai notte fonda ed è anche il momento culminante dell’affascinante processione. I carri, in una fantasmagoria indescrivibile di luci alimentate da piccole lampade multicolori situate a centinaia su ognuno di essi, e dalle migliaia di fiaccole poste ai due lati dell’interminabile corteo, ritornano nella Piazza del Duomo per collocare nella monumentale cattedrale, dove nel tardo pomeriggio erano state sistemate, lungo le due navate laterali, altre artistiche statue di santi venerate nei vari edifici sacri della città, l’ultima effigie che ancora mancava per la imponente processione del giorno dopo, quella del primo Martire, Compatrono di Larino e diocesi.

Il giorno seguente è il più importante perché ricorda l’arrivo in città delle spoglie mortali di San Pardo, avvenuto il 26 maggio dell’anno 842.
Mons. Tria riferisce che distrutta Larino dagli Agareni (Saraceni) nell’anno del Signore 842, gli Abitatori della Città di Lesina, de quali gran parte erano Cittadini di Lucera, udendo i prodigi, e i miracoli, che si opravano in Larino per li meriti, e ad intercessione de Santi Martiri (Primiano, Firmiano e Casto), e sapendo, che senza contrasto avrebbero potuto involare que Sacri Corpi, si condussero colà e rubatone il Corpo di S. Primiano, e di S. Firmiano, come religiosi tesori gli trasferirono nella loro Città. Quei larinesi scampati dalla strage, sentirono che la più grande sventura era caduta sulla loro città, quando trovarono vuoti i venerati sepolcri dei Santi Martiri, motivo per cui decisero subito di ricercarli. Nei pressi di Lucera, però, scoprirono la tomba di San Pardo e se ne impadronirono. Venne, quindi, approntato un rozzo carro trainato da buoi, su cui sistemarono il sacro deposito che, tra preghiere, inni e canti, portarono a Larino.

Le due biografie medioevali di San Pardo (potrebbero essere state scritte da un solo autore) non permettono di acquisire dati storici certi. L’unico elemento sicuro scaturito da studi recenti, riguarda un Pardo, primo vescovo pugliese storicamente certo, che partecipò al Concilio di Arles nel 314. Non è da escludere, quindi, che il San Pardo venerato a Larino e quello recatosi ad Arles in rappresentanza della comunità cristiana di Salpi, antica città dauna situata nei pressi dell’attuale Trinitapoli, siano la stessa persona.

Proprio in ricordo di questo trasporto si celebra la solenne manifestazione di fede, seppure modificata più volte nel corso dei secoli.
Tornando brevemente alla descrizione dell’attuale festa, c’è da segnalare che nella parte centrale del secondo giorno la sfilata dei carri si snoda da un capo all’altro del quartiere medioevale, percorrendone le vie tortuose e, per oltre tre ore, è possibile ammirare uno scenario meraviglioso.

La fase conclusiva del terzo giorno consiste nel riaccompagnare il simulacro di San Primiano nella sua abituale dimora. I carri partono dal centro storico medioevale a metà giornata per ritornarne nel tardo pomeriggio, regalando ancora una volta una straordinaria visione che non stanca mai.

Durante questa manifestazione si esegue ancora la carrese, una forma di canto monodico di tradizione orale, definita anche con i termini di laudata e carrera. In passato, l’esecuzione veniva realizzata in luoghi e momenti definiti; oggi, invece, l’intonazione è lasciata alla discrezione degli esecutori. Il canto, di profondo contenuto teologico, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, è una lode all’Onnipotente, alla Madonna, a San Pardo e San Primiano in particolare, ma anche ad altri Santi venerati come Patroni in vari centri del Basso Molise.

Il poeta Ernesto De Rosa ricorda pure che quella brevemente descritta è una maggiolata, espressione di alta fede e di godimento dello spirito, dove l’animo esplode in una purezza di manifestazioni che si riannodano alle antiche memorie frentane. Essa, continua De Rosa, rinnova alla stirpe il senso della innata grandezza morale e canta le virtù di un popolo millenario antesignano di ogni nobiltà di sentire e di ogni rigoglio di forza civile.

Più informazioni