Città sotterranea

Guerra, tornano di moda i bunker. Viaggio nei rifugi antiaerei di Campobasso

L'Italia aggiorna il piano di sicurezza nazionale in caso di emergenza nucleare e cresce la richiesta per l'acquisto di case sotterranee in tutto il Paese. Viaggio nel capoluogo molisano tra grotte e rifugi usati nella seconda guerra mondiale con le preziose spiegazioni di Roberto Colella.

Era soltanto “ieri”: il suono della  sirena ad aria compressa, finestre e porte che si chiudevano in pochi minuti con la gente che si metteva (o provava) a mettersi al riparo. Altre che, con coperte e candele, correvano nei rifugi antiaerei. I cittadini di Campobasso, durante la seconda guerra mondiale si sono difesi anche grazie a quella che è chiamata la “città sotterranea”.

All’interno ed a ridosso delle mura, sulla carta si contano almeno 15 rifugi per 2089 persone. Il più grande, quello di via Sant’Antonio Abate con i suoi 144 metri quadrati per una capienza di 289 persone.

Ma ne potevano entrare molte di più, e molte di più erano i rifugi non censiti. Luoghi che sembravano destinati ad appartenere ai libri di storia e che invece sono tornati in questi giorni estremamente di attualità.

In questi giorni la notizia dell’aggiornamento del piano di sicurezza nazionale in caso di emergenza nucleare ha scatenato in Italia la corsa all’acquisto di bunker e rifugi. O quantomeno si registra un picco di richieste in merito a prezzi e metrature, citato dalle aziende che se ne occupano per sottolineare quanto i cittadini sentano vicino il rischio della distruzione.

L’adeguamento del piano nazionale, come si legge in premessa, è stato necessario per “individuare e disciplinare le misure necessarie a fronteggiare le conseguenze di incidenti in impianti nucleari di potenza” ubicati “oltre frontiera”, ossia impianti prossimi al confine nazionale. Come dire che si tratta di aggiornamenti previsti ma che – in questa precisa circostanza storica – assumono un valore particolare.

Si legge quindi delle misure previste: quella del “riparo al chiuso”, con l’indicazione alla popolazione di “restare nelle abitazioni, con porte e finestre chiuse e i sistemi di ventilazione o condizionamento spenti, per brevi periodi di tempo, con un limite massimo ragionevolmente posto a due giorni”. Ecco allora che quelle reminiscenze storiche suggeriscono domande: dove potremmo rifugiarci in caso di raid aereo e lancio di armi nucleari? Dove sono i rifugi sotterranei?

In Italia (testimoni della storia passata) sono diffusi un po’ ovunque. In questi giorni le testate giornalistiche nazionali raccontano di una concentrazione rilevante sui confini settentrionali e nelle grandi città. Ma anche Campobasso ha molto da raccontare al riguardo.

Molti dei “nostri” bunker, al termine del secondo conflitto mondiale, sono andati in disuso. O sono stati commutati in cantine,  locali privati o grotte che sono state trasformate in tappe turistiche per i visitatori che arrivano nel capoluogo e che in questo viaggio nella città sotterranea hanno spesso usufruito della guida storica dello studioso Roberto Colella. Che ci mostra un raro documento nel quale sono censiti i 15 rifugi antiaerei della città. Sette si trovano nel borgo e otto fuori dalle mura (come per esempio quello sotto il Comune il Campobasso).

“Si tratta di sotterranei che nei secoli hanno avuto diverse funzioni – spiega Colella – tra cui anche quella di rifugi antiaerei quando la guerra arrivò in Molise, a Campobasso, in particolare nell’ottobre del 1943. Ecco allora che quando scattava l’allarme antiaereo, quello era il segnale che bisognava cercare rifugio proprio in uno di questi ricoveri. Se non si faceva in tempo, come raccontano alcuni quotidiani locali dell’epoca bisognava stendersi a terra, gambe divaricate, braccia sulla testa e indossare la maschera in caso si avvertisse presenza di gas”.

“Si entrava quindi nei rifugi – continua Roberto Colella – dove i letti erano allineati alle pareti e lì si restava fino quando non si poteva tornare in superficie. Hanno pertanto svolto questa funzione nel periodo tra il 1943 e il 1944 anche perché va ricordato che vicino Campobasso passava la linea Viktor, una delle linee ritardatrici tedesche volute dal maresciallo Albert Kesserling: quando gli alleati sbarcarono a Termoli lui organizzò queste linee per frenare l’avanzata”.

La città sotto terra del capoluogo molisano è in grado di resistere ad onde urto, perché si tratta di luoghi rimasti fondamentalmente intatti anche in seguito al catastrofico terremoto del 1456, fino a quello di Sant’Anna il cosiddetto ‘big one’ matesino del 1805. Ma per capirne la sicurezza “basta vedere il tipo di roccia – continua Colella – si tratta di rocce tecnicamente definite limestone, rocce calcaree formate milioni di anni fa e sono la base su cui poggia la città di Campobasso”.

Colella precisa che i rifugi “nascono con Cola Monforte quando decide di costruire una doppia cinta muraria intorno alla metà del 400 e non solo fa ristrutturare il Castello ma fa realizzare anche un camminamento sotterraneo quale via di fuga e strumento per difendersi da un eventuale attacchi”.

Passeggiando nel centro storico di Campobasso, dove sulle strade si osservano le piccole grate che affacciano su quello che esiste a diversi metri sotto i nostri piedi, ci si immerge in ricordi che si auspicava restassero tali e che invece tornano prepotentemente attuali con il passare delle ore. Purtroppo.

Ora, se la potenza raggiunta nell’ambito degli armamenti termonucleari, oggi lascerebbe – nonostante i rifugi – scampo all’uomo e quindi se davvero esistono bunker a prova di guerra nucleare, questo non lo sapremo mai e non vogliamo saperlo. Sappiamo però che la guerra si può e si deve fermare.

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