Nelle librerie

‘A chi appartine?’ Viaggio nella Termoli che fu: fra soprannomi, termini marinari e dialoghi da ridere

Giovanni De Fanis dedica un nuovo libro al vernacolo termolese, sempre più raro fra le nuove generazioni. Non un tentativo di rianimarlo, bensì un prezioso studio a futura memoria di quella che è l’identità della città

A chi appartine?’ Domanda semplice e diretta, un tempo di uso comune ma oggi quasi scomparsa. Esattamente come il dialetto, quel vernacolo termolese a cui Giovanni De Fanis, studioso della materia, dedica un nuovo libro. Intitolandolo proprio ‘A chi appartine?’ cioè a chi appartieni, chi sono i tuoi genitori, la tua famiglia.

Un titolo che dice già tutto: ci sono dentro l’identità termolese, coi suoi soprannomi, oltre 700, i suoi modi di dire, la pronuncia in vernacolo, con tanto di alfabeto fonetico, e poi termini tecnici di alcuni dei mestieri, o meglio dei settori lavorativi, che hanno caratterizzato Termoli nei decenni passati: quello della marineria e quello dell’edilizia. Il tutto rigorosamente tradotto in italiano.

“Voci, suoni e immagini di un idioma che cambia” è il sottotitolo della nuova fatica di De Fanis. A 12 anni dal capolavoro ‘Mò cchiü’’, raccolta di proverbi e modi di dire in vernacolo termolese che all’epoca spopolò nelle librerie locali e riportò d’attualità la costante perdita del dialetto termolese, ecco un nuovo lavoro che si inserisce nella stessa linea di ricerca e salvaguardia. Un lavoro all’apparenza eterogeneo ma che in realtà rappresenta un prezioso recupero di motivi culturali della tradizione di uno specifico luogo quale Termoli, per evitare che vadano dispersi.

Il libro è frutto di una lunga ricerca e riflessioni, condotta dall’autore anche con la collaborazione di persone ormai scomparse, sia popolani che addetti del settore pesca ed edilizia. Il testo edito nel gennaio 2022 è arricchito dai disegni dell’architetto Antonio De Felice che intervallano le varie sezioni con illustrazioni del Borgo vecchio termolese.

“Il dialetto – scrive l’autore nell’introduzione – non è più la lingua parlata dalla maggioranza delle persone. Il suo declino, già iniziato da diverso tempo in tutta Italia, col passare degli anni ha continuato la sua corsa spinto dai mutamenti, veloci e profondi, intervenuti nella nostra società almeno a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta. Non solo in campo economico, ma anche culturale e del costume: dalla scolarizzazione di massa alla aumentata mobilità delle persone, ma non solo, dalla nascita della televisione a internet e ai social. Questi ultimi, in particolare, hanno assunto oggi un peso rilevante nelle relazioni personali e di gruppo, condizionandone anche i linguaggi. A esserne maggiormente coinvolti e contaminati sono i giovani. Ecco perché è raro trovarne uno con un’età inferiore ai 40 anni che usi il dialetto come lingua abituale”.

Il libro dedica un grande spazio a una raccolta di soprannomi in voga a Termoli fino alla fine degli anni Settanta. “Soprannomi come una sorta di anagrafe parallela. Un archivio della memoria popolare da aprire e sfogliare al bisogno” scrive De Fanis.

Da ‘Acquarósce’ a ‘Zómbabanghe’, passando per ‘Caggianèlle’, ‘Musce-Musce’ e ‘Trendacapille’, probabile che gran parte dei termolesi con origini locali ci si possa ritrovare. “Un elenco sicuramente non esaustivo, per cui invito chiunque a segnalarmi quelli che mi sono sfuggiti” aggiunge De Fanis.

Ci sono poi una sezione didattica con un esempio di dizionario fonetico, i verbi ausiliari essere e avere, un elenco dei pesci presenti nel mare di Termoli, un glossario dei venti, del mare e dei fenomeni atmosferici, i termini tecnici della paranza e dell’edilizia, i doppi termini più usati.

L’autore diverte poi i lettori con una raccolta di giochi di suoni e di parole e con i dialoghi immaginari tra i popolani Geguannine e Lucejétte, ispirati alla raccolta dei proverbi di Mò cchiü’.

Il finale è dedicato invece a quella nuova forma linguistica creata da un misto di dialetto e italiano che è il modo di esprimersi comune soprattutto fra i giovani. De Fanis ce lo propone sotto forma di esilaranti dialoghi nella sezione ‘Una famiglia per bene’. Espressioni di una Termoli attuale tutta da ridere.

Il libro nel suo insieme non ha alcuna pretesa di arginare l’abbandono del dialetto, ma risulta fondamentale nel delineare il vernacolo come parte integrante di quella cultura della tradizione popolare come un bene da salvaguardare per la ricchezza che esprime, nonché per essere elemento di identificazione di un luogo specifico e di una popolazione.

Un testo che va a impreziosire l’archivio di opere che terranno viva anche in futuro la memoria della città com’era un tempo.

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