Termoli

Via dall’Ucraina appena in tempo: “Siamo rifugiati di guerra, non sappiamo come sarà il nostro futuro”

Michele Pio Ritucci, infermiere che studia per diventare medico, e la sua ragazza Hamrah Mehribabadi hanno lasciato Dnipro due settimane fa. “Ci dicevano di stare tranquilli, gli ucraini non credevano che ci sarebbe stato un attacco militare, ma per fortuna siamo andati via”

Sono andati via quando le notizie di una guerra imminente hanno cominciato a essere insistenti. “Gli ucraini ci dicevano di stare tranquilli, che non sarebbe successo nulla. Ma l’ambasciata ci ha consigliato di lasciare il Paese e noi avevamo paura che potessero chiudere gli aeroporti”. Così due settimane fa Michele Pio Ritucci, infermiere pugliese laureato a Termoli nel 2012, ha scelto di tornare proprio nella città molisana “dove mi sento a casa”. Insieme con lui adesso c’è Hamrah Mehribabadi, la sua ragazza. Lei, australiana di origini iraniane, lui italiano con una decennale esperienza lavorativa in Gran Bretagna. Entrambi studenti di medicina alla Dnipro Medical Institute da pochi mesi. Si sono conosciuti lì, dove adesso tutto è precipitato.

Siamo a Termoli da due settimane, per me qui è essere a casa. Abbiamo affittato un alloggio ma non sappiamo cosa succederà” confessano durante la mattinata che segna il ritorno della guerra in Europa dopo decenni di pace.

La storia di Michele non è la classica vicenda di un italiano all’estero. Originario di Lucera, 33 anni, ha studiato Scienze Infermieristiche a Termoli, quando la facoltà era ancora sulla costa adriatica. Dopo la laurea conseguita nel 2012, la scelta di andare all’estero. “Sarei rimasto anche in Italia ma non ho trovato molte possibilità”. Così ha scelto la Gran Bretagna, dove ha lavorato per circa 10 anni. Periodo nel quale “ho girato mezzo mondo. Sono stato nei Paesi dell’Est Europa, sui Balcani, in Scandinavia, in Sudamerica. Anche alle Canarie, per un periodo di riflessione”.

Come per tante altre persone, la pandemia è stata per lui un punto di svolta. “Ho lavorato in Terapia Intensiva in Inghilterra durante la seconda ondata Covid che ha travolto il Paese. Mi chiedevo davvero cosa stesse succedendo, è stato un periodo molto difficile”. Così ha deciso di cambiare. “Il mio sogno era fare il medico e sto lottando per diventarlo. Avrei voluto continuare a studiare Medicina in Italia all’epoca ma come succede anche in altri Paesi, c’è una metodica di selezione assurda che impedisce alle persone di continuare a studiare”.

Così ha scelto l’Ucraina e in particolare l’Università di Dnipro, città non lontana dal confine orientale con la Russia. “Lì eravamo nella bocca del fucile – racconta -. È una città dove si producono armi e missili. Sapevamo che sarebbe stata tra le prime località attaccate per impedire che l’Ucraina potesse armarsi”.

michele hamrah dnipro ucraina

Il periodo vissuto in Ucraina ha permesso a Michele di avere una visuale privilegiata di quello che stava accadendo. “Siamo arrivati in piena pandemia, in un Paese in cui le mascherine sembravano un optional e dei vaccini si sapeva ancora poco”.

Fino a che i venti di guerra hanno cominciato a essere sempre più forti. “I nostri amici ucraini ci dicevano di stare tranquilli, che quella situazione andava avanti dal 2014 e che le voci di una guerra imminente erano un giochetto dell’Occidente”. Il legame con la Russia sembra ambiguo. “Gli ucraini sono un popolo orgoglioso, vogliono essere indipendenti. Al tempo stesso sono la stessa gente. Tanti ucraini hanno parenti russi e viceversa”. Sembra però che pochi si aspettassero davvero l’invasione delle scorse ore. “Per loro era tutto tranquillo. Così fino a pochissimo tempo fa”.

Dell’Ucraina raccontano che “è un Paese molto diverso dall’Italia e da altre nazioni. Ci sono grosse differenze economiche. Gli industriali, chi produce armi o energia, sono ricchissimi. I professionisti fanno una vita normalissima, senza lussi. E c’è tanta povertà, abbiamo visto persone rovistare nei rifiuti”. La percezione di questa giovane coppia è che “l’Ucraina volesse occidentalizzarsi, forse anche per promesse di Usa e Ue che non so quanto fosse possibile mantenere. Gli stranieri vengono visti come un modo per fare soldi. Tutto costa di più per chi non è ucraino”.

La decisione di prendere un aereo verso l’Italia per lui e Hamrah è stata provvidenziale. “Ci sono tanti italiani che adesso vorrebbero lasciare l’Ucraina e non possono” raccontano. “Sentiamo al telefono amici e conoscenti. Ci riferiscono che hanno bombardato strade e aeroporti, ci sono code ai bancomat, il cibo comincia a scarseggiare. La nostra Università ha bloccato tutti i corsi, anche quelli on line”.

Anche l’umore delle persone è precipitato. “La manager della scuola di inglese dove insegnavo mi ha scritto poco fa che se non dovessi più sentirla significa che hanno staccato la rete telefonica o che è morta. Sono sicuro che l’ha detto in un momento di sconforto, ma è una cosa che mi ha molto colpito”.

michele hamrah dnipro ucraina

Mentre il pensiero va a quelle persone e quel posto “dove abbiamo lasciato un pezzo di noi stessi”, Michele e Hamrah sono preoccupati anche per il loro futuro. Entrambi vorrebbero proseguire gli studi, ma non sanno come e dove farlo. “Stiamo cercando un modo per farci riconoscere gli anni di studi. Io ho 33 anni, sono giovane ma non posso ricominciare da zero”. Hamrah è aperta a tutte le possibilità. “Mi piace stare qui, Termoli è bella. Ma dovrei studiare in lingua inglese”. Non esclude anche un ritorno nella sua Sydney. “Se ci accettano certamente sì”.

“Avremmo bisogno di acquisire esperienza clinica. Purtroppo a causa del Covid la nostra crescita professionale è stata limitata. Io però ho già lavorato come infermiere strumentista, lei che invece è biotecnologa ha poca esperienza in ospedale”. “Mi piacerebbe molto lavorare in ospedale – confessa lei -. A Termoli o altrove”. Restare in Molise, magari studiando a Campobasso, non dispiacerebbe neanche a Michele “ma la vedo molto difficile perché i posti sono limitati”. Adesso il loro obiettivo è mettersi in contatto col Ministero dell’Istruzione o un’altra istituzione utile per chiarire la loro posizione e se possibile ottenere un riconoscimento degli studi. “L’Università di Dnipro è riconosciuta a livello internazionale, non si pensi che fuori dall’Italia non esiste una preparazione adeguata”.

Sono quindi in una sorta di limbo. “Siamo rifugiati universitari di guerra” afferma Michele. “Difficile dire cosa sarebbe meglio per noi. Non sappiamo quanto durerà, se la nostra Università riaprirà. Chi ci assicura che fra sei mesi non potrebbe succedere qualcos’altro? È un Paese molto instabile e non so se voglio tornare in Ucraina quando sarà tutto finito”.

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