Buon natale

Un bambino povero e straniero ha cambiato la Storia. Ma se fosse nato oggi? Tra l’egoismo della pandemia e il bene possibile

L'accoglienza del diverso, quell'altro da noi che troppo spesso non trova posto nelle nostre vite; la condivisione contro l'egoismo imperante. Ma anche come l'esperienza della pandemia ci ha cambiato, non già in meglio nonostante un'iniziale illusione che ciò potesse avvenire. Rispetto a questo e a molto altro abbiamo chiesto una riflessione a don Michele Tartaglia, parroco di Campobasso e osservatore attento che sovente - anche su queste pagine - ci restituisce un'idea della direzione in cui la società sta andando. "Vegliare ed essere attenti a noi stessi, a dove ci troviamo e dove stiamo andando è forse l’unica scelta sensata che possiamo compiere, avendo anche il coraggio di smettere di vivere le cose per consuetudine". E allora, dove stiamo andando?

natività keith haring

Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7). Parto da questa citazione del vangelo della notte di Natale per rispondere alle vostre domande. L’evangelista mette in evidenza che non solo si tratta di persone straniere rispetto a Betlemme, ma sono anche stranieri particolari perché poveri. Non c’è posto per loro, ma forse per altri sì. Purtroppo ogni Natale è preannunciato da situazioni di questo tipo: basti pensare al bambino di un anno morto tra la Polonia e la Bielorussia, come i due bambini di origine bulgara morti nell’incendio in un campo rom vicino Foggia. Sì, forse se la tragedia avesse riguardato due bambini italiani avrebbe fatto più notizia ma probabilmente c’è anche un’autocensura della comunicazione che non vuole deprimere in questo tempo di ripresa, tempo in cui non ci si può intristire con brutte notizie perché bisogna incentivare i consumi. Tuttavia è vero che si tratta di vite di scarto, minori di cui non ci si occupa già quando sono in vita per cui la logica conseguenza è che non ci si occupi di loro neppure in morte. Anch’essi rientrano nel tipo di persone per cui non c’è posto nella società, che devono arrangiarsi e non per loro scelta, ma perché nati nel posto sbagliato e nelle famiglie sbagliate.

Questo Natale è stato anche preceduto dalle notizie allarmanti sulla denatalità che è ormai diventata strutturale in un’Italia in cui i bambini figli di immigrati servono per tenere aperte le scuole nei centri più piccoli oppure aumentare le classi nelle varie scuole, ma non hanno diritto alla cittadinanza, sono persone di serie b. Gli stessi militanti politici e affiliati che negano il diritto alla cittadinanza di tanti minori, sono quelli che allo stesso tempo difendono sulla carta i valori della famiglia tradizionale ma non hanno fatto nulla in questi decenni per incentivare la natalità attraverso aiuti certi alle famiglie, come invece accade nella laicissima Francia che promuove la maternità e paternità con aiuti economici seri e sgravi fiscali strutturali. E’ molto più facile difendere valori astratti (sempre contro qualcuno) e simboli inanimati come i crocifissi nei luoghi pubblici, che promuovere la dignità e i diritti delle persone reali, senza distinzione di etnia o nazionalità. Anche in questo è reale la sottolineatura del vangelo: per loro non c’è posto, mentre c’è sempre da brigare per gli interessi di chi detiene il potere economico che molto spesso va a braccetto con l’uccisione della speranza di chi conta su un lavoro dignitoso per mantenere con mille difficoltà la propria famiglia.

L’evento globale della pandemia all’inizio aveva creato l’impressione che si potesse finalmente avere la consapevolezza che siamo un unico organismo globale, di cui noi singoli costituiamo le cellule: il virus non fa distinzione di colore della pelle o di latitudine, ma passa tranquillamente da un essere umano all’altro senza distinguere tra chi è cittadino e chi è clandestino. Dopo due anni di pandemia invece si assiste drammaticamente al cupio dissolvi della specie umana, visto che si mantengono inviolate le proprietà intellettuali dei vaccini, arricchendo i soliti plutocrati, ci sono i privilegiati del vaccino che possono decidere se fare la quarta dose mentre enormi masse di persone non hanno accesso neppure alla prima, mantenendo inalterata la capacità di diffondersi del virus che esprime la sua fantasia attraverso nuove varianti. In appendice a questa situazione irrazionale abbiamo poi anche la posizione illogica di chi semplicemente nega la pericolosità del virus, arrivando persino a rifiutarne l’esistenza nel momento in cui, contagiati, non riescono più a respirare: sono i moderni don Ferrante di manzoniana memoria. La pandemia ha fatto riflettere chi era già abituato a riflettere ma ha fatto emergere i meccanismi di pensiero di quell’umanità che reagisce in modo egoistico e stupido di fronte alle problematiche globali di ogni tipo: dai cambiamenti climatici alla distribuzione equa delle risorse non infinite del pianeta, alla necessità di uno sviluppo compatibile con altri fattori, come una vita veramente umanizzata. La reazione illogica di fronte al virus e ai vaccini ha fatto solo capire chiaramente perché anche il resto delle questioni globali non sono affrontate e risolte: molti, sia come singoli che come gruppi, pensano che difendere i propri interessi (giusti o sbagliati) sia l’unica cosa che conta. Basti pensare ad esempio ai politici che fanno scelte riguardanti la collettività non come servitori del bene comune ma ragionando in termini elettorali.

Più che ragionare in termini di etichette per la società, l’esperienza della pandemia ci insegna a dover fare scelte personali. L’illusione che ci sia una società cattolica può portare, come di fatto ha portato, a confondere il cristianesimo e i suoi valori con le scelte sbagliate di una società che si appella a quei valori. In ambito etico non ci sono scelte collettive ma solo scelte personali che possono forse cambiare il corso degli eventi. Mi viene in mente una frase della tradizione ebraica ma che è tramandata anche dal Corano: chi salva una vita salva il mondo intero. Vorrei associare a questo bell’aforisma l’immagine di Maria che, sebbene rifiutata dagli abitanti di Betlemme, ha continuato a prendersi cura con amore del bimbo appena nato (cosa non scontata, come a volte ci dice la cronaca) e lo ha avvolto in fasce mettendolo nella mangiatoia. Ebbene quel gesto nascosto, di una donna senza nessun potere ha cambiato la storia più dello stesso Augusto che aveva costretto la famiglia di Gesù a spostarsi insieme a tante altre come quella, un po’ come accade con le migrazioni epocali attuali. La cura che Maria e Giuseppe hanno avuto per Gesù nonostante il loro stato di disagio, ci incoraggia e ci insegna a continuare, nonostante tutto, a fare le nostre piccole scelte di bene, anche nel buio di egoismi e soprusi collettivi. E’ questo, in fondo, il messaggio vero del Natale.

don michele tartaglia

Don Michele Tartaglia

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