In carcere a larino

I detenuti contro il muro del pregiudizio, attori in ‘La Giara’. “Senza teatro è stata una prigione nella prigione”

Il 17 e il 18 dicembre le 'porte' del carcere di Larino si sono aperte per la rappresentazione teatrale - tornata dopo due anni di assenza causa pandemia - che ha visto protagonisti alcuni dei detenuti della sezione di Alta Sicurezza

Il mondo carcerario e la comunità, il ‘dentro’ e il fuori’, e il medium del teatro a fare da collante. Dove eravamo rimasti? Con questa battuta presa in prestito da Enzo Tortora la direttrice dell’istituto penitenziario di Larino, Rosa La Ginestra, ha accolto il pubblico – 50 persone circa – accorso per lo spettacolo La Giara affidato alla recitazione – in alcuni casi sorprendente – di un gruppo di detenuti della sezione di Alta Sicurezza del carcere frentano.

 

Un evento che mancava da ormai due anni e che la pandemia ha bruscamente e ‘dolorosamente’ interrotto. “È stata come una prigione nella prigione”, le parole della direttrice che ha salutato con entusiasmo questa ripresa degli incontri che ha scalfito un muro fattosi sempre più spesso. L’occasione è stata la rappresentazione teatrale de La Giara, commedia di Luigi Pirandello incentrata su un tema a lui caro, quello della ‘roba’. Il grosso contenitore, acquistato dal taccagno proprietario terriero Don Lollò per conservare l’olio, domina il centro della scena (realizzata nella cappella del carcere) ed è il fulcro della grottesca diatriba tra i protagonisti. Perché a un certo punto, per ragioni inspiegabili, la giara nuova di zecca si rompe e per ripararla Don Lollò (irresistibile l’interpretazione che lo riguarda) si affida a Zì Dima, vecchio conciabrocche del posto che vanta il possesso di un “mantice miracoloso” e infallibile. Tra l’ottuso Don Lollò e l’altrettanto cocciuto artigiano una infinita sequela di litigi, alla quale prende parte anche un avvocato e in cui finiscono per parteggiare anche tutti i contadini della zona.

teatro carcere la giara

Ma non è che l’inizio perché il tutto si acuisce quando Zì Dima (esilarante e brillante, complice anche il suo dialetto siculo), entrato nella giara per ripararla come da indicazioni – mal sopportate – del padrone, finisce per rimanervi incastrato. Ne nascono momenti scenici spassosi che raggiungono l’apice con la rottura della giara da parte di un esasperato Don Lollò stesso. E l’uscita del mastro dalla grossa brocca diventa una catarsi (quasi) collettiva.

 

Due le rappresentazioni tenute nello scorso fine settimana al carcere di Larino da parte dei detenuti (la maggior parte provenienti da Campania e Sicilia e forse anche per questo incredibilmente portati per la recitazione), il 17 e il 18 dicembre. Una ripartenza resa possibile grazie al contributo concesso dall’Otto per mille della Chiesa Valdese con cui il progetto ha avuto un finanziamento.

“La cosa più importante non è la rappresentazione finale (il prodotto) bensì tutto ciò che c’è dietro, tutti i mesi di preparazione (il processo, ndr)”, così la dottoressa La Ginestra che ha annunciato che presto partiranno i preparativi per la rappresentazione estiva, da tenersi – come d’abitudine ormai da anni – nel cortile esterno.

 

A guidare gli attori, come da 4 anni a questa parte, il regista Giandomenico Sale della Frentania Teatri. “Un amico oltre che un bravo professore”, il commento a margine della rappresentazione di uno degli attori protagonisti.

Da parte di tutti – personale dell’istituto, detenuti, pubblico – grande commozione per un incontro, “abbiamo scelto il teatro perché è uno splendido modo per emozionarci insieme”, che ha ripreso i fili di un discorso di dialogo e integrazione tra il carcere e la comunità che mai dovrebbe interrompersi. Emblematiche le parole di E., alias Zì Dima: “Troppo spesso si pensa a noi dentro come i ‘mostri’ contrapposti ai buoni che sono fuori, e forse anche noi a volte la pensiamo così. Eppure siamo persone come gli altri. Vi ringraziamo per essere stati presenti, questi momenti per noi sono importantissimi, ci danno la forza di andare avanti”.

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