La ricerca scientifica

I vaccinati possono infettarsi e trasmettere il virus, specialmente in casa. Ma guariscono prima e non muoiono: lo studio di Lancet fa chiarezza

Una pubblicazione di fine ottobre della nota rivista medico-scientifica britannica 'The Lancet' ha chiarito i limiti della protezione vaccinale per quanto riguarda la trasmissione virale, oltremodo accentuati se si parla di contatti in ambito domestico dove l'esposizione è ravvicinata e prolungata. Allo stesso modo però si ribadisce come il vaccino anti-Covid sia efficace nel proteggere dalla malattia grave e dal decesso e, qualora ci si infetti e compaiano i sintomi, la guarigione è più rapida

I vaccinati possono infettarsi e a loro volta infettare. Molti avranno sentito ripetere più e più volte questa frase ma stavolta a dirlo è uno studio di The Lancet, considerata tra le prime 5 riviste mediche internazionali e che gode di una fama globale. E lo studio appena pubblicato dal gruppo della rivista dedito alle malattie infettive oltre a mettere in chiaro i limiti della protezione vaccinale fornisce spunti interessanti anche sui benefici della vaccinazione anti-Covid.

Perché è vero che la variante Delta può infettare anche chi si è immunizzato, ma è altresì vero che la vaccinazione ne riduce il rischio e, qualora invece si contragga l’infezione, anche in presenza di sintomatologia, garantisce tempi di guarigione più rapidi. E d’altronde lo si è visto – guardando dal nostro piccolo osservatorio molisano – anche al Cardarelli dove, nel reparto di Malattie Infettive, anche i vaccinati che sono stati ricoverati hanno avuto una degenza breve e risoltasi con pochi giorni di ospedale prima di poter tornare a casa.

Lo studio britannico però, realizzato con 621 partecipanti, afferma anche qualcosa di nuovo, e cioè che gli individui vaccinati con la doppia dose che contraggono la variante Delta di coronavirus hanno una capacità di trasmettere la patologia a un tasso molto simile a quello registrato tra i non vaccinati, soprattutto nei confronti delle persone con le quali si condivide lo stesso ambiente domestico. Quindi in casa, nella stessa casa, la trasmissione dell’infezione è probabile quasi nella stessa misura.

Questi i dati. La ricerca è durata un anno (settembre 2020-settembre 2021) ed è stata condotta in Regno Unito monitorando in totale 621 persone affette da sintomi di Covid-19. Al termine del lavoro i ricercatori della rivista britannica hanno concluso che gli individui vaccinati che contraggono la variante Delta hanno un tasso di contagiosità del 25% rispetto al 38% riscontrato tra i non vaccinati. I due indici dunque non sono così lontani ma si avvicinano molto di più quando si vanno a vedere i contatti casalinghi, nei quali un soggetto vaccinato ma affetto da sintomi ha un tasso di contagiosità del 25% a fronte del 23% riscontrato tra i non vaccinati. Tenendo in considerazione il tasso d’errore dello studio, si tratta sostanzialmente dello stesso indice.

Va ribadito, come fa anche The Lancet nelle conclusioni dello studio di cui sopra, che i vaccini attuali rimangono efficaci nel prevenire la malattia grave e il decesso per Covid-19. Però viene chiarito in maniera argomentata (dai dati) che la vaccinazione da sola non è sufficiente per prevenire la trasmissione della variante Delta del virus, specie in ambito domestico, dove l’esposizione è vicina e prolungata.

Gli autori dello studio sottolineano che l’aumento dell’immunità della popolazione tramite programmi di richiamo e la vaccinazione degli adolescenti contribuirà ad aumentare l’effetto attualmente limitato della vaccinazione sulla trasmissione”.

 

Da ieri tiene banco in Italia la polemica innescata dal programma Report andato in onda su Rai3 lunedì 1 novembre. La trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci ha avuto come tema centrale l’efficacia della terza dose, in un passaggio definita come “il business delle case farmaceutiche”. Parole che hanno sollevato orde di reazioni critiche perché assimilate ad argomentazioni ‘no-vax’. Nell’inchiesta giornalistica si è molto parlato dell’efficacia della terza dose e dell’andamento (non così lineare per tutti, né ben monitorato) della produzione anticorpale. Sostanzialmente la domanda di fondo è stata se abbia senso, e se comporterà rischi in futuro, la terza dose per taluni soggetti che magari hanno già una copertura anticorpale sufficientemente alta. Esperti americani hanno ammesso che non ci sono abbastanza dati a riguardo.

Al di là di come la si pensi, lo studio della rivista scientifica britannica dal nome “Community transmission and viral load kinetics of the SARS-CoV-2 delta (B.1.617.2) variant in vaccinated and unvaccinated individuals in the UK: a prospective, longitudinal, cohort study” mette in chiaro alcuni aspetti, solo in parte già conosciuti. Ed è sempre più nitido il quadro che ne viene fuori: i vaccinati non sono affatto immuni dal pericolo di infettarsi e re-infettare. I benefici della vaccinazione però sono legati alla malattia e al suo eventuale decorso.

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