La disumanizzazione della sanità

Entra al Cardarelli in buona salute, esce in una bara dopo 6 giorni e senza nessuna spiegazione

Chiara racconta gli ultimi giorni di nonna Lucia, 79 anni, morta all’ospedale di Campobasso mercoledì scorso dopo un intervento “perfettamente riuscito” per impiantarle un pace maker. Cosa sia poi accaduto alla donna, una cittadina di Montorio nei Frentani ricoverata in cardiologia, resta un mistero doloroso. La cartella clinica non è stata ancora restituita alla famiglia, che oggi si interroga con sgomento davanti alla propaganda delle autorità sul Molise che vanta i migliori servizi sanitari territoriali d’Italia.

Questa è la storia di una donna di 79 anni, in buone condizioni di salute e senza apparenti patologie, che ha avuto bisogno dell’ospedale, come succede a tanti, per uno scompenso cardiaco. Ma che da quello stesso ospedale, il Cardarelli di Campobasso, nel quale era entrata con le sue gambe e senza nemmeno bisogno del 118, è uscita in una bara nemmeno sei giorni dopo.

Nonna Lucia – la chiameremo così perché la storia è raccontata dalla nipote Chiara Vitulli – è stata accompagnata dal figlio nel nosocomio di Campobasso la mattina del 24 settembre, un venerdì. Nei due giorni precedenti l’holter, la macchinetta che viene indossata per il monitoraggio costante del ritmo del cuore, aveva riscontrato aritmia, cioè battiti eccessivamente lenti durante le ore notturne. Non è una catastrofe, in termini clinici: succede con maggiore frequenza di quanto si possa immaginare e riguarda persone sia giovani che anziane. A dimostrazione della “non gravità” della condizione c’è il fatto che al cardarelli, quando nonna Lucia è arrivata, non volevano nemmeno ricoverarla. E’ stata la famiglia a insistere.

Se potessero tornare indietro con la macchina del tempo, i familiari non insisterebbero più, per nessuna ragione al mondo. Perché è stato in quel labirinto di reparti, medici, infermieri, esami diagnostici e sale chirurgiche che la loro amata ha perso la vita per ragioni misteriose. La cosa più assurda, incomprensibile e dolorosa di questa vicenda è proprio l’assenza di una spiegazione, di una causa certa di morte. La “malattia del nodo del seno”, come si legge sul referto che i figli di Lucia hanno avuto peraltro solo il pomeriggio successivo al giorno del decesso, non spiega nulla. Perché nonna Lucia sia morta dopo due giorni in Pronto Soccorso e in seguito a un intervento “riuscitissimo” con il quale le è stato impiantato un pace maker (un intervento banale, di routine), è un interrogativo senza risposta.

La nipote Chiara Vitulli, che vive a Larino, con il coraggio tipico dei giovani e in un impeto di condivisione della tragedia personale per non lasciare nell’ombra “una storia che è successa a me, ma poteva succedere a chiunque”, ha deciso di raccontare gli avvenimenti sui social e a noi, in una lunga chiacchierata nella quale abbiamo verificato circostanze e dettagli.

Stamattina ho letto che quel gran signore del Presidente della Regione condivide questo post in cui si vanta del fatto che il Molise è risultata essere una delle regioni italiane con i migliori servizi sanitari territoriali. Ora, fermo restando che credo che se non fosse per alcuni medici, alcuni infermieri, alcuni Oss che si fanno in quattro pur di assistere coloro che ne hanno bisogno, a quest’ora saremmo tutti morti, racconterò la storia che mi ha recentemente coinvolto a dimostrazione del fatto che quello che vogliono farci credere siano una marea di idiozie.

Nonna Lucia è entrata con le sue stesse gambe venerdì 24 settembre al Pronto Soccorso dell’Ospedale Cardarelli di Campobasso. È stata ricoverata solo dopo qualche insistenza, poiché, nonostante avesse con sé analisi varie, elettrocardiogramma, tracciato dell’holter cardiaco e indicazioni sull’installazione di un pacemaker, non era stata ritenuta inizialmente da ricovero.

È stata buttata più di ventiquattro ore su una barella al Pronto Soccorso e per tutto quel tempo, se non fosse stato per la clemenza e la benevolenza di un’infermiera, non avremmo avuto sue notizie.

Venerdì siamo state una serata intera al telefono, senza mai ottenere una risposta dall’ospedale; anzi, alla fine dopo minuti e ore di attesa hanno chiuso loro la chiamata.

Siamo riusciti a sentire nonna solo sabato a pranzo, quando ci ha comunicato di essere stata trasferita in reparto. Nonna stava bene”.

Questo è accaduto nei giorni 24, 25 e 26 settembre. Il fine settimana, come chiunque frequenti un ospedale molisano sa purtroppo fin troppo bene, non si muove foglia. E quindi per ripartire dalla storia cinica bisogna arrivare a lunedì 27 settembre, quando proprio nonna Lucia ha informato la sua famiglia, al telefono, che nessuno le diceva nulla sulle sue condizioni e non sapeva nemmeno se alla fine in giornata le avrebbero impiantato il pace maker (un’operazione che in altri ospedali d’Italia fanno in day hospital, ndr).

Mamma e zio si sono recati a Campobasso nel pomeriggio, perché qualora non lo sapeste, ora in ospedale si entra uno alla volta per 15 minuti, non uno di più. Quando mamma è arrivata, nonna era in sala operatoria. Ha aspettato il suo turno e alla fine è entrata. Davanti a sé ha trovato la scena di un film di quelli che raccontano della Prima Guerra Mondiale: una bella camerata con uomini e donne separati solo da tende; meglio sorvolare sulle condizioni igienico sanitarie… Nonna, comunque, stava bene.

Martedì mattina riusciamo a sentirla un paio di volte, chiama per l’ultima volta alle ore 14.00  riferendo che sarebbe uscita nel pomeriggio.

Mio zio si avvia verso Campobasso, ma alle ore 16 telefona un’infermiera dicendo che la mamma sarebbe uscita solo l’indomani. È stata l’ultima volta in cui mamma ha sentito la voce di nonna che chiamava il suo nome in sottofondo (forse, a questo punto, pensiamo si lamentasse o volesse dirci qualcosa).

La sera siamo andati tutti a letto tranquilli. Poi, alle 4 in punto della notte squilla il telefono di casa. Solo cinque minuti prima avevano chiamato zio dal Cardarelli: “Sua madre sta male, deve correre a Campobasso, la stiamo rianimando dalle 2”. Nella confusione generale, non ci siamo posti una domanda: perché state chiamando solo ora? Prima incongruenza: sul certificato di morte, il decesso risulta alle ore 03.45 e di segni di rianimazione non c’era nemmeno l’ombra”.

Chiara Vitulli prosegue nel suo racconto, che si fa sempre più drammatico:Mamma, zio e zia corrono verso Campobasso, ma quando arrivano ovviamente nonna era già morta. Dal reparto ricevono solo l’accoglienza di un tipo non identificato che chiede loro chi siano e che alla fine li spedisce in obitorio. L’obitorio del Cardarelli è qualcosa di simile a una macelleria. Nonna era su una lettiga di metallo, avvolta in un lenzuolo sporco di sangue (non suo perché di sangue non ne aveva perso), sui piedi una busta con gli effetti personali e il borsone (all’interno del quale abbiamo ritrovato intatto il cambio che mamma lunedì pomeriggio aveva messo pronto, cosa che ci ha fatto pensare che nelle ultime 36 ore di vita nonna non sia stata né lavata né cambiata).

Così, ci siamo ritrovati a passare in una casa funeraria il giorno in cui nonna sarebbe dovuta tornare a casa, accudita e coccolata dall’affetto di tutta la sua famiglia e di tutto il suo vicinato. Cosa sia successo in quelle dodici ore non lo sapremo mai”.

Tu cosa credi, Chiara?

“Io ora voglio credere che nonna sia morta nel sonno senza soffrire e che l’abbiano trovata nel letto, nonostante a quanto pare la sera avesse lamentato un dolore all’altezza dei reni. Forse, a questo punto, non voglio più nemmeno sapere cosa sia successo”.

La morte di Lucia risale a mercoledì scorso, all’alba. Oggi è lunedì: sono passati sei giorni. Non vi hanno ancora consegnato la cartella clinica, con gli esiti degli esami, i risultati, le diagnosi?

“No. Hanno detto genericamente che ci vuole tempo, e non capisco perché”

E il certificato di morte?

“Quello ce lo hanno dato il giorno dopo la morte. Ma non c’è scritto praticamente nulla”.

Nonna Lucia è una vittima della sanità molisana?

“Io sono sicura che lo sia, e questa è l’unica certezza che ho”.

Cosa ti ha spinto a raccontare questa tragedia?

“Il tono trionfalistico e inaccettabile del presidente della Giunta che è anche commissario alla sanità Toma, che ha postato una immagine di se stesso che promuove il Molise come regione con i migliori servizi sanitari territoriali d’Italia”.

Una immagine che in queste circostanze ha il sapore amaro di una barzelletta che non fa ridere nessuno. Che sembra uno scherzo di pessimo gusto.                                              (Monica Vignale)