Campobasso

“In una telefonata di 30 secondi mi dissero: si è ucciso, vuole la salma?” La mamma di Mario Paciolla chiede giustizia

Il Consiglio Comunale di Campobasso, con una mozione approvata all’unanimità, ha aderito alla campagna #GiustiziaPerMarioPaciolla. Il racconto della madre del giovane cooperante trovato morto in Colombia nel luglio 2020. Un decesso fatto passare per suicidio, ma pieno di punti oscuri

Commossa ma tenace. La sua voce non si interrompe mai durante il racconto degli ultimi giorni di vita di suo figlio e di come hanno saputo della sua morte.

Ad esprimere tutto il dolore e l’angoscia di una madre e di un padre, che hanno inspiegabilmente perso il loro ragazzo mentre lavorava in Colombia, sono soltanto gli occhi. Che si riempiono di lacrime e che chiedono giustizia e verità.

Giornalista napoletano di 33 anni, cooperante delle Nazioni Unite, Mario Paciolla è stato trovato morto nella sua casa di San Vicente del Caguán, alle porte dell’Amazzonia colombiana, il 15 luglio 2020 e oggi i suoi genitori sono stati anche a Campobasso invitati dall’amministrazione a raccontare la storia terribile di questo giovanissimo cooperatore Onu.

Erano presenti all’incontro anche il presidente del consiglio comunale, Antonio Guglielmi, la rappresentante della rete “Paciolla per Campobasso” Paola Mitra, il rappresentante di Amnesty International Adelindo Di Donato, e alcuni capigruppo oltre al sindaco Roberto Gravina.

Palazzo San Giorgio, con una mozione approvata all’unanimità nello scorso mese di maggio, ha di fatto aderito alla campagna #GiustiziaPerMarioPaciolla e alla rete dei Comuni a sostegno di Mario Paciolla.

“L’iniziativa odierna – come hanno spiegato i consiglieri Comunali, Giose Trivisonno capogruppo del PD ed Evelina D’Alessandro del MoVimento 5 Stelle – è stata dedicata a mantenere viva la memoria di Mario Paciolla e a chiedere trasparenza e verità sulle vicende legate alle indagini sulla sua morte che, a tutt’oggi, resta avvolta da diversi enigmi. Ma il Consiglio Comunale, prendendo spunto da questa drammatica storia, intende programmare per il futuro una giornata da dedicare, ogni anno, proprio a questo genere di tematiche, anche con il sostegno di associazioni come Amnesty e altre.”

Poi la parola è passata alla signora Anna, mamma di Mario che ormai viveva in Colombia dal 2016 e dall’agosto del 2018 collaborava con la missione Onu sulla verifica degli accordi di pace tra il governo locale e le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia).

Un lavoro delicato, in una regione martoriata da oltre 50 anni dalla guerra civile. Mario, con altri colleghi, si occupava della stesura del report della missione nell’ambito di un programma di reinserimento sociale per gli ex guerriglieri, monitorando l’evolversi della situazione sul campo.

Cinque giorni dopo quel maledetto 15 luglio sarebbe dovuto tornare in Italia “sarebbe tornato a casa, mi aveva anche detto cosa mettere nel frigorifero. Tutte le cose che a lui piacevano – racconta Anna –. Il giorno prima di morire aveva già comprato il biglietto aereo, me lo ha scritto in un sms che conservo e al quale io ho risposto con le raccomandazioni che ogni madre fa al proprio figlio. Ma il messaggio, Mario, non l’ha mai letto”. Il 24 luglio a rientrare a Roma dall’aeroporto El Dorado di Bogotà è stata, purtroppo, solo la sua salma.

“Abbiamo saputo della morte di nostro figlio – continua Anna – da una telefonata di 30 aridi secondi: vostro figlio si è impiccato, volete la salma?”

“Mario in Colombia, fino all’agosto del 2018, svolgeva il ruolo di accompagnatore di pace, occupandosi di fatto dei percorsi, in quelle zone, delle persone a rischio – ha spiegato ancora -. Collaborò anche per la visita in Colombia del Papa. Venne poi contattato e successivamente assunto dall’Onu. Negli ultimi tempi, prima della sua morte, soprattutto durante il periodo della pandemia, ci aveva più volte mostrato il suo malcontento per come lui e altri cooperanti venivano utilizzati nel territorio dove si trovavano. A maggio del 2020 gli venne prospettata la possibilità di ritornare in Italia per un periodo di tempo ma poi, sempre per le difficoltà legate al lungo viaggio da compiersi nel periodo pandemico, Mario decise di non tornare. La possibilità si ripropose a luglio del 2020 – ha aggiunto la madre – e Mario sarebbe dovuto tornare a casa entro il 20 luglio, dopo che il giorno 11 luglio, nel corso di un colloquio che avemmo con lui, ci confidò di aver avuto una seria discussione con l’Onu. Il 14 dello stesso mese acquistò un biglietto e ci sentimmo per l’ultima volta”.

La sua morte è stata classificata come suicidio prima ancora di procedere all’autopsia. “Addirittura, il nostro Ambasciatore in Colombia, sette ore dopo la notizia, ancora non era stato informato, da chi di competenza, della morte di un cittadino italiano”.

“Ciò che chiediamo a un anno e poco più di distanza dalla morte di Mario – ha detto in conclusione la famiglia Paciolla – è che l’Onu, datore di lavoro di nostro figlio e responsabile anche della sua sicurezza lì in Colombia, faccia luce su tutta la vicenda e dia un segnale chiaro di trasparenza che purtroppo, fino a oggi, non ci ha dato. Chiediamo verità non solo per la memoria di Mario ma anche per evitare che altri cooperanti possano ritrovarsi nelle sue stesse condizioni. Sostenere i nostri cooperanti all’estero è un impegno civile del quale non dobbiamo dimenticarci, mai.”

Al termine dell’incontro i genitori di Mario, insieme al sindaco, hanno affisso un banner sul balcone del palazzo comunale che, per l’appunto, chiede #GiustiziaPerMarioPaciolla.