L'intervista

Dal 2022 solo vaccini senza vettore virale. L’immunologo: “Più facili da riprogrammare, ma tutti sono sicuri”

Vaccini a RNA messaggero e vaccini a vettore virale: è questa la bipartizione dei farmaci anti-Covid con cui si sta portando avanti la campagna di immunizzazione di massa. Ma è notizia di ieri che l'Ue dall'anno prossimo acquisterà solo i vaccini del primo tipo, come Pfizer e Moderna. Probabilmente molti si sono chiesti il perchè e anche noi abbiamo provato a capirne di più, interpellando anche l'esperto Giuseppe Cimino, immunologo

Vaccini coronavirus covid

Per il 2022 e il 2023 l’Unione europea acquisterà solo vaccini a mRNA. In pratica non saranno rinnovati i contratti alle multinazionali produttrici dei farmaci a vettore virale. Quindi, per intenderci, niente più AstraZeneca, Janssen, Sputnik (che non si sa se in Italia verrà mai approvato dalle agenzie regolatorie) e simili. Una decisione che potrebbe penalizzare anche ReiThera, il vaccino italiano che in questi giorni è entrato nel vivo della fase sperimentale sugli esseri umani (è precisamente nella fase 2 delle 3 previste dai trial clinici). La notizia dello stop nel prossimo biennio ai vaccini adenovirus è emersa ieri come un fulmine a ciel sereno e qualcuno si sarà domandato il perché. Qualcun altro forse sarà andato oltre e avrà pensato con un pizzico di inquietudine: “Allora è vero che quei vaccini non sono sicuri?”

Per fare chiarezza, abbiamo chiesto il parere di un esperto, l’immunologo Giuseppe Cimino, medico ospedaliero al Cardarelli di Campobasso dal 1976 al 2012 con qualifiche di assistente, aiuto e infine primario del servizio trasfusionale. Gli abbiamo chiesto innanzitutto di spiegarci la differenza che intercorre tra i vaccini a RNA messaggero (o mRNA) – come sono Pfizer e Moderna – da quelli a vettore virale – come AstraZeneca, Janssen ma anche Sputnik V -, questi ultimi oggetto di particolare clamore mediatico alla luce di episodi di presunta (ma non dimostrata) correlazione con eventi avversi.

Giuseppe Cimino

“I due tipi di vaccino utilizzano due meccanismi di azione differenti ma l’obiettivo è lo stesso: che il nostro sistema immunitario produca gli anticorpi utili a sconfiggere il Coronavirus qualora ne si venga infettati”. Ed entrambi sono adatti allo scopo e ugualmente sicuri. Si può descrivere sommariamente il loro funzionamento così: i vaccini mRNA danno le istruzioni al nostro sistema immunitario per produrre gli anticorpi utili a sconfiggere il Sars-Cov-2, mentre quelli a vettore virale introducono un virus vero e proprio (generalmente un adenovirus attenuato o morto, dunque non in grado di replicarsi) nel nostro organismo.

Ora, sappiamo che la proteina Spike è la ‘chiave’ con cui il virus entra nelle cellule per infettarle. I vaccini mRNA inviano alle nostre cellule molecole che contengono le istruzioni per costruire copie della proteina Spike (dunque simili a quelle del virus). Questo indurrà il sistema immunitario a produrre anticorpi specifici che agiranno nel caso di un incontro ravvicinato con il Sars-Cov-2, sconfiggendolo.

Invece i vaccini a vettore virale utilizzano un adenovirus – che però è inattivo e quindi non causa la malattia – che porta all’interno della cellula il codice genetico per codificare la proteina Spike. Anche in questo caso il sistema immunitario si attiva contro la proteina e produce degli anticorpi che, qualora il soggetto entrasse a contatto con il virus, lo proteggeranno dall’infezione.

Ciò che conta è che “entrambi – ci spiega il dottor Cimino -, sebbene con meccanismi diversi, attivano il sistema immunitario affinchè formi gli anticorpi necessari. E, badate, il nostro sistema immunitario è perfetto: davanti ad ogni antigene non conosciuto si attiva formando anticorpi”.

Resta la domanda: perché l’Europa – e anche l’Italia – ha scelto di puntare sui vaccini mRNA e quindi Pfizer e Moderna e non sugli altri? Probabile che dietro la decisione ci siano in parte ragioni commerciali e contrattuali e in qualche modo ‘politiche’, una sorta di cartellino rosso per aziende (in particolare ci si riferisce ad AstraZeneca) che finora non si sono comportate in maniera specchiata. Senza dimenticare che in molti Paesi si stanno introducendo limitazioni di età per questi vaccini, che sicuramente non agevolano la campagna vaccinale di massa. Ma dubitiamo che siano solo queste le ragioni.

“Personalmente – afferma Cimino con un pizzico di delusione – penso alla maggiore convenienza e maneggevolezza dei vaccini con adenovirus, che possono essere conservati a temperature meno basse (il vaccino Pfizer va conservato a -80°, ndr) e che sono più facilmente utilizzabili. Quello Johnson&Johnson poi ha il vantaggio di essere monodose”. Probabilmente però si è optato per la tecnologia ‘nuova’ a discapito di quella ‘vecchia’. E ciò nulla c’entra con i casi di ipotetici eventi avversi seguiti alla vaccinazione con i preparati di AstraZeneca, prima, e Janssen, poi.

E qui l’immunologo ci tiene a fare una precisazione: “I vaccini mRNA sono stati creati sì di recente, alla fine del 2020. Però il meccanismo sul quale si basano è stato studiato per anni, per circa un decennio. Grazie ai fondi destinati alla ricerca anti-Covid si è poi incentivata la produzione di questi vaccini”.  Vaccini che, in un articolo apparso ieri l’altro su Huffington Post Italia, sono stati così descritti: “Hanno una marcia in più”. Ma perché?

La ragione numero 1 è con tutta probabilità questa: sono vaccini maggiormente adattabili contro le varianti, facili da produrre sebbene sofisticati. In pratica i vaccini mRNA possono essere più facilmente riprogrammati per divenire efficaci contro le mutazioni del virus, le cosiddette varianti. La conferma arriva anche dal dottore campobassano: “Sì, questo si è visto in effetti soprattutto con la variante inglese, rispetto alla quale hanno un’alta percentuale di efficacia”. Il dottore è consapevole che è questa la vera e più dura sfida in questa pandemia. “Di varianti ne conosciamo ancora poche ma credo che molte altre siano già in circolazione e altre ancora lo saranno in futuro. Il virus muta il suo genoma proprio per sfuggire al vaccino e dunque all’aggressione degli anticorpi che questo produce. In sostanza, cambia e assume una forma diversa per salvarsi”.

Una prospettiva con cui tutti noi abbiamo cominciato a familiarizzare, diventando vieppiù consci che il Sars-Cov-2 diventerà endemico e non sparirà mai del tutto. Sappiamo però anche che non è il caso di adombrarsi per questo perché una soluzione c’è, ed è appunto il vaccino, quale che sia.

L’immunologo sottolinea inoltre l’importanza non solo della vaccinazione ma anche quella – che viene prima – del tracciamento utile a scovare l’infezione e, una volta trovata, del sequenziamento del virus, per capire se si è in presenza del virus originario o di varianti, e se sì quali.

I vaccini come Pfizer e Moderna sono dunque più adattabili, possono essere modificati e riprogrammati alla luce della scoperta di nuovi ceppi. I vaccini con adenovirus invece non lo permetterebbero e la differenza sostanziale sta tutta qui.

Sgombriamo dunque il campo dal dubbio che i vaccini a vettore virale siano stati ‘bocciati’ per gli anni a venire a causa di quanto successo e relativo a casi di eventi avversi (alcuni mortali) che hanno portato a sospensioni precauzionali e ad ulteriori approfondimenti scientifici da parte delle Autorità sanitarie. Parliamo naturalmente degli episodi di trombosi verificatisi in alcune persone a distanza di non più di due settimane dalla somministrazione del vaccino. È successo prima con il farmaco anglo-svedese di Oxford/AstraZeneca e di recente, negli Usa, con quello Janssen.

“Purtroppo si sono verificati questi eventi che hanno avuto anche una certa risonanza da un punto di vista mediatico e che, specie in un primo momento, hanno creato una sorta di diffidenza nei vaccinandi. Io però credo che la situazione sia già molto migliorata. Le persone hanno compreso che si tratta di eventi oltremodo rari e che i rischi che si corrono con la vaccinazione sono enormemente inferiori rispetto alle complicanze legate all’infezione”. E rari lo sono davvero: prendiamo il caso di Janssen e di quanto successo negli Usa. 6 casi, di cui uno mortale, di trombosi dopo la somministrazione. Ma 6 casi su quasi 7 milioni.

Colpisce l’opinione pubblica il fatto che gli eventi suddetti si riferiscano a donne sotto i 48 anni. Eppure le trombosi si verificano normalmente nella popolazione ‘normale’ ma con un incidenza che va aumentando con l’aumentare dell’età. Chiediamo al dottore il perché di questa anomalia: “L’evento tromboembolico potrebbe essere legato alla creazione di una sorta di controreazione del sistema immunitario. Chiariamo però che nulla ancora è stato dimostrato anche perché l’evento si è presentato in un numero limitatissimo di casi”. Si tratterebbe insomma di una rara risposta immunitaria.

Al contempo il dottore evidenzia anche la sospensione precauzionale sia emblematica di un sistema di farmacovigilanza che funziona e che agisce alla luce del sole. “Questo dovrebbe rassicurarci”.

Il dottore si appella alle persone chiedendo loro di avere fiducia nella scienza (nei casi giudicati a rischio è il medico vaccinatore a scegliere il vaccino più adeguato per il soggetto, ndr) e raccomanda fortemente la vaccinazione perché, proprio alla luce del meccanismo delle varianti, del virus cangiante, dobbiamo agire in contropiede e in rapidità. “Dobbiamo essere più veloci di lui”. La soglia di infettività di un patogeno si abbassa proprio quando nella popolazione si riduce drasticamente la platea di ‘ospiti’ per il virus. E questa si riduce con l’aumento e di persone vaccinate e di persone che hanno già contratto l’infezione.

Infine, uno sguardo al passato, che ci ricorda anche che le epidemie si sono già verificate ma il mondo le ha sconfitte con le vaccinazioni. Pensiamo ad esempio ai casi della poliomelite e del vaiolo, e a quelle vaccinazioni che hanno salvato milioni di persone. “Ecco, quelli erano vaccini creati con virus attenuati o morti, erano a vettore virale dunque. Ma il profilo di sicurezza di quei farmaci era notevolmente inferiore a quelli di oggi. Succedeva infatti che il virus inoculato fosse ancora attivo e dunque si sono verificati casi in cui durante la vaccinazione il paziente contraeva l’infezione. Parliamo sempre di sparuti casi, ma gli eventi avversi erano più frequenti di quelli di cui parliamo oggi”.

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