Verdetto in appello

I giudici di Bari: “Papa e Petescia sono innocenti”. La direttrice di Telemolise: “Dignità e vite schiacciate da un mentitore seriale”

La corte d’Appello ha assolto con formula piena il magistrato e la direttrice di Telemolise dalle accuse che nel 2015 l’allora governatore del Molise Paolo Frattura e l’avvocato Salvatore Di Pardo formularono in procura chiedendo finanche misure restrittive a carico dei due. Fabio Papa, procuratore della distrettuale antimafia, aveva indagato sulle società dell’ex presidente della Regione

La grinta è sempre la stessa. Sei anni “di ingiustizie” non hanno scalfito il suo animo combattivo ma gli occhi questa volta esprimono una nota di amarezza. Manuela Petescia, direttrice di Telemolise, a poche ore dalla sua assoluzione in corte d’Appello – insieme a quella del magistrato Fabio Papa – è sollevata per essere riuscita a dimostrare anche in secondo grado l’innocenza che entrambi hanno sempre sostenuto, ma in un passaggio durante la conferenza stampa traspare il rammarico per “una dignità, la nostra, schiacciata da menzogne costruite a tavolino da due mentitori seriali”.

All’hotel San Giorgio, il luogo scelto per la conferenza stampa, c’è lei e ci sono gli avvocati Paolo Lanese, Nicolino Cristofaro, Massimo Romano.

A fronte delle mortificazioni subite in questi anni era doveroso che il verdetto della Corte d’Appello pugliese fosse reso pubblico così come fece Frattura quando annunciò in una conferenza stampa l’esercizio penale del sostituto procuratore di Bari a carico del pm e della direttrice ancor prima che gli atti fossero resi noti agli indagati.

Parliamo di tentata concussione e tentata estorsione che Papa e Petescia avrebbero compiuto nei confronti dell’allora governatore Paolo Frattura. Parliamo dell’inchiesta che gira attorno alla famosa cena che – e ora lo ha detto anche l’Appello – non c’è mai stata.

Fabio Papa e Manuela Petescia sono stati assolti anche in secondo grado “perché il fatto non sussiste”.

E’ la direttrice di Telemolise che ripercorre il calvario cui l’ha costretta in questi anni Paolo Di Laura Frattura che “una mattina si alza, va in procura e racconta di ricatti della sottoscritta e del magistrato Papa alla sua persona. Non sa quando questi fossero avvenuti, ma sa che c’era con lui l’avvocato Salvatore Di Pardo che ha poi chiamato a testimoniare e che ha ovviamente confermato. Ma anche lui, con memoria scadente, non ricordava la data della cena. Però dicono: quella sera Papa aspettava alle 21 fuori dalla sua villetta in tenuta da mare. Ora, individuate le date possibili tra il 25 ottobre o il 22 novembre, immaginare una tenuta da mare a Campobasso in quel periodo è inconcepibile”.

I racconti di Frattura e Di Pardo si sgretolano davanti alle geolocalizzazioni, ai tabulati telefonici, all’inattendibilità delle testimonianze. Un castello accusatorio “crollato e preso a pedate a giudiziarie”.

Per Manuela Petescia questa è una “pagina triste della storia di questa regione”. Perché sì, è una realtà piccola e talvolta litigiosa ma “i contrasti si sono sempre consumati per via mediatica, sui social, nei bar e tante volte si sono ricomposti. Invece Frattura, mentitore seriale, ha studiato e costruito un inesistente ricatto. E con questo gioco al massacro ha trascinato in disgrazia una giornalista e un magistrato che aveva osato aprire un fascicolo sull’ex presidente e la sua società Biocom”.

E qui l’avvocato Nicolino Cristofaro interviene categorico: “Papa era un magistrato della Distrettuale Antimafia. Aveva fatto tutte le indagini più importanti sulla Pubblica Amministrazione non facendo sconti a nessuno. Aspetto riconosciuto finanche dallo stesso Frattura.  E’ qui il punto di partenza per capire il vortice successivo. Papa stava indagando sulla Biocom. Aveva chiesto una delega d’indagine alla digos perché la squadra mobile dell’epoca aveva chiuso la vicenda in sei mesi. Il questore di quei mesi aveva risposto con una serie di circolari insussistenti. All’osso: Fabio Papa stava pagando per aver fatto il suo dovere”.

E’ così che quando l’allora governatore denuncia Papa e Petescia, cambia le date, “mischia gli eventi relativi ad epoche antecedenti e successive all’autunno 2013 e costruisce un esposto allucinante – continua la direttrice – Credetemi: difendersi da certe accuse vaghe e nebulose è stato difficilissimo. E la possibilità che la parola di due bugiardi sia stata capace di farci finire sotto processo è l’aspetto che più inquietante. Già: una menzogna concordata che ha generato imputazioni dalle quali sembrava impossibile uscire. Sarebbe stato più semplice difendersi da un omicidio realmente consumato”.

E’ una donna e una professionista fortemente segnata dalla vicenda e questo è lampante. Segnata perché “c’è da dire che poi al carro si aggrappano purtroppo i miserabili per assestare il colpo di grazia. E’ stata una battaglia durissima, l’abbiamo vinta ma sappiate che questo non ci risarcirà mai abbastanza”.

L’avvocato Paolo Lanese rafforza le ultime parole della Petescia aggiungendo che “un processo penale è già duro di per sé, ma affrontarlo da innocente è quanto di peggiore possa accadere ad una persona”.

“Ci siamo trovati davanti ad una denuncia senza la data del commesso reato – spiega il legale – un elemento che invece è fondamentale per consentire all’incolpato, per esempio, di fornire un alibi. Ci siamo trovati di fronte ad un’indagine preliminare sommaria perché dal 17 dicembre 2014 abbiamo ricevuto l’avviso di conclusione indagini il 4 maggio 2015: neanche sei mesi di attività, neanche una proroga. In sostanza l’inchiesta è consistita nell’ascolto di Frattura e Di Pardo. Gli indagati appena hanno visto gli atti si sono volontariamente sottoposto ad interrogatorio. Subito dopo l’acquisizione dei tabulati telefonici. Questo per ribadire l’atteggiamento sempre collaborativo delle persone incolpate che avevano necessità di dimostrare la loro innocenza non solo a parole ma soprattutto con i fatti”.

I tabulati, i periti della procura di Bari, la mappatura delle celle serventi la villetta della presunta cena hanno smentito tutto quanto. La cena secondo il consulente della procura si sarebbe dovuta tenere il 22 novembre 2013. Ma il 22 novembre Frattura era a Termoli. Il Pm allora durante l’udienza preliminare ha esteso il capo di imputazione fino a tutto l’autunno del 2013 ma fatti e circostanze portati in aula hanno dimostrato che per ogni giorno a partire dal primo settembre 2013 e fino al 30 novembre 2013 qualcuno dei protagonisti della famosa cena era in un luogo diverso dalla villa di Papa.  Eccolo, questo è il fatto oggettivo insuperabile.

Da qui l’assoluzione piena. “Stiamo commentando un dispositivo di Corte d’Appello che è conferma di quanto già stabilito in primo grado – ha poi chiuso Massimo Romano – ma attendiamo le motivazioni rispetto alle quali nutriamo aspettative importanti. Perché in corte d’Appello abbiamo potuto esaminare e contro esaminare il denunciante e il suo unico testimone oculare cioè Paolo Di Laura Frattura e Salvatore Di Pardo che sono stati sentiti il 17 maggio 2019.  Questo processo è stato possibile sulla base dell’applicazione del principio di Autorità. Cioè si è dovuto dar credito a Frattura e Di Pardo sulla base della carica istituzionale ricoperta, in assenza della benché minima prova. E’ stato disposto il tracciamento delle celle telefoniche e da quell’accertamento chiesto dalla procura di Bari, è emerso che scientificamente, tecnologicamente, la cena non c’è mai stata . Ciò nonostante sono trascorsi sei anni durante i quali Papa e Petescia si sono dovuti difendere da una delle accuse più ignobili (in particolare per un magistrato) e cioè quella di estorcere denaro ad un presidente di Regione”.

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