Lettera dal carcere

“Caro Primonumero, sono quello che chiamate ‘Pensa’… Ora però fatemi dire chi è Michele”

Il giovane di Campobasso, arrestato nell'ambito dell'inchiesta della squadra mobile l'8 marzo di due anni fa, scrive alla redazione e racconta il suo pentimento ma anche la sua "lotta per la sopravvivenza" tra le mura del Penitenziario di via Cavour

E’ vero: di Michele Di Bartolomeo abbiamo scritto, raccontato, seguito le vicende giudiziarie fino alla sua condanna in primo grado e secondo grado (emessa ieri, giovedì 11 marzo).

Aveva 25 anni l’8 marzo 2019 quando gli agenti della squadra mobile bussarono alla porta della sua casa in via Tiberio e lo portarono in carcere. Iniziò all’alba di quel giorno “Operazione Pensa” (nome nato proprio dalla firma dello stesso Di Bartolomeo sui muri della città). Furono eseguite sei misure cautelari (2 in carcere e 4 ai domiciliari), un totale di otto persone indagate e 14 perquisizioni. Rapine, droga, spaccio, minacce, estorsione… una serie di reati che in primo grado sono costati a questo giovane campobassano, principale indiziato, una pena a 23 anni e 8 mesi di carcere.

Lo abbiamo raccontato, sì. Abbiamo provato a spiegarlo secondo gli atti investigativi e le dinamiche processuali. Michele Di Bartolomeo è in carcere da quell’8 marzo. Oggi ha scelto di scrivere lui. Lo ha fatto inviando una lettera alla nostra redazione “perché – dice – voi non sapete nulla di Michele”. 

“Salve Cristina Niro,

lei è la giornalista che tante volte ha scritto di me. Ora mi permetto di scrivere io a lei sperando mi legga.

Mi chiamo Michele Di Bartolomeo. Per alcuni sono soltanto Michele, per alcuni sono ‘Pensa’, altri invece nemmeno lo sanno come mi chiamo né sanno chi sono. E forse è proprio questo il punto: neanche io so più chi sono e soltanto adesso me ne rendo conto, adesso che sono lontano da quegli amici finti e da quei contesti a cui, oggi, sento che non appartenevo.

Scrivo queste righe di pentimento e non provo alcun turbamento a farlo. Né sento vergogna dei miei vecchi ‘amici di merende’. Anzi, spero leggano tutti e tutto! Perché quando io uscirò dal carcere, avrò chiuso definitivamente un capitolo della mia vita.

Cristina, ora capisco chi sono coloro che realmente mi stanno vicino: sono quelle pochissime persone che durante questi due anni si sono preoccupate continuamente di come sto qui dentro.

Non sto qui a giustificarmi ma sono qui a darmi una chance. Un’opportunità che forse nel trascorso della mia vita non ho saputo afferrare al volo. Mi sono fatto ingannare dal denaro e da quell’insulso potere di avere tutto e subito. Ma come si è visto non è servito a nulla. Non mi ha portato lontano. Anzi, sono qui e senza alcun risultato se non malinconia e sofferenza.

La vita qui dentro mi spaventa. Non ho soltanto paura del tempo che trascorre lento ma soprattutto della lotta che affronto tutti i giorni per la sopravvivenza.

Perché cara Cristina là fuori non c’è la consapevolezza di cosa è l’esperienza tra le mura di un carcere.

Nonostante gli errori commessi da chi come me è qui dentro, posso dire chiaramente che la detenzione è poco rieducativa. Quasi ognuno di noi, ancor prima di diventare autore di un qualunque reato, ha alle spalle un passato difficile, complesso. Spesso fatto di mancanze e dolore.

Molti dei reati che mi sono stati contestati io non li ho compiuti. Sono colpevole per alcuni ma non ho commesso tutte quelle cose.

Sono stato descritto come un esaltato ma io personalmente non mi riconosco negli articoli che ho letto né mi riconosco nei reati che sono stati raccontati e che mi fanno apparire come un mostro, autore di rapine stile ‘Arancia Meccanica’.

Cristina, nonostante la sofferenza della detenzione (che merito), mi fa ulteriormente soffrire il pensiero di esser visto male dalla mia città. Sì, perché Campobasso è la città a cui appartengo. E l’idea che dovrò affrontare anche il pregiudizio della gente, questo mi addolora enormemente. Perché di Michele Di Bartolomeo, di quello che chiamate “Pensa”, voi non sapete nulla.

La storia di “Pensa” è solo una storia usata per fare successo, per parlare un po’! Michele conosce persone distinte, non soltanto quelle che delinquono.

Da questa esperienza esco privo ormai di tutto ma ho riacquistato l’amore dei miei familiari e quello di una donna speciale che mi conosce da anni e quindi sa chi è il vero Michele.

Vorrei chiudere con una frase molto significativa che ho letto in un libro regalatomi proprio dall’unica persona che non si è soffermata all’apparenza. Dice così: “E’ impossibile vivere senza sbagliare nulla a meno che uno non viva la propria vita in maniera così prudente che è come se non avesse vissuto affatto nel qual caso avrà già fallito in partenza”.

Michele Di Bartolomeo