Tachipirina & co, facciamo chiarezza

L’infettivologa mette in guardia da antibiotici e cortisone per curare il covid a domicilio. E avverte: “Chi è in sovrappeso rischia di più”

In un momento di grande confusione, in cui molti pazienti arrivano in ospedale coi polmoni già compromessi, bene smentire con una esperta del campo, la dottoressa Francesca Vignale, luoghi comuni pericolosi, che talvolta trovano ancora attuazione nelle indicazioni della medicina territoriale, col rischio di peggiorare il quadro clinico. La cosa più importante da fare? Il controllo del livello di ossigeno con il saturimetro, del quale tutti i positivi dovrebbero dotarsi.

La Tachipirina fa bene, anzi fa male. Il cortisone? Una manna dal cielo. Antibiotici a più non posso, sono fondamentali. Davvero? Per quanto riguarda la terapia domiciliare da Covid 19 ne stiamo leggendo (e sentendo) di tutti i colori. Nella maggior parte dei casi però, informazioni rilanciate dai social e affidate a improvvisatori della terapia fai-da-te possono rivelarsi pericolosissime. Ne abbiamo parlato con un’esperta, la dottoressa molisana Francesca Vignale, dirigente medico di Malattie Infettive al Policlinico “Santissima Annunziata” di Chieti, che da oltre un anno segue da vicino i pazienti affetti da covid-19 e che, a ragion veduta, può affrontare la problematica dei farmaci da somministrare ai pazienti sulla base del Protocollo AIFA e col supporto delle linee guida della Società Italiana di Malattie Infettive.

Dottoressa, partiamo dall’abc della cura. La Tachipirina serve o non serve?

“La Tachipirina o un antinfiammatorio non steroideo è l’unica cosa che può servire ad abbassare la febbre e a controllare i sintomi. Noi valutiamo anche il pidotimod, un immunomodulante da assumere durante i sintomi per chi è trattato a domicilio”. (Qui lo studio del dottor Claudio Ucciferri, dirigente medico di Malattie Infettive di Chieti)

E poi? Quali altri farmaci si devono dare ai pazienti affetti da covid-19 trattati a livello domiciliare?

“Poi purtroppo basta. Altri farmaci sono inutili e anzi possono essere perfino dannosi, come in questa esperienza clinica che ormai va avanti da un anno ho riscontrato e hanno riscontrato i miei colleghi. Ci siamo trovati davanti pazienti peggiorati dal punto di vista respiratorio proprio dopo l’inizio della terapia cortisonica”.

Quindi il cortisone, che spesso viene prescritto e comunque utilizzato in maniera massiccia, è controindicato?

“I farmaci steroidei o cortisonici (Deltacortene, Medrol, Varcodex, Decadron, per citarne alcuni col nome commerciale, ndr) sono risultati essere farmaci realmente efficaci esclusivamente su determinati stadi della malattia, ma sono controindicati nella fase iniziale e nei pazienti non ospedalizzati”.

In pratica non bisogna assumerli a casa?

“No, perché possono favorire la progressione della malattia verso una forma più severa. D’altronde si sa da sempre che il cortisone è controindicato nelle infezioni virali. Si utilizza e può avere una sua efficacia esclusivamente in determinate situazioni, che riguardano pazienti ospedalizzati con insufficienza respiratoria che necessitano di ossigenoterapia”.

Ma spesso viene prescritto a domicilio…

“Io non sono d’accordo, e in questo caso al massimo sarebbe opportuno aspettare i primi 7 giorni di malattia e non darlo mai prima. Il covid ha una storia naturale nota: la prima settimana è quella della moltiplicazione del virus e durante questa fase il cortisone è assolutamente controindicato; la seconda settimana è caratterizzata dalla cascata infiammatoria, e in questa fase può avere un suo ruolo ma si è dimostrato realmente efficace solo nei pazienti con malattia severa che necessitano di ossigenoterapia ”.

E gli antibiotici, invece? Molti positivi con febbre prendono lo Zitromax, uno dei più diffusi a livello di terapia domiciliare.

“Sì, l’azitromicina viene utilizzata tantissimo per delle evidenze antivirali dimostrate in vitro, ma non ha una provata efficacia clinica sul Sars Cov 2. Gli antibiotici tendenzialmente sono del tutto inutili perché le infezioni virali non si curano con gli antibiotici. Inoltre questi antibiotici in alcuni soggetti, soprattutto cardiopatici, possono essere rischiosi”.

E l’eparina, altro farmaco di cui sentiamo parlare spesso? “L’eparina è un antitrombotico e anticoagulante, non va dato nei pazienti sani, tanto che l’Aifa riserva l’uso dell’eparina solo agli ospedalizzati. Poi se c’è un paziente anziano che si muove poco, beh, in quel caso potrebbe servire. Ma parliamo di persone molto anziane e allettate, e in ogni caso prima di somministrare o prescrivere l’eparina bisogna visitare il paziente e accertarsi che non presenti rischi in tal senso”.

Insomma, una persona positiva al virus che ha dei sintomi può fare qualcosa prima di veder peggiorare irreversibilmente la situazione?

“La cosa più importante è il monitoraggio della saturazione. Il controllo della saturazione va fatto ogni giorno, anche più volte al giorno, anche in assenza di un tampone positivo ma nel dubbio in caso di febbre, spossatezza, perdita di gusto e olfatto. Spesso il Covid, a differenza di altre malattie respiratorie, non si manifesta con la dispnea, l’affanno. Accade di frequente che la dispnea arrivi quando già c’è una importante compromissione del polmone. Ci sono casi in cui le persone sembrano stare fin troppo bene rispetto alla evoluzione respiratoria che invece presentano già. Da questo punto di vista il controllo della saturazione è fondamentale”.

Come si fa il controllo della saturazione?

“Basta un saturimetro, uno strumento che si acquista nelle farmacie”.

Quali sono i valori dell’ossigeno che ci devono preoccupare?

“Una saturazione a riposo inferiore al 94% ci deve allertare. Normalmente i soggetti sani hanno valori che oscillano tra 98 e 96. Se a riposo il valore è inferiore a 94% significa che siamo in presenza di un valore di ossigeno che non va bene. Inoltre sarebbe importante il six minutes walking test, cioè camminare per 6 minuti almeno in casa, muoversi col saturimetro attaccato al dito e leggere i valori alla fine del test.  Se il valore si abbassa sotto sforzo sotto il 90, 92%, questo è un campanello d’allarme”.

 E cosa bisogna fare in questi casi?

“Rivolgersi al medico curante che invia immediatamente le Usca, che a loro volta visitano il paziente e dicono se deve andare in ospedale o meno. I casi vanno valutati singolarmente”.

Quali sono i maggiori fattori di rischio per il Covid?

“A parte quelli noti dall’inizio, dal diabete alle malattie respiratorie croniche, dalle malattie cardiovascolari all’ipertensione, uno dei fattori di rischio principale è rappresentato dall’obesità o anche solo dal sovrappeso. Tendenzialmente i pazienti in sovrappeso, sia uomini che donne, hanno una forma più grave di insufficienza respiratoria e spesso hanno bisogno di Niv, Cpap e rianimazione”.                                                                                (mv)