Una storia di speranza

Kristian, da detenuto a volontario fra gli ‘Invisibili’: “Ci vuole tanta forza per rinascere”

L'associazione La Città invisibile di Termoli offre ogni mattina accoglienza e ristoro ai senzatetto. Fra loro anche un giovane passato dall'essere uno degli 'ultimi' a primo dei volontari

La radio ad alto volume, il caffè fumante, il via vai di volontari e ospiti. Una mattina qualunque, in un posto che però non è come gli altri. È la sede dell’associazione ‘La Città invisibile’ di Termoli, che da oltre due anni e mezzo accoglie in piazza Olimpia senzatetto del posto o di passaggio in città. Per una tazza di latte e una brioche, un aiuto per compilare i mille documenti della burocrazia italiana, o semplicemente per avere qualcuno con cui fare quattro chiacchiere, per sentirsi persone reali e non ‘invisibili’.

È un mattino di dicembre umido ma soleggiato, a Natale mancano pochi giorni e la cucina della struttura di fianco allo stadio ‘Gino Cannarsa’ trabocca di biscotti, succhi di frutta e panettoni. “Forse per via della situazione di difficoltà che tutti stiamo vivendo, ma stavolta le donazioni delle persone sono state veramente tantissime” confessa Francesco, volontario della Città che è invisibile solo nel nome.

Sono in tutto circa una decina i volontari che si alternano tutte le mattine dalle 8,30 alle 11,30 in piazza Olimpia. Alcuni lavorano ‘dietro le quinte’, ma ci sono, sempre.

la città invisibile donazioni

Sono invece circa venticinque le persone (ma in media ogni mattina una quindicina), quasi tutte senza fissa dimora e per lo più uomini, a frequentare quel posto un po’ nascosto per mettere qualcosa sotto i denti, scambiare due parole, magari fare una doccia o una lavatrice. La Città invisibile offre questi servizi, oltre a quelli più ‘rognosi’ che riguardano i documenti: il permesso di soggiorno, il passaporto, il reddito di cittadinanza. O magari un appartamento, (un’utopia per tanti di loro) per chi riesce ad avere un lavoro e un reddito.

È il caso di Andrej (nome di fantasia), protagonista qualche settimana fa di un appello che l’associazione ha condiviso anche sui giornali. L’obiettivo pare essere stato raggiunto perché qualcuno ha letto l’articolo e contattato ‘La Città invisibile’. Risultato? Un appartamento per lui in un paese del Basso Molise. “A Termoli non ci ha contattato nessuno. I prezzi sono improponibili e c’è molta diffidenza”.

la città invisibile murale esterno

Eppure la casa non dovrebbe essere il punto d’arrivo, bensì quello di partenza. È un approccio, nuovo, in qualche modo rivoluzionario, quello del cosiddetto ‘Housing first’, che anche la struttura termolese ha sposato. “Ci sono studi e ricerche che lo dimostrano – afferma Francesco -. Avere una casa aiuta tantissimo a creare una rete sociale e un’integrazione, a differenza dell’approccio paternalistico del ‘se fai questo ti faccio entrare al dormitorio, se fai quest’altro ti do un lavoretto’ e così via”.

Dormitorio che sì, a Termoli c’è, ma che oggi è un punto di riferimento solo per alcuni. “Purtroppo le regole d’ingresso sono stringenti. Per dirne una, chi ha la fedina penale macchiata non può entrare. E queste persone, in quasi tutti i casi, hanno avuto qualche problema con la giustizia. Anche perché altrimenti non starebbero così”.

Senza contare che anche ‘La Città invisibile’ non ha certezze sul suo futuro. “Abbiamo sulla testa la Spada di Damocle dei lavori che il Comune dovrebbe fare qui per trasformare la sede in Museo del mare. Non sappiamo bene che ne sarà di noi. Il Comune ci aiuta col pagamento delle utenze e ci ha assicurato che un altro posto per noi lo troverà, ma non c’è niente di ufficiale. Anche il fatto che stiamo qui non è mai stato messo nero su bianco”.

la città invisibile

L’arrivo del Covid-19 inizialmente ha spiazzato anche i volontari, che però col tempo si sono riorganizzati. “Un grosso cambiamento l’abbiamo notato a settembre, quando abbiamo avuto un boom di accessi, anche il 60 per cento in più. Poi piano piano i numeri sono tornati alla normalità”.

Mentre Francesco racconta come “l’esperienza del dormitorio alla Schweitzer è stata positiva ma emergenziale. Affrontava una emergenza nell’emergenza. L’approccio dovrebbe però essere diverso, perché la situazione di chi non ha una casa non è un’emergenza ma è cronica”, ecco che viene affiancato da Kristian, un ragazzo grande e grosso che si dà un gran daffare in cucina.

Sta in silenzio ma nei suoi occhi si intravede in lui un bisogno di raccontare, di raccontarsi. “Ho conosciuto La Città invisibile dopo un percorso di due anni e mezzo al centro ‘Il noce’, dove sono arrivato da ex detenuto e con problemi di tossicodipendenza”. Tratteggia quello che è stato il suo percorso e confessa: “Ci vuole tanta forza di volontà per rinascere, non è facile, bisogna volerlo davvero”.

Cristian volontario citta invisibile

E la pandemia non aiuta di certo, perché è evidente che il virus ci allontana e alimenta la diffidenza reciproca. “Lo abbiamo notato soprattutto nei primi mesi di pandemia”. Una paura di avvicinarsi, una battuta d’arresto alle donazioni dei cittadini. “In realtà – ci spiegano sia Francesco che Kristian – il senzatetto è la persona per antonomasia che ha meno contatti sociali, e dunque meno rischiosa in un certo senso”.

Ora però le cose sembrano essere migliorate, la realtà di questo scrigno di solidarietà inusitata, lontana anni luce dal clamore della città, va avanti, in maniera ostinata e contraria. C’è una espressione che qui sta molto a cuore ai volontari, ed è come una sorta di manifesto. “Nessuno si salva da solo”. Kristian, che ora è passato dall’altra parte (da ‘assistito’ ad ‘assistente’) lo sa bene. Il ‘suo’ Natale è stato qui.

 

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