Da simbolo del dolore a simbolo di spreco

Dai terremotati ai ladri e agli sciacalli. Il villaggio-modello devastato, milioni di euro buttati – Reportage da San Giuliano

Gli ultimi cittadini che per quasi dieci anni hanno trovato ospitalità nel villaggio provvisorio di San Giuliano di Puglia, il paese distrutto dal sisma del 2002, sono rientrati a casa nel 2011. Da allora gli chalet (come li definì l’ex premier Silvio Berlusconi) hanno subito una sorte impietosa: vandali, ladri, sciacalli e totale mancanza di controllo hanno devastato alloggi e strutture pubbliche. Ora in ballo ci sono 5 milioni di euro per ristrutturarlo e trasformarlo in centro polifunzionale per la Croce Rossa. Restano i dubbi sull’immane spreco causato da 10 anni di totale incuria.

“Ricostruiremo San Giuliano di Puglia in due anni”, aveva scandito tra microfoni e flash, a beneficio del mondo intero, l’ex premier Silvio Berlusconi. Era il 2003, qualche mese dopo il terremoto che ha distrutto il paese e la scuola Jovine, uccidendo 27 bambini e la loro maestra. In realtà per ricostruire San Giuliano di anni ne sono serviti quasi 10. In compenso, per limitare al massimo il disagio dei senzatetto e risarcire con un minimo di comfort i terremotati che oltre a una generazione avevano anche perso un tetto sulla testa, la Protezione Civile aveva realizzato un villaggio provvisorio a metà strada tra san Giuliano e Colletorto.

Niente container agli abitanti devastati dal dolore, niente case di polistirolo e cartone ma un villaggio, composto da 130 “chalet” (le definizione è sempre di Berlusconi) di legno pieno, isolati e provvisti ognuno di due camere da letto, cucina, soggiorno, bagno. Mobilia nuova di zecca, elettrodomestici moderni acquistati anche grazie ai fondi della solidarietà. L’Italia e il mondo sono stati generosi con San Giuliano sulla scorta della tragedia dei piccoli alunni sepolti sotto le macerie della loro scuola.

Il villaggio “provvisorio”, costato circa 2 milioni di euro, è stato il cuore pulsante della vita post-sisma, il fulcro della ripartenza dove tra il 2003 e il 2011 si sono concentrate le attività degli abitanti e le scelte istituzionali, sono state prese decisioni messe ai voti nella sala consiliare del Municipio, anche questo costruito ex novo come la galleria di negozi, il bar, la foresteria, la guardia medica. Le visite di ministri, autorità governative, militari e religiose erano all’ordine del giorno. Il campo sportivo, dove di recente gli spogliatoi sono stati spogliati dall’ultimo rame rimasto, la pista di volo per elicotteri di Stato.

Nel villaggio di legno si sono consumati anni duri e talvolta terribili, si è combattuta la guerra tra disperazione e speranza, sono nati anche i primi bambini messi al mondo dopo l’anno 0 di San Giuliano. E sempre qui, fra queste casette curate, incastonate fra colline dolci e verdi e infiniti uliveti, gli studenti sopravvissuti al crollo sono tornati a scuola. In una scuola, provvisoria anche questa ma perfettamente funzionante e attrezzata, dedicata a Francesco Jovine, proprio come l’altra venuta giù alla stregua di un castello di carte sotto la frusta della terra, elettrizzata da una scossa di magnitudo 5.2 il 31 ottobre del 2002, una data indimenticabile per il popolo molisano.

Sembrava l’Apocalisse, e invece – e per fortuna – la vita è ricominciata a San Giuliano di Puglia. Oggi i suoi poco più di mille abitanti vivono tutti nelle case antisismiche e luminose costruite esattamente dove quelle vecchie sono crollate o sono state demolite per ragioni di sicurezza. Qualcuno è emigrato, qualcuno altro ha preferito andare via dal paese malgrado le fontane monumentali e la piscina olimpionica, ma diversi bambini sono nati nel frattempo, anche se nessun fiocco rosa o azzurro potrà mai cancellare la perdita di una comunità.

Ma se la vita è tornata a battere nel nucleo storico di San Giuliano, la morte e la desolazione hanno aggredito irrimediabilmente il villaggio “provvisorio”, che si è svuotato degli ultimi ospiti alla fine del 2011, diventando un gigantesco punto interrogativo ma anche una potenziale risorsa per il territorio.

Cosa farne? Come riconvertire quelle casette di legno e le strutture a supporto? Come trasformare il cuore della sofferenza in una possibilità di sviluppo? Non una idea concreta ha interrotto un decennio di indolenza e totale mancanza di spirito di iniziativa. Non un progetto è arrivato. L’unica scommessa per quel villaggio, poi naufragata senza nemmeno troppe spiegazioni, era quella del Viminale di farne un centro di accoglienza migranti.

“Ci hanno fatto le campagne elettorale a livello nazionale, su quel villaggio” commenta a mezza voce l’attuale sindaco di San Giuliano Giuseppe Ferrante, che ammette come “il nostro Comune non aveva le possibilità per prendersi cura di quel posto e sì, è stato abbandonato”.

E vandalizzato, saccheggiato. Le porte sono scardinate, le stanze sono state prese d’assalto: armadi sventrati, cucine componibili sradicate a forza dai binari, materassi rubati, frigoriferi e forni portati via o rotti e lasciati in mezzo. Vetri infranti, tegole divelte per strappare dai tetti fino all’ultimo tubo di rame. Ogni singola abitazione depredata, ogni stanza demolita, mentre le piante un tempo curate da giardinieri – oggi nutrite dal sole, dalle intemperie e dalla resilienza tenace della natura indomabile – si sono riprese le strade e hanno sollevato le tavole dei cortili, aprendo squarci e allargando buchi.

La galleria commerciale è una distesa di detriti, la scuola una carcassa, il Comune uno sfregio che mischia, in un’unica ferita per gli occhi, costose attrezzature fatte a pezzi, scrivanie ribaltate, documenti strappati. Centinaia di migliaia di euro, denaro messo in campo dalla Protezione Civile e dalle donazioni, buttati senza nemmeno tirare lo sciacquone.

Il Molise, quel Molise lontano dalla retorica di terra incantevole, ha dato prova di essere senza idee e senza prospettive. Perché, 20 anni dopo il terremoto, il villaggio è da buttare. Non a caso il CIS, il contratto Istituzionale di Sviluppo di Invitalia, quello strumento di rilancio voluto e propagandato dal Governo Conte, ha messo in campo 5 milioni di euro per la riconversione del villaggio provvisorio di San Giuliano di Puglia. “Il progetto di farne un centro polifunzionale e di formazione per la Croce Rossa del Centro Sud è stato accolto” spiega il sindaco Ferrante “E a breve saranno appaltati i lavori. Ormai se ne occuperà Invitalia, faranno tutto loro”.

Il Comune di San Giuliano, di fatto proprietario del villaggio, ha alzato bandiera bianca tanto tempo fa. “Con tutti i problemi che abbiamo avuto e ci sono ancora, non potevamo occuparcene. Abbiamo pensato di inserirlo nel Cis, almeno potrà avere una seconda vita dopo la necessaria manutenzione e ricostruzione”, conclude Ferrante, anche lui con l’amaro in bocca. Un patrimonio di tutti, in fin dei conti, che nessuno è stato capace di far fruttare in qualche modo. Abbandonato al frinire delle cicale negli scampoli di un’estate che ha visto triplicare, malgrado la pandemia o forse proprio per la pandemia, le presenze turistiche in Molise.

Fosse stato in Trentino, quel villaggio-modello, si chiamerebbe “Resort della quiete”; in Toscana sarebbe una “Cittadella del gusto”, in Umbria un “Parco degli Ulivi”, con piscine e itinerari per visitatori stranieri nella meravigliosa terra in cui è immerso. Ma si trova in Molise, è un rottame al quale nessuno vuole nemmeno pensare, sacrario del dolore e, inevitabilmente, tempio di un gigantesco spreco senza voce. Il silenzio surreale è interrotto dallo scorrere di acqua. Seguiamo lo scroscio insistente, proviene da una casetta con patio al margine del villaggio. Entriamo, scavalcando cumuli di spazzatura, arriviamo in bagno. Nella doccia il tubo è rotto, scarica acqua senza soluzione di continuità, chissà da quanto tempo, giorno e notte, mentre mezzo Molise è in crisi idrica. Avvisiamo il sindaco, che manda subito un paio di operai a controllare e riparare. Almeno quello. Per il resto c’è ben poco da fare, ormai.

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