Lo scenario politico

Il Governatore Toma sul filo del rasoio: maggioranza traballante e mannaia sfiducia. Rebus Aldo Patriciello

In Campania l'europarlamentare lavora con Italia Viva di Matteo Renzi per sostenere il presidente uscente Vincenzo De Luca del Pd. Un segnale che si aggiunge al clima da resa dei conti attorno a Donato Toma, atteso a una mozione di sfiducia nelle prossime ore.

La storia dell’Amministrazione regionale guidata da Donato Toma è fatta di tanti, forse troppi inciampi. La maggioranza che l’accompagna si è disunita quasi subito, giusto il tempo di una luna di miele con gli elettori che nei fatti in pochi hanno percepito. Oggi quella maggioranza sembra più che mai un ricordo e da ormai un anno e mezzo (cioè dalla cacciata di Romagnuolo e Calenda dalla Lega) il presidente regionale non ha i numeri per andare avanti. Oltretutto secondo i bene informati anche l’alleato numero 1, cioè Aldo Patriciello, starebbe seriamente pensando di ‘mollarlo’.

Ma a dirla tutta, sembrava la stessa cosa anche per Paolo Frattura in più di un’occasione, eppure l’architetto di Campobasso concluse il suo unico mandato regolarmente, salvo poi non essere ricandidato.

Quindi attenzione, sostenere che per Toma sia finita vuol dire non conoscere la politica molisana. Che è fatta di intrighi, sotterfugi, accordi sottobanco, opportunismi da campionato mondiale delle facce di bronzo. Perché è vero, Toma non ha i numeri ma non ce l’ha da un sacco di tempo eppure è ancora in sella.

Non bisogna andare troppo in là con la memoria per ricordare che il Piano sul trasporto pubblico locale che la sua maggioranza presentò a dicembre scorso fu bocciato dall’Aula, con 11 consiglieri che ne votarono un altro. Da allora ha avuto alti e bassi, ma nemmeno l’abolizione della surroga e la defenestrazione di un paio di consiglieri scomodi pare averlo reso meno saldo al comando.

Michele Iorio è stato il primo a segnare una distanza, da politico di lungo corso qual è, nelle posizioni e nei comportamenti. Quindi Filomena Calenda e Aida Romagnuolo, le dissidenti che la Lega ha cacciato con forse troppa irruenza. Tre esponenti di maggioranza che a tutti gli effetti di maggioranza non sono più. Insieme agli otto di opposizione, avrebbero già in mano le carte giuste per fare ‘all-in’ mandando la Regione al voto.

Larino centro Covid, la mozione delle minoranze passa. Toma battuto in Aula, si definisce la sfiducia

Ma non l’hanno fatto. Non ancora. Solo che adesso altre grane si presentano al Governatore, incapace di conquistare la fiducia dei suoi sulla vicenda del Vietri centro covid, ma anche sordo alle richieste di una grossa fetta dei suoi consiglieri sulla vicenda dell’assessore esterno. Mandato a casa Luigi Mazzuto, assessore esterno che nessuno voleva, ha chiamato al suo posto Michele Marone, assessore esterno che apparentemente in consiglio nessuno vuole.

Così è emersa la cosiddetta fronda anti-Toma, i centristi che ormai hanno fatto capire a chiare lettere di non condividere più l’impostazione del presidente. Lunedì scorso in aula Andrea Di Lucente, eletto coi Popolari, ha preso la parola per esprimere “il pensiero di Armandino D’Egidio, di Salvatore Micone, di Mena Calenda, di Aida Romagnuolo, di Gianluca Cefaratti, e di Andrea Di Lucente”.

I sei hanno sostenuto “di essere al servizio dei cittadini, al servizio dei nostri territori. Al servizio di un’idea di Molise che ci siamo costruiti nel corso dei tanti anni di impegno politico. Noi sei non veniamo fuori dal nulla. Siamo figli di un percorso politico lungo, che ci ha ancorato al territorio. E che ora ci impone decisioni ferme.

In questi giorni abbiamo fatto esattamente ciò che andava fatto da due anni a questa parte. Presidente Toma, in questi giorni noi abbiamo avuto confronto, dialogo. Abbiamo riflettuto insieme, abbiamo comparato dati, esperienze, abbiamo riportato le voci del territorio. Abbiamo tentato di fare sintesi. In un solo concetto: abbiamo fatto la maggioranza.

Lei si è dimenticato, o forse non l’ha mai saputo, che maggioranza significa tutto questo. Chiudersi in una torre d’avorio, rifiutando il confronto, non è essere leader. È avere paura della propria squadra, non perché inadeguata, ma perché fin troppo brava per gli standard. Significa essere in balia degli eventi e non guidarli. Imporci di essere separati in casa ci ha permesso di trovare unità al nostro interno: siamo una sola voce per sei teste”.

Sei teste, più Iorio sette, più otto dell’opposizione fa quindici. Se consideriamo che il totale dei voti a disposizione è ventuno, si intuisce bene come ormai con Toma ci sia una minoranza.

Il segretario regionale del Partito Democratico, Vittorino Facciolla, ha annunciato che nelle prossime ore verrà protocollata una mozione di sfiducia nei confronti del governatore. È probabile che in questi giorni si giochi il destino politico del commercialista e docente, tirato fuori due anni fa dal centrodestra come un coniglio dal cilindro per battere il Movimento Cinque Stelle che perse le elezioni pur partendo coi favori del pronostico.

Da allora sembra essere cambiato tutto e non solo per effetto del Covid. Prima di presentare la mozione, è probabile che le opposizioni debbano essere certe di quello che fanno. Si sa, le mozioni di sfiducia sono armi a doppio taglio. Se ben congegnate, possono avere l’effetto di una valanga. Se invece vengono orchestrate male, ottengono l’effetto contrario, compattando gli avversari. Per questo vanno capiti i tempi esatti e le posizioni reali dei contendenti.

La possibilità che la sfiducia venga presentata a breve non è affatto remota: oggi (16 giugno) intanto sarà annunciata in Consiglio regionale. C’è infatti più di qualcuno che spinge per votare subito, appena dopo l’estate, insieme alle altre Regioni che devono rinnovare i consigli regionali, come Campania e Puglia.

Il riferimento non è casuale. Perché anche chi lunedì ha votato con Toma, astenendosi sulla proposta del Vietri centro Covid, non sembra più così vicino alle sue posizioni. L’assessore Roberto Di Baggio, e ancor di più gli omologhi Vincenzo Niro e Vincenzo Cotugno, non si sono certo spesi per difendere il presidente, anzi. Da qui il retro pensiero: siamo sicuri che Aldo Patriciello sia ancora deciso a sostenere Toma?

Aldo Patriciello Europee

In Campania danno per certo che l’europarlamentare di Venafro stia lavorando in collaborazione con l’ex premier Matteo Renzi per allestire una sostanziosa lista a favore del governatore in carica Vincenzo De Luca. Ora, è notorio che De Luca sia espressione del Partito Democratico, seppure in contrapposizione con il Governo, mentre Matteo Renzi guidi Italia Viva, che sta al Governo ma è iper critica con l’esecutivo. Forza Italia, partito con cui Patriciello è stato rieletto in Europa un anno fa, è invece all’opposizione a Roma.

Insomma le trame politiche che partono da Roma, attraversano Bruxelles e arrivano a Napoli toccano di striscio anche Campobasso. Da qui a dire che Aldo Patriciello sia vicino a Italia Viva ce ne passa, ma ci sono fattori che fanno pensare a un ribaltone.

Primo fra tutti, il dialogo che secondo i bene informati proprio Aldo Patriciello avrebbe avviato con alcuni esponenti legati al centrosinistra nella eventualità si tornasse a votare a breve termine.

Secondo, proprio fra quelle ‘sei teste’ ce n’è più d’una che guarda con interesse a Italia Viva, o in alternativa ad Azione di Carlo Calenda. Se si tratta di semplici sotterfugi per ottenere un posto in bella vista oppure se si concretizzerà davvero qualcosa, lo sapremo a breve. Non va dimenticato che il posto da consigliere regionale rappresenta ancora, ahinoi, un ricco Gratta&Vinci, con stipendio ben superiore a 10mila euro mensili. Rinunciare a quasi tre anni di questa ‘rendita’ non sembra essere una prospettiva allettante. Per questo chi oggi siede a Palazzo D’Aimmo vuole garanzie di rielezione oppure di una sistemazione che non costringa a penare fra click day e cassa integrazione come i comuni mortali che si alzano la mattina per portare a casa la pagnotta.

Gli argomenti usati da chi vuole mettere in atto quella che sembra l’ennesima operazione gattopardesca all’ombra del Monforte dovranno essere molto convincenti. Solo a quel punto toccherebbe proprio a quei sei, o almeno a qualcuno di loro, pronunciare la sentenza di condanna per il presidente.  (Sdl)

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