Il ritratto di norberto lombardi

Una vita spesa per la cultura: Enzo Nocera, l’editore puro che ha dato identità al Molise

Norberto Lombardi, intellettuale tra i più influenti del Molise, amico e profondo conoscitore dell’opera di Nocera, traccia qui il profilo, intellettuale, imprenditoriale e umano del grande editore scomparso. Dagli esordi all’inizio degli anni Sessanta, alla scoperta del territorio regionale e delle sue risorse turistiche e culturali. La casa editrice: un’officina laboriosa di idee, di energie intellettuali, di professionalizzazione, di cultura, presente in tutti i settori di ricerca ed elaborazione. L’Almanacco del Molise: un’opera monumentale nella dimensione molisana

«Ho fatto la mia strada»

Allentata la stretta della sorpresa e dell’emozione per una notizia che ho sempre stentato ad associare a persone dotate del dinamismo e della vitalità di Enzo Nocera, non mi è facile, ora, trovare argini per incanalare la piena dei ricordi e delle riflessioni che scorrono nell’alveo di una frequentazione e di un’amicizia lunghe sessant’anni. Non riesco nemmeno ad allontanare il timore che le mie parole possano unirsi alle tante che ho letto e sentito in queste ore, improntate certo a considerazione, affetto e riconoscenza verso Enzo, ma non immuni dal rischio di alimentare un’emozionale beatificazione post mortem che tuttavia appiattisca l’articolato disegno del suo contributo alla vita civile del Molise e il suo faticoso percorso di operatore culturale.

In un’intervista rilasciata in occasione della celebrazione dei suoi cinquant’anni di attività editoriale (1965-2015), di cui Giorgio Palmieri, Tonino Santoriello e Maria Bucci ci hanno lasciato un rigoroso catalogo storico, Enzo in sostanza parlava in questo modo di sé e del suo lavoro: «Ho fatto la mia strada. Una strada attraversata da frane, sconnessa e piena di buche. Qualche volta ci sono caduto dentro, ma ho avuto la forza di rialzarmi e proseguire. E ho aperto un percorso nel quale mi auguro che anche altri si vogliano incamminare».

Ecco, la prima cosa che voglio dire di Lui è che è stato un uomo indomito nel fare il cammino che si era prefisso, andando spesso al di là dei limiti che le circostanze sembravano imporre. Fino a diventare, in una terra arida di carta stampata, uno dei pochissimi editori “puri”, che non appoggiava la produzione editoriale ad altre forme di lavoro e di reddito, avendo anzi prima trascurato e poi abbandonato la professione di commercialista per inseguire la sua peculiare visione. Lo ha fatto in condizioni molto difficili, sia per il fatto che nel Molise l’attività editoriale non si è mai potuta realizzare, a livello pubblico, in una dimensione di progettualità e di programmazione ma sempre e solo di paternalismo e di elargizioni, sia perché non ha mai accettato di mettere in gioco la sua autonomia, rifiutando forme di allineamento che sicuramente gli avrebbero assicurato frutti migliori. Certo, anche Lui in una realtà in cui la spesa pubblica è stata a lungo la regina del reame ha dovuto girare le sette chiese per cercare di coprire i costi delle sue sempre più belle edizioni, ma lo ha fatto libro per libro, caso per caso, salendo e scendendo scale e spesso assaggiando il sale del rifiuto e l’amaro della promessa non mantenuta. Ed è non solo un motivo di vergogna civile, ma forse anche atto di autolesionismo civico, il fatto che si sia permessa una dichiarazione di fallimento per poche migliaia di euro di un’impresa editoriale che nei fatti aveva ormai una funzione di acculturazione diffusa.

 

La vocazione per la cultura

Questo è potuto accadere perché Enzo non è nato editore, ma è nato giovane intellettuale che aveva, come una volta si diceva, la vocazione per la cultura e l’impulso della passione civile. La sua prima azione è stata, agli inizi dei Sessanta, la promozione, assieme a Valter Genua, di un’associazione di giovani artisti decisi a crearsi il loro spazio; il suo primo libro pubblicato – Il sottobosco di Antonio Cirino – un atto di rottura contro il soffocante perbenismo della provincia; il suo secondo libro, un quadernetto, Lettera dalla provincia, fu costruito intorno ad una lunga e intensa poesia dello stesso Enzo su un Molise segnato dalla povertà e dall’abbandono, dall’anemia dei rapporti umani, una composizione che per me contiene la “poetica” del suo progetto culturale e, a seguire, editoriale. Che quella poesia non fosse un esercizio domenicale ma un grido necessario per quei tempi lo dimostra la denuncia penale per oscenità che Enzo ricevette da un personaggio locale, di ispirazione confessionale, e che gli costò due gradi di processo. Dopo un’iniziale condanna fu assolto in appello con una sentenza esemplare, nella quale si diceva che talvolta l’oscenità è da individuare non nel testo, ma nell’interpretazione che se ne dà.  

Negli anni seguenti, quando già si era incamminato a passi decisi lungo la sua strada di editore, cambiando per necessità aziendali la sua iniziale intestazione di Nocera Editore in Edizioni Enne e, infine, in Enzo Nocera Editor, non ha mai smesso questo abito di ricercatore e di autore. Già nel 1971, nella fase del trapasso tra il Molise terragno e quello “moderno”, quando la cultura dell’opera pubblica era quasi una religione e nessuno metteva mano al rafforzamento del ruolo delle forze produttive, pubblicava una ricerca sull’artigianato tradizionale e rurale, con l’intento di coglierne le possibilità evolutive. Ma ci sono soprattutto due campi nei quali il suo segno è stato profondo. Il primo è quello della scoperta del territorio e degli itinerari turistici, da Lui avviati in collaborazione con persone di riguardo, come Emilio Spensieri. Enzo non guidava, viaggiava con mezzi pubblici e di fortuna, eppure pochi come lui conoscevano il Molise, paese per paese, contrada per contrada. Questa attenzione per il territorio e per le sue risorse, fino a pensare al turismo come bene economico quando molti ancora si perdevano nella retorica delle visioni incantate, credo sia stata una delle sue intuizioni più moderne.

Ad essa si accompagnava un’altra intuizione importante, quella della riscoperta e della valorizzazione della cucina di tradizione, anche qui facendo della gastronomia non soltanto una pratica alimentare ma un bene culturale destinato ad avere un peso e un riconoscimento crescenti. Su questa strada e sulla sua scia, tracciate in parallelo con il termolese Elio D’Ascenzo, si sono incamminate tra gli altri la sorella Rita e l’amica Anna Maria Lombardi, oltre a cuochi di alta professionalità, come Bobo, che hanno composto negli anni un affresco preziosissimo della cucina molisana di tradizione e delle sue più riuscite e accattivanti rivisitazioni. Enzo non solo ha fatto uno scavo profondo e credibile della civiltà della cucina molisana sotto il profilo antropologico, che gli ha fatto meritare un ruolo centrale nella locale Accademia italiana della cucina e poi la nomina a componente del Centro studi nazionale della stessa istituzione culturale, ma negli ultimi anni è riuscito a dare dignità letteraria a quella corposa materia in uno dei libri più originali e riusciti degli ultimi anni, quel Lunario dell’Osteria che si è meritato un’introduzione assai lusinghiera di Giose Rimanelli.

 

Il profilo culturale dei molisani

Quando la sua produzione editoriale nel corso degli anni Settanta e Ottanta diveniva fluente, il Molise viveva la sua profonda e contraddittoria modernizzazione che mutava il paradigma antropologico, sociale, economico e territoriale della regione. Giorgio Palmieri ha documentato come la produzione editoriale del ventennio postguerra in Molise sia stata poverissima. Questa tendenza s’inverte dopo quella fase, soprattutto per l’apporto dell’editrice che si incarnava nella persona e nell’impegno di Enzo. Il cambiamento non era solo il risultato di uno sforzo volontaristico, per quanto tenace, ma corrispondeva ad un bisogno più generale, mai così vivo, di definizione identitaria dei molisani. L’autonomia regionale era stata realizzata da alcuni lustri, la canalizzazione della spesa pubblica si sviluppava in dimensioni notevoli con l’entrata a regime delle regioni a statuto ordinario, tuttavia si avvertiva che l’esordio sul proscenio meridionale e nazionale comportava l’esigenza di una messa a punto di un profilo culturale sempre più pieno e credibile, in modo da rispondere a una domanda che tra il serio e il faceto si sentiva ripetere sempre più diffusamente: «Ma chi sono, che vogliono questi molisani?». Una domanda che, sempre tra il serio e il faceto, da tempo si aggiungeva a un’altra: «Ma dov’è questo benedetto Molise?».

Le edizioni Enne erano la fucina più laboriosa di questo profilo, che incominciava ad articolarsi e ad arricchirsi di nuove linee e nuove visuali, alcune delle quali di credibile spessore critico. Nell’ultimo trentennio del secolo, non c’era settore di ricerca e di elaborazione in cui la casa editrice non s’insediasse: la saggistica, la storia, la narrativa, la poesia, il recupero del dialetto, le tradizioni popolari, l’urbanistica, la storia dell’arte, le cartelle degli artisti, ad iniziare da quelle, memorabili, di Pettinicchi e di Marotta, e altro ancora. Oltre 500 pubblicazioni tra monografie e periodici. Se è possibile fare un rilievo critico, il fatto che le edizioni Enne fossero considerate in Molise lo sbocco naturale di ogni dattiloscritto, ha comportato anche qualche sbavatura localistica o qualitativa, specie nei casi in cui il maggior titolo di alcuni elaborati era costituito dall’autostima e dall’ambizione dell’autore. Troppa distanza tra queste prove, non molte in verità, e le edizioni o riedizioni di un Rimanelli e di un Del Vecchio.

 

L’officina dei talenti

Due realizzazioni di Enzo meritano un discorso a parte. La prima è la sua presenza nel campo dell’informazione, fino ad allora tradizionale campo del provvisorio e dell’effimero, quando non del velleitario. Raccogliendo intorno a sé gruppi di giovani entusiasti e capaci, Enzo ha lanciato e dato continuità per diversi anni a settimanali come Molise Sport e Molise Oggi, a mensili come Molise, a quadrimestrali come Proposte Molisane. Nessuno di quelli che sono stati chiamati a dirigere e a scrivere per questi periodici ha mai avuto una sollecitazione o un richiamo a non disturbare il manovratore. E si sa che nel Molise il Manovratore aveva le spalle larghe e molte leve di comando nelle mani. Questi periodici sono stati il luogo di formazione e professionalizzazione di decine di giovani che poi sono restati a lavorare nel settore, innestando nella “modernità” molisana quella competenza e quel dinamismo di cui nessuna società che voglia svilupparsi può fare a meno. Ancora oggi, mi pongo la domanda che mi ponevo decenni orsono ogni volta che mi trovavo tra le mani uno di quei giornali freschi di stampa: «Ma questo come fa a reggere un impianto così oneroso e complesso?» Devo confessare che sono stato sempre piuttosto restio a considerare in termini aziendali l’impresa editoriale di Nocera, che ha conosciuto momenti anche molto difficili e passaggi avventurosi. L’ho sempre vista, piuttosto, come un’officina. Un’officina di saperi, di talenti, di ricerche, di professionalizzazione, di cultura, di impegno civile. E sono sicuro che se Enzo me lo sentisse dire, non si dispiacerebbe perché il suo vero obiettivo non è stato mai quello di usare i libri e la cultura per fare soldi e mettere i conti in ordine, ma piuttosto quello di dare forma ed espressione a dimensioni prima sconosciute della nostra storia e cultura regionale e consentire a chiunque avesse qualcosa di nuovo da dire di trovare lo strumento per farsi ascoltare.

 

L’Almanacco, il libro dei molisani

L’altro picco emergente del lavoro di Enzo Nocera, come è stato giustamente ricordato in queste ore, è stato quello dell’Almanacco del Molise. Una pubblicazione che è si è rinnovata puntualmente, con tutta la ricchezza dei suoi contenuti, per oltre un quarto di secolo, accompagnata da un diario annuale che oggi rappresenta una fonte storiografica preziosa per il tempo che ha coperto. La vicenda storica del Molise in età medievale, moderna e contemporanea riletta secolo per secolo, con apporti quasi sempre originali, consolidata con ricerca attendibili sul piano scientifico e proposta con linguaggio di ampia ma seria divulgazione. Nelle dimensioni molisane, un’opera monumentale: lo si può dire senza gonfiare le gote.

Personalmente, credo che dal punto di vista storiografico, l’Almanacco ci abbia molto aiutato a mettere in equilibrio una rappresentazione del Molise più realistica e rispondente, soprattutto aprendo le porte a una conoscenza più ampia e documentata della fase medievale, nella quale vi è la genesi del Molise moderno, a lungo accantonata dalle trattazioni di varia natura che hanno preferito inseguire, come in altri momenti di transizione del passato, le consuete ebbrezze sanniticistiche. L’altro indiscutibile merito è di avere avviato un percorso di indagine dello sconosciutissimo Novecento, successivamente sviluppato da altre più solide ricerche.

Ma dell’Almanacco, c’è un altro aspetto che merita di essere ricordato ed è quello che intorno ad esso per molti anni si sia realizzato un intreccio virtuoso di impegni finanziari tra un istituto di credito, la Banca popolare del Molise, diretta dall’On. Colitto, a sua volta assiduo e importante collaboratore dell’Almanacco, e il Consiglio regionale del Molise, che nell’occasione si è dimostrato meno estemporaneo del solito. Questo ha consentito una diffusione ampia, capillare dei volumi che oggi, a ragione, sono considerati i libri più presenti nelle case dei molisani.

 

Le restrizioni della pandemia ci hanno privato della possibilità di dare ad Enzo un estremo saluto e un grazie vero, non rituale. E di stringere in un abbraccio Gianni e Fabrizio, i figli che abbiamo visto crescere. In queste ore, tuttavia, mi è tornata alla mente un’immagine che al primo impatto mi ha turbato e che poi mi ha dato conforto e quasi contentezza. Quella di molte persone piegate sulla montagna di libri pubblicati da Enzo Nocera, venduti all’incanto per quattro soldi a seguito della circostanza giudiziaria di cui ho parlato. Ognuno se ne usciva con borse piene dei suoi libri che portava a casa per tenerli o regalarli. Ho pensato che quello che potrebbe essere stato uno dei passaggi più amari dell’esperienza di Enzo è stato in realtà il suo vero riconoscimento. L’eterogenesi dei fini, dicono con sussiego i filosofi. Quello che può sembrare il suo scacco finale, in realtà è stata la sua più bella vittoria perché tanta gente si è precipitata ad accogliere il dono dei libri che Enzo Nocera ha fatto per molti anni ai molisani. Con l’impegno di una vita interamente spesa perché la conoscenza e la cultura invadessero le case e le menti.  

 

(foto Facebook)