Un appello

Nel 2020 non lasciamo sole le famiglie vittime delle vittime della droga

Alla vigilia di Natale è apparsa su Primonumero una toccante intervista di Cristina Niro a una madre molisana che ha denunciato il figlio “per salvarlo dal cancro della droga che metastatizza e distrugge tutto ciò che c’è attorno alla vita di ognuno”. A Roma un’altra “mamma coraggio”, Giovanna Proietti, superando una viscerale omertà filiale, ha denunciato suo figlio Valerio con le lacrime in gola e il cuore a pezzi. Un giornale di Latina titola: “Arrestate mio figlio per salvarlo dalla droga. La battaglia di Amelia, mamma di un giovane tossicodipendente”.

Lo stesso Primo Piano ha ospitato in dicembre una lettera a firma Attilio De Carolis che parlava del dramma di una “famiglia perbene” passata dall’impossibilità di credere che un figlio cresciuto “in un’atmosfera ovattata” si drogasse, alla probabilità e alla certezza che ne fosse vittima.

La mamma molisana ha raccontato di essere stata perfino oggetto di condanna. E si è sfogata così: “Ma che ne sanno questi signori di quello che accadeva a casa mia? Sono ciechi, pensano che la droga sia lontana anni luce dai loro ragazzi”. Poi ha aggiunto: “Anche io lo pensavo”. Oggi la sua lotta è anche quella del figlio che vive in una comunità e dunque s’intravede un lieto fine. La lunga intervista andrebbe diffusa tra tutti i genitori che, come lamenta l’intervistata, “non hanno consapevolezza alcuna del problema droga”.

So bene che non è bello citarsi, ma il 29 ottobre scorso ho dedicato un articolo alle “famiglie invisibili, vittime delle vittime della droga che si concludeva con un Appello ai genitori affinché costituissero associazioni antidroga formate, si badi bene, da genitori non colpiti dal “problema”. Quelle che esistono infatti sono centri d’ascolto e di sostegno per famiglie coinvolte. La mia idea Invece s’ispirava a modelli associativi mirati alla conoscenza, alla prevenzione e all’interlocuzione con la politica, sodalizi che, in un’inchiesta condotta in passato, ho visto operare in USA.

Una di quelle associazioni si dette uno slogan efficacissimo: Occupati di droga prima che se ne occupino i tuoi figli. (Get involved with drugs before your children do) lo stesso che avevo suggerito di adottare nel mio appello di ottobre. Sapevo che nessuna risposta poteva venire da quelle parti devastate, isolate e sommerse impegnate a fronteggiare un dramma più grande di loro. Né mi sono meravigliato che nessuna risposta arrivasse da altri settori sociali forse impauriti, perfino vergognosi e incapaci di aggregarsi. Ma è proprio di questa incapacità che qualcuno deve pur farsi carico, poiché oltre alla Repressione e alla Cura, la lotta alla droga è fatta anche di Prevenzione, settore che investe più direttamente della politica.

Da cittadino preoccupato e da giornalista abbastanza informato, rinnovo quindi l’appello affinché siano avviate iniziative di aggregazione e di sensibilizzazione su un flagello particolarmente devastante per una regione che più delle altre non può perdere i suoi giovani, il suo futuro.

Pertanto mi rivolgo a due forze politiche dalle quali attendersi forse maggiore sensibilità sul problema. In primo luogo a Micaela Fanelli, non tanto come esponente regionale di un partito al Governo, ma come madre e come donna più rappresentativa delle istituzioni. In secondo luogo mi appello a una fresca forza politica non istituzionale, quella delle Sardine, per aver dimostrato una straordinaria capacità di costruire e animare comunità spontanee.

Un buon 2020 a tutti, dunque. E un invito: occupiamoci di droga prima che se ne occupino i nostri figli e nipoti.

 

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