La resa degli esercenti

Chiudono i negozi storici, crescono iperstore ed e-commerce. Ma il vero problema sono i servizi

Non è più il Corso Nazionale di una volta. Con il passare degli anni ha cambiato volto, divenendo quasi irriconoscibile. Tante insegne di un tempo non ci sono più, altre preferiscono lasciare il centro e spostarsi in via Corsica. Altri ancora aprono per pochi mesi e poi abbassano le saracinesche alzando bandiera bianca. La colpa? La carenza di servizi

Il Corso Nazionale, ormai pedonalizzato, svetta in prospettiva. Dall’altro lato si erge la Madonnina, simbolo del centro. È ancora presto a Termoli: la folla di esercenti ed impiegati deve ancora arrivare, la maggior parte dei negozi sono chiusi, le persone iniziano ad affollare i bar della zona per la colazione e le auto iniziano a liberare gli stalli, mentre i fattorini scaricano le merci nei negozi che ancora resistono. Molte le vetrine addobbate con i colori rosso, blu e giallo, tipici del periodo natalizio. Molte altre, troppe, sono inesorabilmente vuote: negozi che hanno fatto la storia di Termoli, icone di un periodo commerciale fiorente, che hanno dettato la moda ad intere generazioni sono ormai chiusi.

Valleverde è chiuso da solo qualche settimana, Modulo 107 è vuoto da inizio estate, prima ancora il Borgo Antico che si è svuotato: due realtà che da più di un trentennio erano il punto di riferimento di residenti e turisti. “Lì ho comprato il primo paio di scarpe” dice qualcuno indicando il locale vuoto dove sorgeva Modulo 107. La rivoluzione e la crisi, che negli anni hanno cambiato la fisionomia e l’anima del centro termolese, è racchiusa in quei 500 metri che separano le insegne dei negozi che ancora resistono, da quelli che dopo una lunga battaglia contro internet e cinesi, hanno deciso di alzare bandiera bianca. La lista delle attività storiche che abbassano definitivamente la serranda si allunga sempre di più e nelle vetrine appaiono ogni giorno cartelli ‘affittasi’ o ‘vendesi’: l’ultima, solo in ordine di tempo, ‘Franco e Perla’, etichetta di calzature per bambini, uomo e donna che per quasi 30 anni ha accompagnato le passeggiate e le escursioni di tutti.

Ogni termolese, almeno una volta, è entrato nel locale che Franco Bracone ha aperto nel 1993 in Corso Nazionale 142. Le sue vetrine, con affaccio su due strade, sono divenute famose grazie alle luci ed all’esposizione curata fin nel più piccolo dettaglio. Da qualche settimana, invece, i passanti si fermano per leggere quel grande foglio su cui svetta, a lettere cubitali, la scritta ‘14 dicembre ultimo giorno di apertura’. No, non si tratta di uno scherzo o dei soliti cartelli apposti che indicano la liquidazione totale per rinnovo locale. I più giovani stazionano lì davanti inconsapevoli del fatto che un altro pezzo della storia termolese se ne va. Nemmeno la crisi dei primi anni 2000, con il passaggio dalla lira all’euro, è riuscita a scalfire il coraggio di quei commercianti che oggi gettano la spugna, ma non per mancanza di forza.

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“Colpa della crisi” diranno alcuni sottolineando come il potere di acquisto delle famiglie sia diminuito drasticamente nell’ultimo decennio. Ma la verità, quella che forse non riusciamo ad ammettere, è ben diversa: i soldi si spendono comunque, forse anche più di prima, ma in cose futili. È il caso di Alibaba, popolare sito cinese che in un solo giorno ha venduto merce per quasi 30 miliardi di dollari. Mica bruscolini.

E allora di chi è la colpa? “Di tutti noi. Qui mancano i servizi, non si può pensare di fare turismo senza avere alberghi ma solo B&B e senza intrattenimento o eventi durante tutto l’anno” specifica Franco Bracone. Un commento da cui traspare tutta l’amarezza di chi, per oltre 30 anni, ce l’ha messa tutta per resistere, ma si è dovuto arrendere di fronte all’arretratezza di una città che arranca e rifiuta di evolversi.

Dietro le chiusure dei locali ci sono anche altri fattori: “A pranzo è tutto chiuso, ci sono uffici pubblici che aprono per soli 3 giorni a settimana, non ci sono decorazioni, parcheggi, eventi per adulti o bambini – lamenta un’esercente rientrata da poco dall’estero –. Dove sono i fondi regionali? Negli USA le persone escono anche con la neve e con le temperature che sfiorano i meno trenta gradi perché sanno che ci sono i servizi e l’intrattenimento. Qui bastano due gocce di pioggia ed i termolesi si barricano in casa o si rinchiudono nei supermercati”. I cinesi? “Ci hanno messo in difficoltà, ma molti clienti dopo aver comprato le scarpe di plastica o il maglione in finto cotone tornano da noi. La qualità si paga, ma dura nel tempo e salva il portafoglio”.

Quel segmento commerciale nato quasi mezzo secolo fa è ormai al capolinea per diverse ragioni: “Internet ha inciso molto, lì si trovano gli ultimissimi modelli che qui da noi, con la crisi, non ci sono – continua Bracone –. Servirebbe un tavolo con l’amministrazione per risolvere davvero il problema. Basterebbe incentivare i collegamenti, pedonalizzare tutto il centro ed essere più civili e rispettosi dell’ambiente per riuscire ad uscire da questo periodo buio. Mi auguro che la nuova amministrazione riesca a cambiare Termoli”.

Ad influire negativamente sull’andamento commerciale della città anche la mancata pedonalizzazione ed i parcheggi: “Qui sono tutti abbonati – commenta un commerciante del centro –, parcheggiano la mattina presto e lasciano l’auto lì fino a tarda sera. Su dieci parcheggi, sette sono occupati da chi paga mensilmente 15 euro. In Germania i residenti pagano parecchio per gli stalli durante il giorno, così sono costretti a spostare le auto per lasciare posto a chi vuole acquistare. Qui invece i posti sono regalati. A marzo sono andato a Pescara ed ho pagato 5 euro di parcheggio per meno di tre ore (dalle 10.12 alle 12.57). Il centro dovrebbe essere tutto pedonalizzato, partendo dalla Madonnina. Vanno incentivati i mezzi pubblici ed il parcheggio multipiano, vietando l’ingresso in centro anche ai residenti”.

Va anche detto che a Termoli esiste “una gelosia assurda tra i commercianti che porta il tuo vicino di negozio a metterti i bastoni tra le ruote – confessa la titolare di un negozio –. Se attacchi un cartello fuori dalla porta, al tuo ritorno lo troverai staccato, se organizzi una svendita prima dei saldi rischi di ritrovarti le Forze dell’Ordine nel negozio. Puliscono i locali e gettano l’acqua sporca davanti al tuo per dispetto e parlano costantemente male di te e della merce che vendi. Eppure siamo tutti sulla stessa barca che sta lentamente affondando assieme a questa città ormai morta”.

Nemmeno riducendo i costi ed il personale si riesce a sopravvivere. I negozi chiudono e continueranno a farlo, le strade si desertificano e la città diventa inesorabilmente grigia. Le saracinesche alzate sono solo un lontano ricordo: non resta che un cumulo di ruggine, polvere, malinconia ed abbandono. Neppure i cosiddetti temporary store che restano aperti per qualche mese, come richiamato dal loro nome, portano colore e speranza a quella che, un tempo, era una fiorente città in cui nemmeno i commercianti hanno ormai più speranze. Con il senno di poi rifarebbe tutto dal principio, investendo nuovamente a Termoli? “Neanche sotto tortura. Scappano i giovani, lo farei anche io”, rispondono alcuni di loro.

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