Esclusiva

“Lei crede di essere Rosy Abate ma noi non siamo Gomorra”, il riscatto di via Quircio e l’omaggio alla Polizia

Nel quartiere le persone costrette a subire le ripercussioni di una delinquenza fuori controllo fino all’arrivo della squadra mobile che ha arrestato la pusher dedita allo spaccio anche mentre scontava i domiciliari, oggi si dicono “libere” di poter vivere una vita normale e senza angosce perché “noi – confessano - siamo dalla parte della legalità. Oggi e sempre”. Il loro apprezzamento a chi li ha sostenuti: gli uomini della squadra mobile che “non ci hanno mai chiuso la porta in faccia”

Quando giovedì scorso, gli uomini della Mobile hanno bussato al civico nove di via Quircio dove abitava Margherita M., pusher incallita che spacciava nonostante i domiciliari; per i residenti del quartiere si è spalancata la porta della libertà.

Per la 42enne invece si è spalancata la porta del penitenziario di Chieti.

Gli insulti agli agenti e gli applausi di sostegno a lei che entrando nella volante della polizia si è detta sicura di “tornare presto” perché “come Rosy Abate” , sono stati la reazione di quelli che tutti i giorni bussavano alla sua porta in cerca di eroina e cocaina, di quelli che nell’appartamento a piano terra trovavano rifornimento sicuro di stupefacenti sempre. Anche il giorno delle manette perché all’arrivo della polizia il fuggi – fuggi generale ha portato una decina di persone a sparpagliarsi nei dintorni e a nascondersi tra vegetazione spontanea e palazzine dei dintorni.

I residenti di via Quircio invece a quel momento – che per loro è stato di liberazione – hanno assistito con la consapevolezza di aver restituito dignità e rispettabilità ad un quartiere fino a qualche giorno difficile finanche per loro che ci vivono.

E agli insulti destinati agli uomini della Mobile, loro, hanno risposto alzando la testa. Agli applausi hanno replicato con l’orgoglio di chi ha combattuto per difendere la vita propria ma soprattutto per preservare quella dei propri figli da incontri inaffidabili e condotte pericolose cui invece erano costretti ad assistere quotidianamente.

Adesso il riscatto di via Quircio ha volti e nomi. Sono quelli di madri e padri, figli e nonni, che in quel complesso di alloggi popolari sono tornati a respirare un clima familiare e accogliente.

Un’atmosfera genuina e spensierata che negli ultimi anni era stata interrotta dall’assegnazione di alcune abitazioni a pregiudicati continuamente alle prese con strascichi giudiziari e condotte illecite perseveranti, che hanno finito col nuocere l’intero quartiere.

I volti di via Quircio, oggi, a pochi giorni dall’arresto dell’ultima pusher, sono distesi e rasserenati. “Gli applausi durante l’arresto? Erano dei soliti drogati che quando c’era lei eravamo abituati ad incontrare durante tutte le ore del giorno e della notte. I nostri applausi forse non si sono avvertiti ma c’erano eccome e certamente non erano per lei. Non smetteremo mai di ringraziare la squadra mobile della polizia per il sostegno che ci ha dato nonostante ci sembrasse che la legge potesse essere piuttosto garantista con chi delinque e non con chi subisce. Per fortuna non è stato così, i poliziotti hanno ascoltato le nostre richieste di aiuto e hanno saputo liberarci da una vita infernale”.

Via Quircio oggi è tutt’altro rispetto ai soliti racconti. E’ la bellezza dei bambini che corrono su e giù per le scale senza la paura di brutti incontri. E’ la loro spensieratezza nel poter giocare davanti casa senza che mamma o papà restino ore a guardarli per il timore che accada qualcosa, è la tranquillità di tante famiglie che di droga, spacciatori e tossicodipendenti non ne potevano più.

“Quando l’hanno arrestata lei ha detto di sentirsi Rosy Abate, ma noi non siamo Gomorra – dice una mamma – qui vivono famiglie per bene, gente che lavora, che si alza all’alba per farlo e rientra alla sera, qui ci siamo noi che paghiamo tasse come gli altri e abbiamo vite come quelle di chiunque. Qui le mele marce si contano sulle dita di mezza mano e purtroppo sono state così marce da inficiare la dignità di ognuno di noi. Ma dove non ci sono? Noi, però, abbiamo detto basta. E adesso ci riprendiamo la tranquillità cui abbiamo diritto, la leggerezza di chiacchierare davanti casa senza aver timore di incrociare chissà chi, la libertà di vivere il quartiere come accade ovunque”.

Ogni città, o quartiere, ha le proprie zone d’ombra ma, ma finalmente via Quircio non è più solo ombra. Certo, come molte zone di Campobasso avrebbe bisogno di riqualificazione e miglioramento di alcuni servizi ma questa è tutt’altra cosa, aspetto su cui anche il sindaco ha detto di voler pensare con una seria programmazione di interventi qui come altrove.

Oggi quello che conta è aver ripristinato quel senso di legalità sottomesso alla droga e allo spaccio. E non condannano a priori Margherita M. che “prima di restare incatenata alla droga era una brava persona. Quella robaccia l’ha trasformata e uccisa dentro. Non era più lei”, dicono infatti ma aggiungono “se però non vuole capire che deve lasciar perdere quello schifo, allora non è giusto che contamini chi invece con certe storie vuole averci nulla a che fare”.

Ciò che è stato, adesso, appartiene al passato. Il futuro è da costruire e ci sono tutti i presupposti.

Mentre ce ne andiamo, ascoltiamo le risate dei bambini che seppure sia quasi l’ora di cena, mentre cominciano ad accendersi le luci nelle case che affacciano sulla strada, continuano allegramente a giocare: il riscatto di via Quircio comincia proprio da qui.

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