Termoli

Il diritto negato di nascere a Termoli quando vince la ‘guerra delle culle’: parlano le madri

Il diritto di nascere: sembra quasi uno slogan contro l’aborto, ma è ciò che sta accadendo a Termoli dove viene negata - come conseguenza di una razionalizzazione fredda - la possibilità di mettere al mondo i propri figli. In questo approfondimento le madri che coraggiosamente hanno messo al mondo i loro bambini al San Timoteo raccontano esperienze e scelte. Intervista anche alla coordinatrice di Pediatria-Nido

Francesco, Sofia, Michele, Giuseppe, Luca, Serena, Filippo, Silvio, Marco: sono loro alcuni degli ultimi bambini nati nel punto nascita del San Timoteo di Termoli, ormai in smantellamento. Sono venuti alla luce tra gli ultimi giorni di dicembre e la fine di febbraio, quando dodici donne coraggiose hanno scelto il reparto termolese. Coraggiose perché decidere di mettere su famiglia, in un’epoca in cui la precarietà lavorativa e quella sanitaria sono costantemente minacciate dall’incertezza, è una scelta che richiede sangue freddo, una buona dose di fortuna, ostinazione e caparbietà. Caratteristiche che le donne hanno incise nel loro Dna.

Al di là dei numeri e delle ‘colpe’ che hanno portato a questa scelta, resta la cruda realtà: dal 7 luglio, a Termoli, non si potrà più nascere. Niente più papà che camminano avanti ed indietro fuori dalla sala parto in attesa di conoscere il proprio figlio, niente più grida di dolore delle madri che stanno donando la vita, niente più pannolini da cambiare o latte da scaldare. Di quello che un tempo era il fiore all’occhiello di un’intera regione, sviscerato pezzo dopo pezzo, non rimarrà più nulla.

Solo un’amara “sconfitta”. Perché, oltre la delusione, resta questo. Il personale, ridotto allo stremo, ha lavorato per sopperire alle carenze di medici, ostetriche ed infermiere, senza mai lamentarsi e con la passione di sempre, rinunciando perfino alle ferie pur di essere al servizio della comunità. Sforzi che, di qui a poco più di una settimana, saranno stati vani.

Donne a tre settimane dal termine, affiancate da altre che sono al terzo o quarto mese che diventano amiche, grazie ai corsi pre-parto organizzati in ospedale, creano gruppi su WhatsApp dove scrivono quotidianamente e si scambiano esperienze e paure, vanno a cena fuori, si aiutano e si sostengono. “Siamo una grande famiglia”, confessano a Primonumero.it che ha avuto il piacere di incontrarle ed a cui hanno raccontato la loro esperienza.

Sara Urbani, Sofia Roldan, Vincenza Spinelli, Rachele Barbieri, Fabiana Mangione, Livia Gianquitto, Jessica Daniele, Federica Camplone, Kate Nashulova, Valeria De Santis, Manuela Pollutri e Iole Del Torto: sono loro le madri coraggio che hanno deciso di confrontarsi e di rendere pubblici nomi ed esperienze. Una voce fuori dal coro, in un momento dove le donne scelgono di andare fuori regione, loro sono rimaste e tornerebbero in quel reparto per la prossima gravidanza.

Storie diverse, degenze più o meno lunghe e difficili, ma legate dallo stesso filo conduttore: la competenza e la professionalità di tutto il personale medico dell’oespedale bassomolisano. Gentilezza e disponibilità sono le parole che, più di altre, saltano all’occhio nei messaggi. C’è Rachele che ha ricevuto supporto dal personale nonostante fosse una paziente/infermiera difficile, per sua stessa ammissione, Manuela che ha rotto le acque ed è stata subito visitata, Sofia che alle 3 di notte ha accusato una colica renale ed è stata massaggiata, supportata ed aiutata dalle ostetriche che hanno atteso con lei il momento del parto. Ed ancora Katerina che, madre novella, si è sentita come se fosse a casa sua, Federica ricoverata la notte di Pasqua con le ostetriche che non l’hanno lasciata sola un momento.

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E poi ci sono loro, che, nonostante alcuni problemi, sono riuscite a donare una vita: Jessica che, quasi allo scadere del termine della sua prima gravidanza, ha avuto il corpo cosparso di bollicine e Fabiana che, durante il tracciato, ha scoperto che il bambino non aveva più battito, subendo un pericoloso distacco di placenta che, solo grazie alla professionalità dell’equipe medica, è ora un lontano ricordo. Tutte loro che hanno già partorito, e le future madri che, attualmente, stanno seguendo il corso pre-parto in ospedale, non condividono la scelta di molte mamme di andare fuori regione: “Perché dovrei pensare di andare altrove se nella mia città esiste una struttura ospedaliera?”.

Questa non vuole essere una polemica nei confronti di chi ha scelto altri nosocomi, ma una riflessione su quello che è il futuro di Termoli. La chiusura del punto nascita è una sconfitta per la città che non si ferma alla sola struttura sanitaria, ma potrebbe avere ripercussioni sull’intero sistema economico della città.

Fermatevi un secondo, pensateci bene e rispondete a questa domanda: “Voi andreste mai in vacanza in un posto sapendo che, laddove servisse, non potreste partorire o vostro figlio potrebbe non avere l’assistenza di cui necessita?”. Quanto tempo passerà prima che anche altri reparti subiscano la stessa sorte, condannando a morte certa non solo i cittadini ma tutta la filiera economica?

È questo quello che sta accadendo, anche se la maggior parte non se n’è ancora accorto: non solo le termolesi, ma anche i turisti saranno costretti a rivolgersi altrove e chi, come Katia di cui proponiamo la videointervista, si trova al sesto mese, dovrà scegliere un altro ospedale, confidando nella disponibilità di posti letto della struttura e nella buona sorte che l’accompagnerà durante il viaggio verso il punto nascita più vicino. “Se, come me, hai il cesario programmato va bene – confida Katia a Primonumero.it – Ma immaginate di rompere le acque e dovervi mettere in auto, con il caldo, per arrivare a Campobasso dove c’è il reparto neonatologia, correndo il rischio di trovare un semaforo o i lavori in corso”.

Perché la sigla L113 che contraddistingue il comune di nascita termolese non è solo un numero, è l’identità di un popolo che ha combattuto per avere gli stessi diritti degli altri, malgrado la legge ci ritenesse tutti uguali, davanti a chi, con la voce grossa e forte dei numeri, dicesse – e continua a farlo – che ‘Il Molise non esiste’.

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